Marcello Bussi, MilanoFinanza 6/6/2015, 6 giugno 2015
GIOCO PERICOLOSO
La resa dei conti è stata rimandata al 30 giugno. Così come fece lo Zambia negli anni 80, la Grecia ha chiesto e ottenuto dal Fondo Monetario Internazionale di accorpare i rimborsi previsti nel corso del mese, una somma che ammonta a 1,55 miliardi di euro. Nello stesso giorno scadrà il programma di aiuti dell’ex Troika (Ue-Bce-Fmi), di cui devono essere erogati ancora 7,2 miliardi di euro.
Tutto fa pensare che questa volta non ci saranno nuovi tempi supplementari: o la Grecia troverà l’accordo con i creditori per poter fare fronte agli impegni con il Fmi oppure andrà in default. Da qui al 30 giugno può succedere di tutto; d’altronde è stato lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi, a proclamare che bisogna abituarsi a «un’elevata volatilità». Goldman Sachs ha detto la sua: un default della Grecia non ne implicherebbe l’immediata uscita dall’euro, bensì potrebbe essere un’opportunità. Perché la bancarotta innescherebbe una crisi di liquidità che dimostrerebbe anche ai ciechi che il programma elettorale del governo guidato da Alexis Tsipras «è impraticabile» in quanto i greci «non possono restare nell’euro senza attuare gli aggiustamenti», ovvero le nuove politiche di austerità richieste dall’ex Troika, come i tagli alle pensioni pari all’1% del pil, l’aumento dei contributi al settore sanitario da parte degli stessi pensionati e, sul fronte del mercato del lavoro, il no alla reintroduzione della contrattazione collettiva promessa invece dal governo in carica. Secondo Goldman, il default costringerebbe Tsipras a indire nuove elezioni da cui uscirebbe un esecutivo che accetterebbe le proposte dei creditori. Un governo del genere non potrebbe che essere formato dalla parte moderata di Syriza e dai due partiti ora all’opposizione, Nuova Democrazia e Pasok, che hanno sostenuto il precedente esecutivo guidato da Antonis Samaras, fedele esecutore degli ordini della Troika.
Probabilmente gli analisti di Goldman Sachs credono ai sondaggi secondo cui il 74% dei greci vuole restare nell’euro. Ma è davvero così? Non ne è convinto Bill Street, responsabile investimenti Emea di State Street Global Advisors, secondo cui il sentiment «potrebbe cambiare qualora l’opinione pubblica ritenesse che le richieste fatte al Paese fossero irragionevoli». E venerdì 5 in un discorso al Parlamento Tsipras ha detto di essere stato «sorpreso negativamente» dalla proposta «irrealistica» illustrata dal presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, e che i creditori devono «ritirare».
Qualche ora prima Tsipras aveva avuto una telefonata «amichevole» con il presidente russo Vladimir Putin. I due hanno discusso della costruzione del gasdotto Turk Stream e hanno deciso di vedersi al Forum economico internazionale di San Pietroburgo del 18-20 giugno. Negli stessi giorni, curiosa coincidenza, si riunirà l’Eurogruppo. Tsipras è quindi pronto a giocare con decisione la carta russa. La prospettiva di un capovolgimento di alleanze sarebbe catastrofica per l’Occidente, che già deve confrontarsi con un membro della Nato che ormai fa di testa sua, ossia la Turchia di Recep Tayyp Erdogan. Non per niente Washington ha più volte invitato Ue e Fmi a essere più comprensive nei confronti di Atene. Puntare sulla caduta di Tsipras potrebbe rivelarsi controproducente per i creditori, visto che la corrente di sinistra controlla almeno un terzo dei parlamentari di Syriza e il suo leader, il ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis, ha proclamato che il partito «non accetterà che il popolo greco venga sterminato all’interno della zona euro; un terzo piano consecutivo di austerità sarebbe l’opzione più distruttiva per il Paese».
Ma un terzo piano da 50-60 miliardi sarà inevitabile se non si ristrutturerà il debito della Grecia (richiesta ribadita in parlamento da Tsipras). Anche il Fmi concorda con la ristrutturazione, che però non è voluta dalla Germania. Ed è questa l’insolubile contraddizione di Berlino. Per questo motivo il tempo logora non solo il quadro politico greco, ma anche quello tedesco. Berlino ha smentito le voci di un aspro litigio fra la Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, che non vuole fare la minima concessione ad Atene. Ma nessuno ci ha creduto. La Merkel sa che l’uscita della Grecia sarebbe l’inizio della fine dell’euro, mentre Schaeuble teme che un accomodamento con Tsipras spalancherebbe le porte alla vittoria di Podemos alle elezioni spagnole di novembre e allora addio politiche di austerità. Se da qui al 30 giugno Tsipras non sarà travolto da una fuga di capitali dalla Grecia, a logorarsi potrebbe essere quindi la Germania, il cui Parlamento in autunno dovrà approvare l’esborso di nuovi finanziamenti ad Atene. Una prospettiva che non esalta molti deputati del partito della Merkel, per non parlare degli alleati bavaresi.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 6/6/2015