Tino Oldani, ItaliaOggi 6/6/2015, 6 giugno 2015
UNA BUONA NOTIZIA: LA PRIVACY SUL WEB È TUTELATA DALLA COOKIE LAW UNA BRUTTA NOTIZIA: NELLA LEGGE, TROPPA BUROCRAZIA E UN’ALTRA TASSA
Due fatti degli ultimi giorni hanno richiamato l’attenzione sul problema della privacy di chi naviga su internet. Negli Stati Uniti, il ceo della Apple, Tim Cook, con un intervento clamoroso, pronunciato dopo avere ricevuto il premio «Champion of Freedom», campione di libertà, ha accusato altri giganti del web, segnatamente Google e Facebook, di violare la privacy di chi usa i loro servizi gratuiti per fare soldi. In pratica, di rivendere agli inserzionisti pubblicitari i dati personali degli utenti, acquisiti spiando ogni schermata delle loro navigazioni. Un commercio di dati personali che Apple, ha assicurato Tim Cook, non pratica, proprio perché rispetta la privacy dei suoi clienti-utenti. Una denuncia bomba, che si aggiunge ad altre sue uscite clamorose (come il coming out sul suo essere gay), e ne stanno facendo un leader del politically correct manageriale nell’epoca del web.
Il secondo fatto è avvenuto in Italia, dove, dal 3 giugno, è entrata in vigore la Cookie law, la legge sui cookie (biscottini, in inglese: cioè piccoli file), per tutelare la privacy degli utenti del web. In teoria è una buona legge, ma la sua applicazione pratica si starebbe rivelando un mezzo fallimento, soprattutto per le solite complicazioni burocratiche. Come in molti altri casi, all’origine c’è una direttiva europea, che risale al 2.009. La norma italiana che la recepisce è stata approvata tre anni dopo, nel 2012, mentre il provvedimento di attuazione firmato dal garante della privacy, Antonello Soro, è del 13 maggio 2014, un anno fa. L’obiettivo è molto semplice: evitare che gli utenti del web siano derubati dei loro dati personali, che comprendono le scelte dei siti preferiti, gli acquisti on line e, di riflesso, le tendenze commerciali, queste ultime assai richieste e ben pagate dalle società pubblicitarie.
Per questo, i siti internet devono preventivamente ottenere il consenso dei naviganti, informandoli sul fatto che la pagina visitata fa uso dei cosiddetti cookie, ovvero dei file che riportano indietro, dal sito visitato, le informazioni utili per tracciare il profilo dell’utente.
Ecco perché, da qualche giorno, sarà capitato anche a voi di aprire una pagina web qualsiasi e di vedervi richiedere con un banner il consenso per l’uso dei cookie. Voi potete anche non rispondere, ma il sito web è obbligato a darvi questa informazione, perché così prevede il regolamento del Garante della privacy, pena multe salate. La mancata notifica dell’uso dei cookie può costare una multa da 20 mila a 120 mila euro, mentre chi continua a usare i cookie senza il consenso dell’utente rischia una sanzione da 10 mila a 120 mila euro. Un’indagine di poche settimane fa di Federprivacy ha rivelato che, nonostante il tempo per mettersi in regola fosse di un anno, il 67% dei siti non erano pronti per la nuova normativa. Colpa del regolamento farraginoso e complicato del Garante, si sono giustificati molti.
Per il momento, il Garante della privacy ha assicurato che non intende multare nessuno, né chiudere i siti inadempienti. Probabilmente, non è neppure attrezzato per farlo, avendo del web una concezione fortemente burocratica. In Italia ci sono 28,5 milioni di utenti del web.
E il sito web di un privato (un blogger, per esempio) che voglia comunicare con il Garante sul tema della privacy dovrebbe prima pagare un balzello di 150 euro, di cui perfino Riccardo Luna, consulente web di Matteo Renzi, su Repubblica ammette di non capire la ratio. Il risultato è che migliaia di piccoli gestori di siti web sono nel panico, mentre i colossi continuano a fare i loro comodi, con guadagni cospicui.
La pubblicità on line è in continuo aumento, nel 2014 ha raggiunto 1,9 miliardi di euro. Alla sua crescita, hanno contribuito proprio i cookie, che hanno una duplice finalità: la prima è tecnica, in quanto servono al buon funzionamento del sito, mentre la seconda è di profilazione, serve cioè al gestore di un sito per conoscere meglio l’utente e inviargli così dei messaggi pubblicitari personalizzati. Acquisire grandi quantità di profili di utenti del web è diventato, per questo, di vitale importanza per le concessionarie di pubblicità e per gli inserzionisti. Un mercato cresciuto in modo esponenziale, senza che gli utenti ne fossero consapevoli. Ora, grazie alla Cookie law, devono essere non solo informati, ma anche dare o rifiutare il consenso.
Tutelare la privacy, nell’epoca del web, non può essere confuso con una pratica burocratica: si tratta di un diritto civile di primaria importanza, un diritto di civiltà. In questo, Tim Cook ha ragione, e bene ha fatto nel distinguere la sua Apple da Google e Facebook, che «hanno costruito un modello di business convincendo i loro clienti a fornire loro informazioni personali.
Posso capire che i loro servizi gratuiti vi piacciano, ma noi pensiamo che non sia il caso di scavare nelle mail, nella cronologia delle ricerche e oggi anche nelle foto di famiglia per ottenere dati da usare per dio sa quale scopo pubblicitario. Il diritto alla privacy è un diritto fondamentale: la Costituzione lo richiede, la moralità lo impone». Tim Cook si riferiva agli Stati Uniti. Ma faremmo bene a tenerne conto anche in Europa, tutelando la privacy come un bene primario, con meno burocrazia e meno tasse.
Tino Oldani, ItaliaOggi 6/6/2015