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 2015  giugno 06 Sabato calendario

IL DILEMMA PER LA FED

Giovedì l’Fmi ha invitato la Fed a non alzare i tassi d’interesse Usa nel 2015. Ieri i mercati obbligazionari hanno invece implicitamente detto l’esatto opposto: dopo gli ottimi dati sul mercato del lavoro, i futures hanno iniziato a scontare elevate probabilità di una “stretta” monetaria già a settembre.
In serata queste previsioni si sono ridimensionate, ma hanno comunque lasciato aperto il dilemma per la Fed: alzare o non alzare i tassi? E quando farlo? La scelta non sarà facile. La banca centrale Usa ha infatti almeno tre validi motivi per aspettare ad aumentare i tassi ufficiali dall’attuale 0%-0,25%, ma ne ha anche altrettanti per sbrigarsi a farlo. I destini dei mercati finanziari mondiali dipendono da questo: da quale piatto della bilancia della Fed peserà di più, quello che suggerisce l’attesa o quello che spinge per una mossa veloce.
I motivi per rialzare i tassi
La ragione principale per cui la Fed dovrebbe sbrigarsi a stringere la cinghia è ovvia: una politica monetaria così espansiva, in un contesto di ripresa economica, rischia di creare bolle speculative. C’è chi già ne vede una a Wall Street. La Borsa americana è infatti sui massimi storici, e le aziende quotate mostrano un rapporto tra prezzo delle azioni e utili a 17,4: massimo dal 2009.
Ma quello che potrebbe segnalare l’esistenza di una bolla speculativa è soprattutto il comportamento delle aziende, che - grazie all’abbondanza di denaro stampato dalla Fed e grazie a tassi bassi - dispongono nei loro bilanci 1.730 miliardi di dollari di liquidità. Per capirci: le imprese quotate a Wall Street hanno in mano denaro liquido per una cifra più o meno pari al Pil del Canada. Il problema è che tendono a non usare questa abbondanza per sviluppare piani industriali (gli investimenti privati continuano a calare) e neppure per remunerare i lavoratori (dato che i salari crescono poco). No: le aziende quotate a Wall Street usano questi soldi, e si indebitano per raccoglierne ulteriori, in gran parte per pagare dividendi agli azionisti e per comprare le azioni proprie in Borsa. Nel 2014 tra dividendi e buyback le aziende Usa hanno infatti speso 914 miliardi di dollari: questo significa che il 95% degli utili non sono serviti per investire, ma per gratificare gli investitori di Wall Street. E per far salire il prezzo delle azioni, a tutto vantaggio degli azionisti e dei manager. Insomma: la politica monetaria ultraespansiva ha trasformato Wall Street da volano a sanguisuga dell’economia reale. Perché invece di creare risorse per lo sviluppo, le drena. E questo non va bene.
L’altro motivo per cui la Fed dovrebbe alzare i tassi è legato al fatto che l’erogazione di finanziamenti negli Usa sta tornando vivace. Dai minimi toccati a fine 2013, la quantità di credito erogato dalle banche a imprese e famiglie è aumentata di circa 5 punti percentuali. I prestiti crescono tutti i settori: dai mutui al credito al consumo, fino ai finanziamenti alle imprese. Insomma: negli Usa sta tornando l’abitudine ad indebitarsi, sia sul mercato sia in banca. Anche questo
non giustifica più la permanenza dei tassi d’interesse ufficiali a zero, ma giustificherebbe almeno un primo minimo rialzo.
I motivi per non rialzare
A fronte di seri motivi per alzare i tassi, la Fed ne ha però altri che suggeriscono di non farlo. Il primo, su cui anche il Fondo monetario mette l’accento, è la mancanza di inflazione: se non si surriscalda il costo della vita, non c’è alcuna esigenza a effettuare una stretta monetaria proprio ora. Anche perché la crescita economica negli Usa non è così tonica come sembra, nonostante gli ottimi dati sull’occupazione arrivati ieri.
Il secondo motivo per cui la Fed potrebbe non alzare i tassi troppo in fretta è legato all’andamento del dollaro. Negli ultimi 12 mesi il biglietto verde è infatti rincarato del 13,7% rispetto alle valute dei principali partner commerciali degli Stati Uniti. Questo equivale già a una manovra restrittiva, perché ha un impatto negativo sulle esportazioni delle aziende americane. «Già ora si vede l’impatto sulle partite correnti, il cui saldo è tornato a peggiorare - osserva Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo -. Il cambio sta insomma producendo un travaso di crescita dagli Usa al resto del mondo».
Il terzo motivo che spinge la Fed ad aspettare prima di rialzare i tassi è legato alla situazione internazionale, ancora molto incerta. Dalla crisi greca alla debolezza europea, fino al rallentamento economico cinese: in un mondo soggetto al rischio di potenti shock, Janet Yellen potrebbe voler aspettare prima di accendere la miccia dei tassi. Questo, insomma, è il suo dilemma: se la Fed aspetta troppo rischia di gonfiare irrimediabilmente le bolle, se si muove troppo in fretta rischia di creare un effetto domino sui mercati mondiali.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 6/6/2015