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 2015  giugno 06 Sabato calendario

ARTICOLI SULLA MORTE DI MARIO D’URSO DAI GIORNALI DI SABATO 6 GIUGNO 2015


PAOLO CONTI, CORRIERE DELLA SERA -
È il 3 settembre 1960 e palazzo Serra di Cassano a Napoli riapre il portone chiuso dal 1799 in segno di lutto per l’esecuzione di Gennaro Serra di Cassano, fiero difensore della Repubblica Napoletana.
Francesco ed Elena Serra restituiscono, sotto Olimpiadi, la dignità di Capitale europea a Napoli: arrivano i reali di mezzo Vecchio Continente, industriali, protagonisti del Jet set come Maria Callas e Aristotele Onassis, Gianni e Marella Agnelli. C’è anche il giovane Mario D’Urso, nipote dei padroni di casa (è figlio di Clotilde Serra) che appare sorridente accanto a una rubiconda Beatrice d’Olanda, futura regina.
Ora che D’Urso se n’è andato a 75 anni, dopo una malattia affrontata con elegante consapevolezza, quell’immagine appare la naturale cornice di una vita che, invece, nel contenuto sarebbe stupidamente sbrigativo ridurre a incosciente mondanità. Mario D’Urso nasce l’8 aprile 1940, suo padre è un avvocato internazionale con studio in via Veneto a Roma e il suo matrimonio con Matilde Serra lo colloca in quell’ upper class partenopea, ricca, colta e cosmopolita, con diffuse parentele anglosassoni.
Mario si laurea in Giurisprudenza, consegue un master a Washington e a 28 anni è già ai vertici della Lehman Brothers, una delle principali banche d’investimento degli Usa. Lavoro di forte responsabilità ma affrontato con la stessa naturalezza priva di ostentazione con cui indosserà sempre i suoi perfetti gessati, gli smoking inappuntabili, o certi completi estivi di lino bianco ghiaccio o di un inimitabile color tabacco (magari spezzati da calze verde smeraldo). I suoi amici resteranno per una vita gli stessi abitanti della galassia della notte magica del 1960. Da ragazzo Marella Caracciolo non ancora Agnelli, poi lei con suo marito Gianni e Susanna Agnelli. Quindi Jackie Kennedy, frequentata fino alla morte di lei, e Margaret d’Inghilterra, sorella minore di Elisabetta II . Per difendere la privacy di sua altezza, D’Urso intrattiene una rissa la notte del 16 settembre 1994 con il re dei paparazzi romani, Rino Barillari, all’uscita del Jackie’O, night della Dolce Vita. Volano schiaffi, naturalmente molto signorili. Altri amici. Henry Kissinger. Il proprietario della Rothman’s, il sudafricano Anton Rupert (D’Urso lo convinse a vendere alla Philip Morris, e fu il più grande affare della sua vita).
Amori? Quanti? Tanti, dicono. Chissà. Comunque vissuti con massima discrezione. Ma da giovanissimo si arma di scala per far uscire di nascosto di casa Lorella De Luca e stringe amicizia con Marina Punturieri, poi Lante della Rovere, infine Ripa di Meana.
Il suo lavoro gli regala soddisfazioni («ho attirato 20 mila miliardi di lire di investimenti in Italia»). E crea con ironia il personaggio del Grande Presenzialista Mondano, alto e straordinariamente chic, con un’agenda telefonica che include i cinque continenti, capace di presenziare a dieci ricevimenti in una sera e di festeggiare un capodanno in tre città (Manila, Honolulu, Los Angeles). A Roma, per decenni, non esiste un «vero» appuntamento (cena, cocktail, ricevimento) che «possa» essere privo di Mario D’Urso. Ma diventa anche sottosegretario per il Commercio con l’estero nel governo Dini (1995-1996) e senatore per Rinnovamento (1996-2001).
Riceve la Légion d’Honneur, ne va fierissimo, presiede l’associazione dei Membri d’Italia e della Santa Sede organizzando molte attività di concreta beneficenza. E fino alle ultime settimane sostiene le attività del Dynamo Camp, sogno realizzato in Italia da Vincenzo Males, dove si curano bambini con patologie oncoematologiche. I funerali lunedì 8 giugno nella chiesa di san Roberto Bellarmino, a Roma, alle 15.30.
Paolo Conti

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PAOLO CONTI, CORRIERE DELLA SERA -
Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera ed ex leader sindacale. Lei è stato molto amico di Mario D’Urso. Due mondi diversi... Com’era questa amicizia?
«L’amicizia è come l’amore, ha il dono di scavalcare le montagne e abbattere i muri. Essere amici non è solo condividere la stessa religione o lo stesso credo politico...».
Qual era la ragione del vostro legame, allora?
«La ragione profonda è che Mario era un uomo profondamente buono. Un sentimento disinteressato, sia verso il basso che verso l’altro. Era un uomo considerato snob ma l’ho visto nutrire rapporti affettuosi e amicali ben più profondi con i suoi collaboratori domestici che con la contessa o la principessa».
Cosa la incuriosiva in Mario D’Urso?
«La divisa esibita era lo snobismo. Ma la sua caratteristica più straordinaria era che, attraversando mondi cinici e meritevoli di lontananza, avesse mantenuto la sua innocenza. E poi era caritatevole verso i ricchi. È facile esserlo verso i poveri. Ci rifletta...».
E cosa interessava D’Urso di lei?
« Da amico degli Agnelli, scoprire cosa c’era dall’altra parte del tavolo durante una trattativa tra industriali e sindacati».
P. Co.

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FRANCESCO BEI, LA REPUBBLICA -
È morto a Roma a 75 anni Mario D’Urso, per un tumore. E già sembra impossibile immaginare quell’uomo così alto, asciutto, sempre impeccabile nei suoi gessati con pochette, costretto in un letto d’ospedale. A fare i conti con la sofferenza umana, così apparentemente lontana dalla sua esistenza glamour. Personaggio quasi letterario, una via di mezzo fra grande Gatsby e Curzio Malaparte, fra le notti passate alle feste e la frequentazione di diplomatici e teste coronate di mezzo mondo. Sempre con leggerezza, per dirla con Calvino, mai con superficialità.
Avvocato, nobile rampollo dei marchesi di Cassano, ex senatore (con il partito più “chic” dell’Ulivo, Rinnovamento italiano, durato il volo d’una farfalla) e mille altre cose insieme. Soprattutto napoletano, con quella persistente ironia del napoletano nato bene, che si sente figlio una capitale europea. D’Urso si vantava di aver avuto un bisnonno «che aveva persino un suo treno privato, che imprestava ai re».
Banchiere, uno che a soli 28 anni, quando i suoi coetanei italiani sognavano Che Guevara e tiravano sassi ai poliziotti, era già volato a Washington per diventare amministratore della banca d’affari Lehman Brothers. I più giovani magari lo ricordano per la sua presenza alle feste della Roma magnona, ma sempre con quel distacco snob alla Jep Gambardella. In fondo essere stato amico di Jacqueline Kennedy e Henry Kissinger, di Gianni Agnelli e dei reali d’Inghilterra — unico italiano invitato a Buckingham Palace per i 100 anni della regina madre — lo metteva al riparo dalla cafonaggine delle terrazze. C’era anche la politica nella vita di D’Urso. Quella fatta giovanissimo nel movimento federalista di Altiero Spinelli e quella con Lamberto Dini, nel 1995, sottosegretario al Commercio estero. E quello strano rapporto con Fausto Bertinotti, che oggi lo piange come «un vero amico», il comunista e il ricco del jet set. In uno dei suoi tipici calembour una volta raccontò a un amico: «In fondo dovrei essere molto considerato dalla Chiesa. Perché è facile, come fa Madre Teresa di Calcutta, essere caritatevole con i poveri. Molto più difficile farlo con i ricchi». Un paradosso dei suoi, con dietro una distanza e, in fondo, un senso di pietas per quei ricchi che frequentava, così evangelicamente “poveri di spirito”.

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MICHELA TAMBURRINO, LA STAMPA -
Era, Mario D’Urso, morto ieri a Roma all’età di 75 anni dopo una lunga malattia, un banchiere internazionale ed era un uomo di salotti. Era colto e con un passato professionale di tutto rispetto ma era, agli occhi del mondo, soprattutto un uomo elegante, uno che la mondanità la governava, forte di una grande sensibilità, d’ironia, di verve. Alla Jep Gambardella de “La grande bellezza” che forse a D’Urso si è ispirato.
Nato a Napoli da nobile famiglia, D’Urso fu tanti uomini in uno solo: abilissimo negli affari, presidente del consiglio d’amministrazione del Gruppo 24 Ore, negli anni Settanta nel Cda di Lehman Brothers, a soli 28 anni, incarico che manterrà per altri 25 anni. Fu politico con Lamberto Dini e sottosegretario al Commercio estero.
Eppure del suo ricco Palmares si è invidiato soprattutto il risvolto brillante, le sue amicizie planetarie, il suo darsi del tu con teste coronate e star internazionali. Si favoleggia dei suoi tre capodanni in una notte sola a rincorrere la mezzanotte per il mondo, della sua capacità di manifestarsi in diversi party fingendo di non averne mai abbandonato uno, del suo innamoramento per la bella attrice “povera ma bella”, Lorella De Luca.
Soprattutto, del legame con Gianni Agnelli, («È l’unico avvocato di cui mi sento secondo») e Giorgio Falck. Amici, giovani, belli sportivi, passioni condivise per la vela, le donne e una certa piacevole vita, il tutto vissuto in perfetto anticonformismo. Barbara Palombelli, sua grande amica, racconta che passare una serata con lui era meglio che andare a teatro, tanti erano i palcoscenici che ti sapeva schiudere. Si vantava di aver insegnato lo humour napoletano a Imelda Marcos, mai di essere stato l’unico italiano ad essere invitato alla corte inglese per i cento anni della regina madre. Diceva pure che a frequentare le teste coronate s’imparava sempre, come quando la sua famiglia ospitò in casa la regina d’Olanda per le Olimpiadi e la trovarono che si lavava la biancheria da sola e si rifaceva il letto. «Persone educate alla disciplina». Era sicuro di sé Mario D’Urso, altissimo ed estremamente elegante, si permetteva la bizzarria di presentarsi ai ricevimenti all’Ambasciata americana in scarpe da ginnastica. In fondo lui si sentiva un po’ americano visto che un suo avo era stato tra i firmatari della dichiarazione d’indipendenza statunitense.
Si era schierato per Renzi dopo un incontro a New York che poi proseguì in una conoscenza fatta soprattutto di messaggi. Disse nell’ottobre del 2012: «Lo appoggio e mi iscrivo alle primarie per votarlo. È l’uomo giusto».