Antonio Padellaro, il Fatto Quotidiano 6/6/2015, 6 giugno 2015
MAFIA CAPITALE E GLI SVARIONI DI FERRARA
Che cosa bella sarebbe se Giuliano Ferrara ammettesse: ebbene sì, su Mafia Capitale ho scritto una serie di cazzate. Che segnale di buona educazione civile se i giornalisti più anziani dessero l’esempio e con un po’ di sana autoironia cominciassero a riconoscere le cantonate, gli abbagli e tutti gli spropositi, spesso inevitabili in un mestiere schiavo dell’urgenza. Prevengo l’obiezione: le mie cazzate me le ricordo quasi tutte e sono tante che ci vorrebbe un libro che prima o poi (se interessa) darò alle stampe. Dopo la prima retata, quella che portò in galera Carminati er cecato e il clan Buzzi, l’allora direttore del Foglio caricò di brutto chi “rovistava nella merda” e liquidò l’inchiesta su Mafia Capitale come “una puzzonata” minimizzandone “i contenuti affaristici di seconda fila”, tutte storie di “piccoli appalti”. Poi, a corto di argomentazioni, s’impiccò a un distinguo del pg della Corte dei Conti sull’improprietà dell’uso della parola mafia a Roma: come se per la location giusta fossero indispensabili coppole, lupare e fichi d’India. Però, quando alla radio sbroccò con un memorabile: “dove sono i morti? Se è mafia voglio i morti sul selciato”, finalmente riconobbi l’autentico Giulianone. Quello che insegue le tesi più assurde solo per il gusto del bastian contrario mariuolo, soprattutto se c’è qualche forcaiolo da travolgere e qualche canaglia da salvare. Per questo, lo so, mai Ferrara riconoscerà il suo torto, anche se tutto è meglio di quell’insipido semolino che il suo successore ci ha propinato sull’argomento.
Antonio Padellaro, il Fatto Quotidiano 6/6/2015