varie 5/6/2015, 5 giugno 2015
ARTICOLI SU MAFIA CAPITALE BIS DAI GIORNALI DI VENERDI’ 5 GIUGNO 2015
VALENTINA ERRANTE, IL MESSAGGERO _ Il terremoto questa volta se lo aspettavano. E qualcuno ha anche tirato un respiro di sollievo. Perché che lo tsunami della procura di Roma non si fosse arrestato era chiaro. Ed è arrivato dopo sei mesi di attesa. I carabinieri del Ros si sono presentati ieri mattina: quarantaquattro ordinanze di custodia cautelare tra Roma, Rieti, Frosinone, L’Aquila, Catania ed Enna (25 ai domiciliari).
Manette trasversali, che scuotono il Campidoglio e la Regione: politici al servizio del clan di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. Anche se Luca Gramazio, capogruppo alla Pisana del Pdl, è l’unico tra loro accusato di associazione mafiosa. Per gli altri sei, finiti in carcere e ai domiciliari, l’ipotesi è di corruzione. Non sempre aggravata dal favoreggiamento all’organizzazione criminale. Altri 21 nomi sono stati iscritti sul registro degli indagati.
LA PROCURA
Il procuratore Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Michele Prestipino e i pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli adesso hanno i riscontri alle intercettazioni che lo scorso dicembre hanno svelato il “Mondo di mezzo”. In cella anche l’ex presidente del Consiglio comunale Mirko Coratti, accusato di corruzione aggravata. Dal business dell’emergenza abitativa, che ha portato all’arresto dell’ex assessore comunale alla Casa Daniele Ozzimo, a quello degli immigrati, con il ruolo da protagonista di Luca Odevaine, al quale vengono mosse nuove accuse. Si aggiunge la gestione delle spiagge a Ostia ma, soprattutto, tra le contestazioni c’è anche la turbativa d’asta nel maxi appalto da 60milioni di euro della Regione Lazio, con Angelo Scozzafava, fidatissimo di Carminati e finito in cella, piazzato in commissione proprio dal capo di gabinetto di Nicola Zingaretti. I reati vanno dall’associazione mafiosa, alla corruzione, dalla turbativa d’asta alle false fatturazioni, fino al trasferimento fraudolento di valori, aggravate dal favoreggiamento a un’organizzazione criminale.
È in un’intercettazione che Buzzi spiega al capo segreteria di Mirko Coratti, Franco Figurelli, che gli chiede di assumere una ragazza, il rapporto con la pubblica amministrazione: «Ahò ma la sai la metafora? La mucca deve mangiare». E Figurelli: «Ahò, questa metafora io glielo dico sempre al mio amico, mi dice: non mi rompere, perché se questa è la metafora lui ha già fatto». Oltre a Gramazio, Coratti e Ozzimo, le ordinanze ai domiciliari sono state notificate anche ai consiglieri comunali Giordano Tredicine (Fi) e Massimo Caprari (Centro Democratico), come Andrea Tassone, ex presidente del municipio di Ostia.
Ai domiciliari pure i manager della cooperativa «La Cascina» Domenico Cammissa, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita, mentre Francesco Ferrara è a Regina Coeli. La sede della cooperativa, vicina al mondo cattolico, (gestisce tra l’altro il Cara di Mineo) è stata perquisita. Arresti domiciliari per l’imprenditore Daniele Pulcini. Tra le 21 perquisizioni anche quella nell’abitazione dell’ex capo di gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro, indagato per tentativo di turbativa d’asta nell’appalto, poi sospeso, sul Cup della Regione Lazio.
L’ORDINANZA
Scrive il gip: gli accertamenti, oltre a confermare la «centralità, nelle complessive dinamiche dell’organizzazione mafiosa diretta da Massimo Carminati», evidenziano come Buzzi sia «riferimento di una rete di cooperative sociali che si sono assicurate, nel tempo, mediante pratiche corruttive e rapporti collusivi, numerosi appalti e finanziamenti della Regione Lazio, del Comune di Roma e delle aziende municipalizzate». Sono ancora le intercettazioni a raccontare il contesto.
Così Odevaine, già detenuto e considerato al centro di un «articolato meccanismo corruttivo» da componente del Tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo, spiegava ai manager de La Cascina, interessati alla gestione dei centri per migranti: «Se me dai cento persone facciamo un euro a persona».
IL COMMERCIALISTA
Anche Stefano Bravo, il commercialista che per Odevaine portava i soldi in Svizzera e insieme all’ex ministro Giovanna Melandri ha dato vita alla fondazione Human, è finito ai domiciliari. Quanto a Gramazio l’accusa è di aver svolto un ruolo di collegamento tra l’organizzazione e le istituzioni, ponendo al servizio di Mafia capitale il suo ruolo politico. E ancora dagli atti emerge il ruolo di Gianni Alemanno. Per le elezioni alle europee del 2014, l’ex sindaco, avrebbe ottenuto l’appoggio di Buzzi e degli uomini della cosca ’ndranghetista dei Mancuso di Limbadi.
Valentina Errante
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SARA MENAFRA, IL MESSAGGERO -
L’ex presidente del consiglio comunale e attuale consigliere del Pd Mirko Coratti che è stato soprannominato ”Balotelli” perché «gioca da solo e non fa alleanze con nessuno». Daniele Ozzimo, ex assessore alla casa, che sarebbe in rapporti con i vertici di Mafia capitale fin dalla scorsa consiliatura e di cui loro ogni tanto si lamentano per le troppe richieste economiche («Ci è esoso» dice Buzzi). Eppoi Giordano Tredicine, vice presidente del consiglio comunale per il Pdl che dice ancora Buzzi col suo stile non esattamente sobrio, «ce li ha tutti i vizi, è un porco».
E via via fino ai nomi meno noti, specie al di là del raccordo anulare: Massimo Caprari del Centro Democratico, arrestato, Pierpaolo Pedetti del Pd, arrestato, l’ex presidente del Municipio di Ostia, Tassone, che non è di destra né di sinistra «è mio». E qui e là nell’ordinanza a sostegno della nuova retata di arresti, intercettazioni non proprio commendevoli che coinvolgono Francesco D’Ausilio, ancora del Pd e Luca Giansanti della Lista Marino.
IL SISTEMA
È un’immagine devastante quella del consiglio comunale capitolino in carica che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare eseguita ieri dai Carabinieri del Ros. Persino più estesa di quella della Regione dove pure siede l’unico politico di questa nuova ”retata” accusato di mafia e non di corruzione aggravata, Luca Gramazio e dove un dirigente di peso come Maurizio Venafro è accusato di aver gestito la trattativa su un appalto sanitario «per conto di Zingaretti».
Il sistema emerge limpido, quando, al cambiamento di maggioranza comunale, l’organizzazione capeggiata dall’ex nero Massimo Carminati e dal leader delle coop sociali Salvatore Buzzi, aggancia Mirko Coratti. Buzzi spiega la sua filosofia al capo di una coop amica, Claudio Caldarelli.
Caldarelli:
«Mi chiama Giordano e mi dice “io ho parlato con Coratti”...lui dice che lui sulla gara Ama 27 lui non se la po’ carica’ tutta quanta dice ”una parte se.. deve esser a carico dell’opposizione che..”»
Buzzi:
«Io sono andato da lui e gli ho detto ”che me dici, ce sto dentro o sto fuori”, poi m’ha chiesto il rapporto tra noi e Giordano (Tredicine ndr).. guarda ”bisogna sta attenti a scenne dal taxi ..perché co noi sali ma non scenni più” ho fatto però ”a noi Giordano c’ha sposati (inc) e semo felici de sta co Giordano..(inc)…” ho detto Mirko stamo de qua.. e stamo de là...».
Un amicizia, quella con Tredicine, che sarebbe durata nel tempo, visto che il consigliere è accusato di essersi messo a servizio dell’organizzazione, in cambio di continue promesse di denaro. Anche il nero Carminati apprezza.
Buzzi:
«C’è Giordano che è un porco li mortacci sua... Giordano ce li ha tutti i vizi!»
Carminati:
«C’ha i soldi...c’ha a cosa..»
Buzzi:
«Glielo dico sempre ”a Giordà se non te arrestano diventerai primo Ministro” me fa’ dice: ”perché me possono arrestà?” ...li mortacci tua...te possono arresta’ (ride). Però come sto sul pezzo a Giordano non c’ho mai visto nessuno ehh.. credimi, mai nessuno!»
Carminati:
«Quello viene dalla strada!»
Buzzi:
«Come sto sul pezzo ho detto!...te dice na cosa... poi devi scende dal taxi perché sennò gira sempre il tassametro..»
Carminati:
«No, lui ricambia è serio poi è uno che è poco chiacchierato, nonostante faccia un milione di impicci»
Solo per gestire il rapporto con Coratti, il capo della sua segreteria, Franco Figurelli, avrebbe ricevuto 1000 euro al mese, mentre Coratti doveva riceverne 150mila e ne avrebbe sicuramente accettati 10mila più l’assunzione di persone di sua fiducia.
Decisivo sarebbe anche l’appoggio del capogruppo Pd Francesco D’Ausilio, la cui posizione è tutta da chiarire. Di certo sul suo conto Buzzi è fiducioso. Tanto che a novembre 2014, quando la poltrona del sindaco Marino sembra vacillare, Buzzi rassicura i suoi: «Noi comunque … ti dico una cosa … lui (Marino ndr) se resta sindaco altri tre anni e mezzo, con il mio amico capogruppo ci mangiamo Roma» .
Le commesse interessanti per l’organizzazione sono di ogni livello e prevedono la conoscenza e l’asservimento di tutti i dirigenti nei settori strategici, specie in Ama, assessorato alla casa e servizio giardini. La regola, la sintetizza Massimo Carminati in persona, quando Buzzi annuncia che un altro funzionario, Gaetano Altamura, accetta soldi. Carminati sentenzia: il funzionario pubblico «o se caccia o se compra, se si compra è meglio».
MI VENGONO I CONSIGLIERI
Di certo, la richiesta di denaro appare costante. Coratti, ne avrebbe chiesti anche per un primo incontro, come racconta Buzzi alla collaboratrice Bugitto.
Buzzi:
«A proposito di Coratti, c’ho una cosa per 10 mila euro, eccolo qua, già, prima ancora di parlare 10 mila euro»
Bugitto:
«Un caffè 10 mila euro ?... Un cappuccino da noi son 15 mila allora?»
Buzzi:
«Ieri abbiamo preso altri 2 appartamenti, ormai io arrivo in un consiglio Comunale vengono i consiglieri da me ..., mi dai il documento»
Garrone:
«Certo che non stanno mesi troppo bene sti consiglieri in termine di moralità».
Sara Menafra
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ILARIA SACCHETTONI, CORRIERE DELLA SERA -
Quarantaquattro nuove misure cautelari eseguite per Mafia Capitale colpiscono la giunta capitolina e fanno traballare anche quella regionale. Nel mirino dei magistrati sono finiti la gara per il cento unico di prenotazioni della sanità — un affare da 20 milioni di euro assegnato (anche se poi revocato) a una delle coop di Salvatore Buzzi, da dicembre finito al carcere duro del 41 bis. In carcere finiscono, tra gli altri, l’ex presidente della assemblea capitolina, Mirko Coratti, il consigliere di opposizione Luca Gramazio (figlio del senatore Domenico), il consigliere del Pd Daniele Ozzimo, il presidente della commissione patrimonio, Pierpaolo Pedetti (Pd) e l’ex presidente della commissione regionale per la gara del Recup, Angelo Scozzafava, più l’imprenditore Daniele Pulcini.
Tra i fatti contestati, l’aggiudicazione degli appalti per gestire l’emergenza profughi, immigrati e quella sociale. Ma anche la manipolazione delle assegnazioni per gli immobili in vendita del Comune, la gara per l’assegnazione della manutenzione dei residence, le forniture per i centri di accoglienza immigrati che chiamano nuovamente in causa Luca Odevaine, l’ex capo di gabinetto di Walter Veltroni. Le accuse vanno dalla corruzione aggravata (in qualche caso con l’aggravante mafiosa) alla turbativa d’asta per molti funzionari e dirigenti capitolini.
Il più colpito da questa seconda tranche d’inchiesta è il cosiddetto «capitale istituzionale» di Mafia Capitale, già descritto nella prima ordinanza (ma ora ripetuto): «Le attività di indagine svolta — scrivono i magistrati coordinati dall’aggiunto della Dda Michele Prestipino e dal procuratore capo Giuseppe Pignatone —hanno consentito di acquisire rilevanti elementi di prova in merito al fatto che Mafia Capitale ha tra i suoi obiettivi primari la acquisizione di attività economica realizzata avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo. L’attività di Mafia Capitale, al fine di ottenere il controllo di appalto lavori pubblici, si avvale anche di metodi tipicamente corruttivi»
L’inchiesta dei pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli rivela l’esistenza di un apparato amministrativo infiltrato e al soldo di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati e dei rispettivi collaboratori (reclutati indistintamente fra piccoli contabili e pura e semplice manovalanza criminale, perché il duo, nel suo insieme, non rinuncia ad attività di estorsione e usura più tradizionali della mala romana). Le contestazioni riguardano fatti recenti, ricostruiti — grazie alle intercettazioni — nel corso degli ultimi mesi e in qualche caso addirittura in seguito alla prima retata del 2 dicembre scorso. Oggi i primi interrogatori di garanzia del gip Flavia Costantini.
Ilaria Sacchettoni
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FIORENZA SARZANINI, CORRIERE DELLA SERA -
Le nuove accuse a carico di Luca Odevaine e della sua gestione della «emergenza immigrati» nascono da una sorta di «doppia vendita» delle proprie funzioni: oltre che a Buzzi e alle sue cooperative, come era già emerso nella prima fase dell’inchiesta, ecco che ora vengono alla luce i «rapporti di natura corruttiva con esponenti del gruppo imprenditoriale La Cascina», vicino a Comunione e liberazione. Nei loro confronti Odevaine avrebbe «messo a disposizione il suo ruolo istituzionale di appartenente al Tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale», nonché di «componente delle tre commissioni di gara per l’aggiudicazione dei servizi di gestione del Centro assistenza di Mineo, ricevendo in cambio la promessa di una retribuzione fissa mensile determinata in una prima fase in 10.000 euro, elevata a 20.000 dopo l’aggiudicazione della gara del 7 aprile 2014».
I pagamenti dovevano avvenire in contanti, per non lasciare tracce, e le microspie dei carabinieri del Ros hanno registrato colloqui in cui si parla — in almeno un’occasione — di una busta estratta da uno zainetto, «non sapevo dove metterli... li ho messi qua tutti...», consegnata a Odevaine «il quale la riponeva velocemente nel suo zaino». Di tutto si occupava il commercialista Stefano Bravo, ora ai domiciliari, impegnato a trovare un modo per occultare i proventi illeciti. In realtà per Odevaine le tangenti sono «le mie spettanze» e quando gli imprenditori non pagano minaccia di «ritardare i finanziamenti». Del resto quale sia il suo ruolo è lui stesso a delinearlo in un’intercettazione: «Avendo questa relazione continua con il ministero... sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da giù... e poi... da Mineo... vengono smistati in giro per l’Italia...».
Così, in un’altra intercettazione, racconta la storia dell’affidamento dell’appalto per il Cara di Mineo. E spiega, ad esempio, di quando fu mandato dall’ex capo della protezione civile (oggi prefetto di Roma) Gabrielli ad affrontare l’emergenza degli sbarchi in Sicilia: «Cominciai a fare un ragionamento con Giuseppe Castiglione (sottosegretario alle Politiche agricole del governo Renzi, per il Nuovo centrodestra, ndr ), parlai con Francesco (Ferrara, vicepresidente de La Cascina, ndr ) perché mi sembrava che non si potesse gestire tutta quella roba solo in Sicilia. Dissi, una volta nella vita, vorrei quantomeno non regalare le cose insomma... Almeno io da questa roba qua... ce vorrei guadagnà uno stipendio pure pe’ me... C’è una parte che all’inizio appunto erano 5.000 euro, poi sò diventati 10.000... dopodiché avevamo fatto un ragionamento su Roma... su tutti centri che sò riusciti ad avere...». Ricompense a parte, Odevaine rivela che quando andò in Sicilia, «Giuseppe Castiglione... mi è venuto a prendere lui all’aeroporto... mi ha portato a pranzo... arriviamo al tavolo... c’era pure un’altra sedia vuota... dico “chi?”... e praticamente arrivai a capì che quello che veniva a pranzo con noi era quello che avrebbe dovuto vincere la gara».
Se i responsabili de La Cascina fanno storie, Odevaine minaccia di far ottenere gli appalti ad altre: «C’ho richieste da parte del ministero di apertura di altri centri e li sto dando ai vostri concorrenti». Più volte scandisce il suo tariffario: «Su San Giuliano io gli chiederei 2 euro (a persona ospitata, ndr ) che sono all’inizio sui 500 perché si inizierà da 500, sò 300 e ... 32.000 euro al mese e possono diventare 60 no?». In un’altra conversazione la tangente è calcolata diversamente: «Possiamo pure quantificare... se me dai cento persone facciamo un euro a perso... non lo so, per dire, hai capito? E basta, uno ragiona così... ti metto 200 persone a Roma, 200 a Messina... 50 là e... le quantifichiamo».
Si vanta di essere riuscito «ad agganciare Manzione», il sottosegretario all’Interno con delega all’immigrazione. Quanto alle sponsorizzazioni politiche de La Cascina, quando Salvatore Buzzi chiede se «Comunione e Liberazione appoggia Alfano», Odevaine risponde: «sì... stanno proprio finanziando... sono tra i principali finanziatori di tutta questa roba sì... e Lupi è... e si sta dentro... e infatti è il Ministro delle Opere pubbliche (all’epoca ancora non si era dimesso, ndr ) ... e Castiglione fa il sottosegretario... ed è il loro principale referente in Sicilia...».
Fiorenza Sarzanini
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ERNESTO MENICUCCI, CORRIERE DELLA SERA -
Questo 4 giugno, probabilmente, Ignazio Marino lo aveva immaginato diverso: la visita della presidente cilena Michelle Bachelet, il giro per il mercato di Testaccio, la passeggiata a Tor di Quinto in bicicletta, l’anniversario della Liberazione, che nel ‘44 pose fine all’epoca buia di «Roma città aperta». E invece, già di buon’ora, il chirurgo dem, quello che ancora oggi ripete di «essere prima medico e poi sindaco» deve fare i conti con le agenzie che battono i nomi degli arrestati della seconda ondata di Mafia Capitale, romanzo a puntate che sta travolgendo la politica romana. Fa un caldo torrido, quasi africano, una di quelle giornate nelle quali il ponentino è un ricordo e i vestiti ti si appiccicano addosso, e Marino sembra nervoso, insofferente. Le prime dichiarazioni sono di maniera: «Sono orgoglioso e felice del lavoro che sta svolgendo il procuratore Giuseppe Pignatone».
E poi: «Oggi in Campidoglio ci sono persone perbene». È la linea scelta, fin dall’alba. O magari da prima. Solo che, poi, lo specchio si incrina, il nervosismo viene fuori. Basta un cronista che, appena la Bachelet risale in macchina, fuori dal mercato di Testaccio, gli chieda un commento e a Marino saltano i nervi: «Cercate di dimostrare che siete educati. Sto salutando la presidente di una Repubblica e noi siamo persone che hanno un certo stile, non so voi». E ancora: «La buona educazione non è disseminata col Dna, alcuni ce l’hanno, altri no. Bisogna fare appello a quella, merce rara. Cercate di avere un po’ di dignità personale». Poi, come se niente fosse, riparte. Dimissioni? «Continuiamo in questo modo, stiamo cambiando tutto». E Pignatone «ha agito col bisturi, per togliere questo ascesso». La seconda puntata, però, tocca pesantemente il Pd: un ex assessore della giunta Marino (Ozzimo), l’ex presidente dell’Assemblea Capitolina Mirko Coratti e un consigliere (Pedetti), finiscono agli arresti. Stessa sorte tocca ad Andrea Tassone, ex presidente di Ostia, potenziale «tallone d’Achille» del Pd: è vero che Tassone si dimise prima che la magistratura lo travolgesse, ma era lui il soggetto attorno al quale Matteo Orfini e lo stesso Marino volevano costruire «la super-giunta della legalità» coi deputati democrat Livia Turco, Roberto Morassut, Marco Causi. Tutti dissero no, si scoprì che Tassone era indagato per un’altra vicenda e il progetto è naufragato. Marino sembra aver rimosso tutto: «Nessun personaggio della mia giunta è coinvolto». E poi: «Il Pd è il popolo delle persone perbene, che mi ha eletto e mi sostiene, e che sta comprendendo quale conflitto epocale stiamo conducendo. Abbiamo eliminato monopoli che esistevano da 50 anni, introdotto atti che impediscono gare senza trasparenza: ogni singolo euro dei romani viene speso con strumenti di eviden- za pubblica». E l’arresto anche di Massimo Caprari (consigliere Centro democratico)? «I colMirko pevoli vanno puniti». Per il momento, in consiglio comunale si faranno le «surroghe»: fuori gli arrestati, dentro i primi dei non eletti. Fino a qui la funzionalità pratica. Il problema, però, è quella politica. Dice un esponente della maggioranza: «Questa amministrazione è tecnicamente finita». Perché col clima che c’è, far passare un atto in aula Giulio Cesare sarà sempre più difficile (ieri il consiglio non si è neppure aperto: mancava il numero legale). E la maggioranza rischia di finire «appesa» a Sel, che proprio oggi vedrà il sindaco. Così, al di là dell’ufficialità, tutti si chiedono: «dimissionare» Marino, aspettare che il prefetto Gabrielli decida se sciogliere? Tra i due, ieri, c’è stata una telefonata «cordiale». Ma, a breve, potrebbero anche ritrovarsi su sponde contrapposte. All’ora di pranzo, Marino va (con Zingaretti) da Orfini al Nazareno. Dopo di lui, il capogruppo Fabrizio Panecaldo, la presidente dell’aula Valeria Baglio, l’ex vicesegretario romano Luciano Nobili. Un consiglio «di guerra» nel quale viene data la linea: Marino rassicura e viene rassicurato, Orfini lo invita ad andare avanti. Intorno al sindaco c’è chi pensa a «riscrivere il patto con la città», allargando la maggioranza. Ma i dem, da parte loro, si chiedono: e se arrivano altri indagati? Fa un caldo torrido, a Roma. E Mafia Capitale 2 non è ancora finita.
Ernesto Menicucci
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MARIA ELENA VINCENZI, LA REPUBBLICA –
Mafia Capitale, secondo atto. Ancora una volta, Roma viene travolta dal ciclone giudiziario. Ieri mattina gli uomini del Ros, coordinati dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dai pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, hanno arrestato 44 persone con accuse che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso alla corruzione aggravata, passando per la turbativa d’asta, il trasferimento fraudolento di valori e le false fatturazioni. Manette bipartisan che hanno coinvolto politici di destra e di sinistra con le loro segreterie e dirigenti di dipartimento.
Perché se è vero che Massimo Carminati è uomo di destra, altrettanto vero è che il suo socio, Salvatore Buzzi, è uomo di sinistra, capace di accaparrarsi simpatie con la nuova giunta. Tanto che è lui a dire ai suoi collaboratori: «Se Marino resta sindaco altri tre anni e mezzo, ci mangiamo Roma».
Il sistema funzionava. Buzzi e Carminati garantivano a chi li agevolava mazzette, donazioni alle campagne elettorali e assunzioni di parenti e amici. Ma i politici dovevano rispondere agli ordini perché, come diceva l’ex Nar: «I consiglieri comunali devono stare ai nostri ordini. Te pago, fai quello che ti dico». A finire in manette il consigliere regionale Luca Gramazio: per il gip Flavia Costantini è un sodale a tutti gli effetti. Arrestato anche l’ex presidente del consiglio comunale di Roma Mirko Coratti (Pd) e l’ex assessore capitolino alla Casa Daniele Ozzimo (Pd): entrambi si erano dimessi a seguito del primo blitz di dicembre. L’accusa è di avere ricevuto una serie di favori economici in cambio di un aiuto alle cooperative di Buzzi. Ordinanze di custodia anche per i consiglieri comunali Giordano Tredicine (FI) e Massimo Caprari (Centro Democratico), per l’ex direttore del Dipartimento politiche sociali di Roma Capitale Angelo Scozzafava, nonché per Andrea Tassone, ex presidente del Municipio di Ostia. Ai domiciliari tre manager della cooperativa “La Cascina”, mentre uno è in carcere per gli episodi di corruzione sul business degli immigrati. Tra le 21 perquisizioni anche una nell’abitazione dell’ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti, Maurizio Venafro, indagato per tentativo di turbativa d’asta relativamente all’appalto, poi sospeso, sul Cup della Regione Lazio. Nelle carte ancora Luca Odevaine, già detenuto e considerato al centro di un «articolato meccanismo corruttivo» in qualità di appartenente al Tavolo di Coordinamento Nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo. Ancora una volta, nelle carte spunta il nome di Gianni Alemanno. Per le elezioni al Parlamento europeo del maggio 2014, l’ex sindaco, secondo l’accusa, chiese appoggio a Salvatore Buzzi. Quest’ultimo si sarebbe mosso per ottenere il sostegno alla candidatura anche con gli uomini della cosca ‘ndranghetista dei Mancuso di Limbadi.
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CARLO BONINI, LA REPUBBLICA –
In una saga giudiziaria di cui non si indovina la fine, l’inchiesta “Mafia Capitale” dalla “ Terra di mezzo” di Tolkien approda alla “ Fattoria degli animali” di Orwell. Per svelare che chi ha avuto in pugno Roma non era il Maiale della profezia. Ma un’insaziabile Mucca, come documentano le 428 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare del gip Flavia Costantini che apre le porte del carcere a 44 tra consiglieri comunali e regionali, funzionari pubblici, manager delle cooperative del Terzo Settore. La Mucca politicamente transgenica di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Perché, come ghigna al telefono il Grande Elemosiniere e Mafioso della “Cooperativa 29 giugno”, «‘A sai la metafora no? Se vuoi mungere la mucca, la mucca deve mangiare. E l’avete munta tanto. Tanto…». Fino a quando la mucca non si è mangiata tutto e tutti.
“I POLITICI ASSERVITI”
In un catalogo, che è insieme antropologico, criminale, politico, dalle mammelle della mucca — «la mangiatoia», per dirla ancora con Buzzi — suggono infatti bocche voraci. «Funzionali — scrive il gip — ad asservire agli interessi del gruppo quei politici che gravitavano nei segmenti delle istituzioni maggiormente interessati ai rapporti con il gruppo medesimo». La corruzione non è uno strumento, ma la norma. Che definisce, in «un rapporto continuativo nel tempo», il rapporto di forza capovolto tra pubblica amministrazione e Politica (il Mondo di Sopra) e la violenza della strada (il Mondo di sotto). Assessori oggi ex (quello Pd alla casa Daniele Ozzimo), consiglieri comunali (il pd Pierpaolo Pedetti, il centrista Massimo Caprari, il pdl Giordano Tredicine), il già Presidente dell’Assemblea Capitolina (il pd Mirko Coratti), il “dimissionato” presidente del Municipio di Ostia (il pd Andrea Tassone), pezzi da novanta della maggioranza di ieri e opposizione di oggi (Luca Gramazio, già capogruppo in Campidoglio con Alemanno e quindi capogruppo del centro-destra in Regione), sindaci (quello di Castelnuovo di Porto, Fabio Stefoni) non danno ordini. Li prendono. Perché — dice Buzzi — «se li semo comprati». Quindi, «giocano con me». E la regola non deve conoscere eccezioni. Come lui stesso spiega a Carminati. «Per me Pedetti (consigliere Pd e presidente della commissione patrimonio e politiche abitative, ndr) se ne va affanculo — si sfoga — Questi consiglieri comunali devono sta’ ai nostri ordini. Ma perché io devo sta’ agli ordini tuoi? Io te pago! E me fai ancora lo stronzo? Ma vaffanculo». «Ma sì, ‘sti pezzi di merda», chiosa l’interlocutore. Che, aggiunge: «I funzionari pubblici o li cacci o li compri».
“SEMO DIVENTATI GROSSI”
Filosofeggia Buzzi con Carminati e Fabrizio Testa, il loro spiccia faccende, cui ieri è stato contestato in carcere un altro rosario di capi di imputazione per corruzione: «Me li sto’ a compra’ tutti. Semo diventati grossi». Con una chiosa. Che «bisogna sta’ attenti a scenne dal taxi... Perché co’ noi sali. Ma non scendi più». Ed è vero. Come nel diamante della pubblicità, legarsi al carro della ditta è «per sempre». L’unica variabile è nei termini del baratto.
Per Coratti, «che sta’ sempre a rompe er cazzo», «la stecca è di 150 mila euro per sbloccare 3 milioni di euro sul sociale» e per intervenire sulle gare d’appalto dell’Ama, la municipalizzata dei rifiuti, «più mille al mese per il suo capo della segreteria (Franco Figurelli, ndr), «più 10 mila che gli ho dovuto porta’ la prima volta solo per metteme a sede’ a parla’». Ma, soprattutto, per «costruire quel consenso politico nell’Assemblea capitolina» necessario ad approvare la delibera che autorizza debiti fuori bilancio. La voce di spesa “straordinaria” che ha messo in ginocchio Roma in questi anni e ne ha svuotato le casse. Quella con cui viene regolarmente saldato Buzzi, legata a “eventi straordinari” che tali non sono, ma che come tali vengono considerati. Due su tutti: l’emergenza abitativa e quella dell’accoglienza dei migranti. Un welfare due volte nero. Nelle procedure (affidamento diretto) e nelle “stecche”, che rimangono appiccicate alle mani di chi quel denaro eroga.
Per un tipo come Andrea Tassone, invece, di euro ne dovrebbero bastare 30 mila. «Anche se quello — si lamenta Buzzi indignato — m’ha chiesto il 10 per cento in nero dell’appalto. Te rendi conto? Nun se vergognano de gnente». Già, il 10 per cento di 1 milione per il verde urbano di Ostia che Buzzi è in grado di far arrivare dalle casse della Regione a quelle del Municipio, a patto di esserne il destinatario. «Gliel’ho spiegato a quello. Una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso».
Qualcun altro, come il “neofita” consigliere di maggioranza Massimo Caprari, non sa invece che pesci prendere. Vende a Buzzi il suo voto sulla delibera che autorizza i debiti fuori bilancio per «l’assunzione di un facchino all’università Roma 3». Salvo poi pregarlo, di «regolarsi come si regola normalmente per gli altri consiglieri».
“L’IMPICCIO TRIANGOLARE”
Naturalmente c’è del metodo nel «fare impicci». E Buzzi è maestro. Come documenta un impiccio più esemplare di altri, che lui liquida ai suoi come «un quasi reato », «una cortesia all’amministrazione comunale ». Il gip, come «esempio di corruzione multilivello di tipo triangolare», che tiene insieme «interessi privati», Regione e Comune. E tanto più odiosa perché costruita sull’emergenza abitativa, una delle piaghe di Roma.
Accade infatti che la “Società cooperativa deposito locomotive Roma san Lorenzo”, strangolata dai debiti, abbia urgenza di trovare un compratore per 14 appartamenti invenduti a Case Rosse, nella zona di Settecamini. E che si possa dunque mettere su un «bell’impiccio» che lasci soddisfatti tutti. Gli appartamenti li comprerà Buzzi per 3 milioni di euro. Ma con soldi che non ha. Il patto prevede infatti che la Regione stanzi a favore del Comune somme straordinarie (7 milioni di euro) che l’assessore alla casa Ozzimo utilizzerà per prorogare, «nel dispregio di ogni norma», convenzioni fuori mercato per l’emergenza abitativa con Buzzi. Il quale, ne utilizzerà una parte per salvare appunto la “Coop san Lorenzo”. Un patto che diventa addirittura un contratto preliminare di compravendita, dove la clausola di salvaguardia è, appunto, che a Buzzi arrivi quel denaro pubblico. Ozzimo, del resto, è un altro di quelli «a libro paga ». Uno che chiede e a cui «dai». Fosse anche «l’assunzione di una ragazza al bioparco ».
LA CERTEZZA DELL’IMPUNITÀ
Nello zoo di Buzzi, ballano in molti. Nomi che le carte dell’inchiesta documentano, come quello dell’ex capogruppo del Pd in comune e grande nemico di Marino, Francesco D’Ausilio (interessato, attraverso la moglie, alla vicende di Ostia) o il capogruppo in Regione della Lista Zingaretti Michele Baldi. Né l’uno, né l’altro indagati, eppure evocati nei conversari di chi si agita intorno alla Mucca. Anche perché — è la certezza di tutti — nessuno pagherà dazio. Dovessero pure mettersi male le cose. «Io — ride Buzzi — tre mesi a Regina Coeli me li faccio fumando. Tanto poi te devono mette’ fori».
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GOFFREDO DE MARCHIS, LA REPUBBLICA –
Non arretrare, “metterci subito la faccia”, difendere il sindaco Marino e ribattere colpo su colpo alle accuse di Grillo. Matteo Renzi concorda la strategia di prima mattina con il presidente del Pd Orfini. Nella risposta studiata dal Pd si avverte anche l’effetto delle regionali di domenica scorsa. Fa soprattutto paura l’offensiva del Movimento 5 stelle, partito che ha dimostrato di poter lottare anche alle amministrative. Non c’è alternativa alla giunta Marino: questo è il muro che va alzato immediatamente. Perché l’idea del commissario prefettizio porta dritti a nuove elezioni nel 2016 e agita lo spettro peggiore per il Partito democratico: un grillino in Campidoglio.
Orfini prende in mano la situazione. Dopo la telefonata col premier convoca un vertice con il sindaco e il presidente della Regione Nicola Zingaretti. Ma Renzi vuole far sentire il peso del segretario e approfitta di una domanda sulle tangenti alla presidente del Cile Michelle Bachelet, problema che non riguarda solo il Sudamerica. «Un paese solido — dice Renzi — è quello che combatte la corruzione con grande decisione e grande forza, mandando chi ruba in galera. Naturalmente nel rispetto della presunzione di innocenza. Ma quando arriva la sentenza definitiva è giusto che chi ha violato le regole paghi fino all’ultimo giorno e all’ultimo centesimo ». A questo punto la palla passa a Orfini, commissario di Roma nominato dopo la prima ondata di Mafia Capitale. A lui tocca il compito di blindare Marino. «Le indagini adesso nascono dalle nostre denunce e dalla carte portate in procura dal sindaco — sottolinea Orfini — . Se avessi solo un minimo dubbio sul partito attuale non ci avrei messo la faccia». Il presidente Pd si presenta in conferenza stampa da solo, va in tv, occupa i telegiornali. La destra è un bersaglio facile: l’inchiesta colpisce innanzitutto loro sebbene siano coinvolti anche tanti dirigenti dem. Il problema sono i grillini. E’ evidente che puntano a Roma. Il Campidoglio, una vetrina internazionale tanto più con il Giubileo della Misericordia alle porte, gli darebbe lo slancio per una vittoria nazionale. Questo è l’aspetto che più preoccupa Palazzo Chigi e Largo del Nazareno. E se il terreno di scontro è la legalità, Marino non può e non deve essere toccato.
C’è un’ala renziana che va da Michele Anzaldi a Roberto Giachetti a Paolo Gentiloni convinta che non sia il sindaco la risposta giusta al marcio di Roma. Ma il Pd deve affrontare unito questo passaggio e per questo Lorenza Bonaccorsi, anche lei ex rutelliana, viene coinvolta nell’argine a difesa del primo cittadino. Al vertice partecipa Nicola Zingaretti, nonostante il pasticcio sia quasi interamente comunale e lui sia molto distante sia da Renzi sia da Orfini. L’importante però è non replicare in questa vicenda la profonda divisione che agita i dem a livello nazionale su riforme e voto alle regionali. Per fare i “fratelli coltelli” c’è la direzione di lunedì prossimo. «Dalla Procura viene un lavoro importante e utile per fare chiarezza — dice il governatore del Lazio Zingaretti — . Da parte nostra, in Regione, abbiamo fatto di tutto per governare bene, rafforzando la legalità e la trasparenza. Andremo avanti così, sempre più determinati ».
Ma Grillo salta sull’inchiesta. Lancia sul blog l’hashtag #Marinodimettiti. Il leader parlamentare Luigi Di Maio accusa tutto il Pd e chiede le dimissioni del sin- daco e di Orfini. Gli attivisti sono mobilitati. E Orfini ribatte anche qui: ruspe a Ostia contro gli abusivi, carte in procura, appalti cambiati e controllati dall’anticorruzione. Il Pd romano sbandiera la sua rivoluzione. Eppure l’inchiesta travolge anche uomini nuovi di quella parte politica. «Sulla legalità stiamo facendo il massimo», conclude Orfini. Eppure le opposizioni scommettono sul voto anticipato a Roma. Comprese quelle coinvolte nell’inchiesta come Forza Italia. Si scaldano infatti grillini, Giorgia Meloni a destra e Alfio Marchini al centro. Contrattaccano anche gli azzurri. I capigruppo Paolo Romani e Renato Brunetta firmano una dichiarazione congiunta puntando all’azzeramento. «L’amministrazione di Roma, in cui emergono infiltrazioni criminali e collusioni anche dell’attuale gestione, non può andare avanti. Nonostante gli sforzi di illusionismo del Partito democratico, anche nelle ultime ore, ognuno è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità», scrivono. Vogliono la testa di sindaco e governatore. «È compito della politica romana, a partire dalla sinistra, oggi al governo della città e della Regione, dire finalmente ‘basta’ all’umiliazione della Capitale d’Italia. Marino e Zingaretti con le loro giunte devono dimettersi».
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FRANCESCO GRIGNETTI, LA STAMPA –
Mafia Capitale, secondo round. Quarantaquattro nuovi arresti. Finiscono in manette il consigliere regionale Luca Gramazio, Pdl, definito «volto istituzionale» del sodalizio mafioso; l’ex presidente del consiglio comunale Mirko Coratti, Pd, detto “Balotelli” perché gioca solo per sé (e pretende da Buzzi 150 mila euro), un altro consigliere comunale del Pdl, Giordano Tredicine, della famiglia che gestisce decine di camion-bar a Roma (Massimo Carminati, che se ne intende, garantisce: «È poco chiacchierato, nonostante faccia un milione di impicci»), o ancora Daniele Ozzimo, ex assessore alla Casa, Pd; un altro consigliere comunale dem, Pierpaolo Pedetti, presidente della Commissione Patrimonio, pass-partout di Mafia Capitale alle prossime dismissioni immobiliari; Massimo Caprari, capogruppo di Centro Democratico, raggruppamento di Tabacci.
I nuovi affari
Ecco le nuove frontiere per la Terra di Mezzo. Si conosceva la corsa ad arricchirsi sulla pelle di rom, rifugiati, minori. Odevaine pretendeva una tangente da 1 euro a profugo. Ma anche al sindaco di Castelnuovo di Porto, purché non s’intrometta, promettono di 50 centesimi a ospite. La cooperativa di Buzzi si arricchiva anche sull’assistenza agli sfrattati. Buzzi si vanta: «Hai visto l’assistenza alloggiativa? Noi siamo quelli più pagati». Per la raccolta rifiuti multimateriale, peraltro, la municipalizzata li pagava 900 euro a tonnellata quando il costo medio nel resto d’Italia è 300. E poi c’è la corsa al centralino unico prenotazioni: un affare da 60 milioni di euro per Buzzi. Il bando è stato ritirato in extremis dal Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, allo scoppio dello scandalo: grazie all’interessamento di Gramazio, che pretendeva il rispetto di quote prefissate per l’opposizione, la gara d’asta era stata palesemente falsata e Buzzi, attraverso una sigla di comodo, si è aggiudicato uno dei quattro lotti. Per questa vicenda si è già dimesso Maurizio Venafro dall’incarico di caposegreteria di Zingaretti; ieri gli hanno perquisito casa.
Perché questo capitolo
Da novembre a oggi, il Ros dei carabinieri ha continuato a indagare sotto la direzione della procura di Roma. Nuove intercettazioni sono state sbobinate. È documentata una miriade di nuovi casi di corruzione. «La mucca deve mangiare», ripeteva ossessivamente Buzzi ai suoi interlocutori. Si preoccupa anche di aiutare l’amico Gianni Alemanno alle Europee, candidato nella circoscrizione Sud. Sollecita l’interesse di sette ’ndranghetisti calabresi. «Dategli i mafiosi che quelli controllano i voti … te lo votano no?».
Marino circondato
Il sindaco Marino vorrebbe cacciare subito l’amministratore dell’Ama, Giovanni Fiscon, messo lì da Alemanno e invischiato con Mafia Capitale. Finisce invece che Buzzi lo fa andare in minoranza. Esulta: «Mi merito l’Oscar per la regia». Quando fa ritirare da una gara ben quattordici altre cooperative, a un concorrente dice a brutto muso: «Guarda, il Pd sono io». «Capisco - si sfoga ora il sindaco - la rabbia dei cittadini romani, sono più arrabbiato di loro. Questo signore ha tentato di pagare le persone per contrastare il cambiamento». Il Pd fa quadrato. Dice Matteo Renzi: «Chi ruba va in galera e paga». Ma le opposizioni chiedono le dimissioni e di tornare al voto. Tra qualche settimana sarà il prefetto di Roma, Gabrielli, a decidere se il consiglio comunale della Capitale va sciolto. Sarebbe uno smacco inaudito, alle soglie del Giubileo straordinario.
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GUIDO RUOTOLO, LA STAMPA -
Ridevano Luca Odevaine e il suo commercialista Stefano Bravo, quando parlavano del bando «abbastanza blindato» per far vincere la gara alla impresa amica («La Cascina») per la gestione dei servizi al Cara di Mineo.
Si specula sulla sofferenza, sul dolore, sulle tragedie. Quando esplose Mafia capitale, agli inizi del dicembre scorso, la vicenda dei migranti fu solo accennata, anche se finì in carcere Luca Odevaine, l’ex collaboratore del sindaco Walter Veltroni, componente del Tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti protezione umanitaria.
E adesso che quei fatti sono stati approfonditi (ed altri sono emersi), colpisce il cinismo e la crudeltà di un affarismo amorale, criminale. «Non avevo nessun potere nell’attivare centri o spostare immigrati - ha provato a difendersi nei mesi scorsi, Odevaine - il Tavolo di coordinamento dettava solo le linee generali della politica».
Politica trasversale, che non guarda (più) alle bandiere di appartenenza o ai valori. Quello che conta sono i soldi: «Quando scesi a Mineo cominciai a fare un certo discorso con Giuseppe Castiglione (sottosegretario all’Agricoltura, ex presidente provincia di Catania, ndr). Una volta nella vita vorrei non regalare le cose - confida a due dirigenti della impresa La Cascina - c’è vorrei guadagna’ uno stipendio pure pe me».
Diecimila euro al mese, anzi ventimila, trentamila rastrellati tra le aziende di Carminati-Buzzi e La Cascina. Scrive il gip: «Nel corso della conversazione (con i dirigenti de La Cascina, ndr) Odevaine individua il criterio di calcolo delle tangenti dovute in base al numero di immigrati ospitati nei centri: “se me dai cento persone facciamo un euro a persona... per dire, hai capito?”».
Parlando con il suo commercialista, Odevaine ammette: «Su Mineo avevamo stabilito che loro mi davano 10.000 euro al mese come contributo anche perché qui ci ho assunto qualche persona, figli dei dipendenti del ministero. Mo’ che abbiamo raddoppiato le presenze a 4000 persone, dobbiamo rivedere l’importo. Non può essere lo stesso... E quindi siamo passati a ventimila». E con il direttore del Consorzio “Calatino Terra d’accoglienza”, Giovanni Ferrera, Odevaine discute della confezione del vestito giusto (il bando) per la gara da far vincere alla Cascina per la gestione del più grande centro di accoglienza per rifugiati d’Europa, Mineo.
Nelle carte della Procura si riscrive la storia (criminale) della gestione di una emergenza profughi e clandestini che va avanti da troppi anni. Anche la rete di solidarietà dell’accoglienza gestita dai comuni, dagli enti locali (Sprar), nella lettura degli atti giudiziari si presenta con tante ombre. «Lo Sprar l’ho portato da 250 a 2500 - spiega Odevaine - io ho fatto la trattativa con la Pria (il prefetto Angela Pria, capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale, ndr) e so stati diciamo così ampliati a 2.500».
Nella ordinanza di custodia cautelare si chiama in causa anche un funzionario della Presidenza del consiglio, Patrizia Cologgi, che Odevaine voleva far nominare nella commissione di gara per l’apertura di un Centro di accoglienza a San Giuliano di Puglia. Ma l’arresto di dicembre di Odevaine, scrive il gip, «è scattato prima che fosse bandito l’avviso di gara e prima che fosse nominata la commissione aggiudicatrice».
C’è un passaggio di una intercettazione che fa sorridere. È quando parlando delle modalità di riscossione delle tangenti, Odevaine giustifica una certa cautela anche degli imprenditori de La Cascina: «Er casino dell’Expo è ’na roba di duecento milioni di euro. La gara di Mineo era de centocinquanta milioni di euro. Ma se ci mettiamo sopra San Giuliano, c’arriviamo a duecento milioni di euro».
Con gli arresti dei dirigenti de La Cascina, non si esaurisce certo il filone delle indagini sui centri di accoglienza per rifugiati. Non è solo Roma che indaga. C’è Napoli, con il filone delle onlus che dichiaravano presenze inesistenti di profughi a cui avrebbero prestato assistenza. E Catania, che indaga anche lei sul centro accoglienza di Mineo: ieri la procura siciliana ha effettuato perquisizioni definite «interessanti».
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FABIO MARTINI, LA STAMPA -
C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico nel modello-Roma che la magistratura sta disvelando: nella capitale di uno dei Paesi del G7 il governo della cosa pubblica da qualche anno era stato conquistato da un “partito unico” degli affari.
Un “unicum” che non si era mai visto, ma anche l’ultima reincarnazione dell’eterno “partito romano”: l’intreccio tra un potere pubblico - fortissimo e paternalistico in questa città sin dai tempi del Papa Re - e una miriade di interessi privati, sempre garantiti. Quelli che lo scrittore Alberto Arbasino definì già 40 anni fa «una quantità di piccoli ambienti, minuscoli clan». In queste ore il secondo affresco della Procura della Repubblica ha confermato e rafforzato il primo, che risaliva a sei mesi fa: due ex estremisti, uno di destra e uno di sinistra, “governavano” la destra e la sinistra istituzionale, al punto che Salvatore Buzzi in una intercettazione dice: «Il Pd sono io!». Ma a Roma un certo consociativismo tra poteri e fazioni contrapposte è una cultura cittadina che nasce da lontano.
Il Papa Re
Ci sono caratteri cittadini sui quali la storia ha un peso. Quando i piemontesi “conquistano” Roma scoprono che nella città dei Papi, assieme ad un sistema produttivo e sociale arretratissimo, lo Stato è il protagonista assoluto: la “pace alimentare” è stata garantita per secoli dal pane, dalla farina e dalla carne approvvigionate dall’efficiente sistema della Pontificia Annona e della Grascia. Un imprinting che non si è più perso, quello della mano pubblica sempre attenta agli interessi privati. Col boom degli impiegati pubblici, ben retribuiti, nella nuova Capitale umbertina; con le prime speculazioni edilizie, promosse dal cardinale De Merode; col fascismo, generoso con la spesa pubblica nella capitale dell’Impero; con la Dc andreottiana del dopoguerra.
Più case, più voti
Anni nei quali Roma fatica a dotarsi di un piano regolatore e la Dc concede libero campo agli amici “palazzinari”, alla finanza vaticana e alla sua Società Generale Immobiliare. Sono gli anni nei quali il consenso politico si conquista con la massima «più case, più voti» e qualche anno fa, allo storico e giornalista Peppino Sangiorgi che chiese ad Andreotti quale fosse la ragione di una Roma urbanisticamente così disordinata e architettonicamente così brutta, il “divo Giulio” rispose in confidenza: «Lo so, ma in quegli anni era importantissimo costruire, garantire case».
Il modello consociativo
Quando, nel 1976, la sinistra conquista per la prima volta il Campidoglio, oltre a risanare le borgate e ad inventarsi un modello che farà epoca, quello delle “estati romane”, vara un’operazione destinata a lasciare il segno: riunire in un unico progetto la rendita della vecchia nobiltà terriera, i “palazzinari”, le cooperative rosse e gli urbanisti del Comune. Tempi brevi di realizzazione e «una spettacolare capacità politica e amministrativa», secondo la definizione di un urbanista severo come Vezio De Lucia. Le successive interpretazioni di quel modello - che teneva tutti dentro - portano a Mafia Capitale?
L’eterno partito romano
Non c’era nessun “automatismo” e comunque per diversi decenni nella capitale ha continuato a prosperare il “partito romano”, sempre cangiante ma con alcune costanti. I poteri forti (Vaticano, costruttori, Rai, Università, Cinecittà, dipendenti pubblici) hanno continuato ad essere garantiti dalle amministrazioni comunali e dai governi e non è mai venuta meno una solida sponda nella Procura della Repubblica, che ha sempre insabbiato o non visto. Come dimostra l’evidenza: per 70 anni le principali indagini sul malaffare pubblico hanno preso origine in altre città, Milano, Torino, Palermo, finché l’arrivo a Roma di un “marziano” come il Procuratore Pignatone, una vita in prima linea, ha cominciato a scompaginare assetti consolidati.
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IVAN CIMMARUSTI, IL SOLE 24 ORE –
Tremano le amministrazioni di Roma e del Lazio. Mafia Capitale aveva messo le mani suI politici di Pd e Pdl con un obiettivo riassunto da Salvatore Buzzi, braccio imprenditoriale del boss Massimo Carminati: «Sappiamo benissimo che tutte le gare, in Regione, in Comune, c’è la quota di maggioranza e la quota di opposizione». Una sorta di spartizione degli appalti.
La bufera giudiziaria del secondo maxi troncone dell’inchiesta della Procura di Roma sull’associazione mafiosa radicata nella capitale porta in manette 44 persone. Tra cui Luca Gramazio, ex consigliere comunale attualmente in Regione del Pdl, ed ex esponenti con la giunta di Ignazio Marino, come Daniele Ozzimo, ex assessore alla Casa; Mirko Coratti, ex presidente dell’assemblea capitolina; Franco Figurelli, ex capo segreteria dell’assemblea capitolina; Michele Nacamulli, esponente locale del Pd; Pierpaolo Pedetti, presidente della commissione Patrimonio del Comune; Giordano Tredicine, vice presidente del Consiglio comunale e vice coordinatore di Forza Italia per il Lazio; Massimo Caprari, ex esponente Centro democratico.
Nei confronti dei 44 arrestati, compresi i 21 indagati a piede libero, sono ipotizzati – a vario titolo e secondo le singole posizioni – i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, usura e riciclaggio. Reati commessi con l’aggravante di aver favorito un’organizzazione mafiosa. L’indagine è del procuratore capo Giuseppe Pignatone, dell’aggiunto Michele Prestipino e dei sostituti Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, che hanno coordinato gli accertamenti dei carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) del Lazio, al comando del colonnello Stefano Russo, col coordinamento del comandante del Raggruppamento, generale Mario Parente.
L’inchiesta accerta che dopo l’elezione di Marino a sindaco, l’organizzazione criminale muove le sue pedine. «E mo vediamo con Marino – dice in un’intercettazione Buzzi a un interlocutore - poi ci prendiamo le misure con Marino (…) Marino tramite Luigi Nieri (vice sindaco, ndr)». In un’altra intercettazione aggiungeva: «Se lui (Marino, ndr) resta sindaco, ci mangiamo Roma». Negli atti giudiziari emergono contatti tra Nieri e Buzzi: «Buzzi – annotano gli investigatori - inviava al vicesindaco Nieri una serie di sms per chiedergli un appuntamento per confrontarsi sulla scelta di un capo Dipartimento che, qualora non fosse stato Politano, avesse risposto alle loro esigenze: «Buongiorno Luigi e scusa l’ora ma volevo dirti che l’avvicendamento della Acerbi con Politano è una scelta molto apprezzata da noi e altre realtà come la nostra ma in tarda serata abbiamo appreso che forse non e più cosi: per noi è molto importante avete un capo dipartimento che conosciamo in un assessorato o di fondamentale importanza ove non c’è stato ad oggi il minimo dialogo. Se vuoi ti raggiungo ove vuoi per spiegarti meglio. Un abbraccio Salvatore Buzzi». In una successiva conversazione telefonica, Nieri chiariva gli equilibri politici che decidevano sulle varie nomine. In Comune, comunque, c’erano consiglieri regolarmente retribuiti dal clan. Come Figurelli «pagato 1.000 euro mensili» o i 100mila euro a Coratti, per sbloccare «3 milioni di euro» che le coop di Buzzi attendevano dall’amministrazione. Sul fronte regionale, invece, l’indagine apre nuovi fronti. C’è il servizio Recup (Prenotazioni prestazioni sanitarie Regione Lazio) a far gola. Una commessa da oltre 90 milioni cui Buzzi arriva grazie all’intercessione del consigliere regionale Luca Gramazio, ritenuto a pieno titolo componente dell’associazione mafiosa. In questa vicenda risulta indagato Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto del governatore Nicola Zingaretti, che avrebbe agevolato gli interessi del clan facendo nominare nella commissione aggiudicatrice della gara Angelo Scozzafava, legato a doppio filo a Buzzi. Nelle intercettazioni si parla anche di Daniele Leodori, presidente del Consiglio regionale, Alessio D’Amato, capo della regia tecnica sulla Sanità, e dei deputati democratici Bruno Astorre e Umberto Marroni, che non risultano indagati. L’appalto alla fine sarà bloccato a dicembre scorso per decisione dello stesso Zingaretti.
Ivan Cimmarusti
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MARCO LUDOVICO, IL SOLE 24 ORE -
Il secondo round dell’inchiesta Mafia Capitale scolpisce con il massimo rilievo la caratteristica economica dell’impresa mafiosa romana di Buzzi & Co. Le carte giudiziarie dell’indagina guidata da Giuseppe Pignatone dimostrano le prassi consolidate e aggiornate di corruzione nello scenario della criminalità organizzata. Emerge questa volta, ripetuto più volte, il reato di turbativa d’asta. Il cartello di imprese - mafiose - è la regola: condizione efficiente ed efficace per spuntare il finanziamento pubblico. Poco importa il colore politico dell’amministrazione: le intercettazioni testimoniano la necessità, per la holding criminale, «di avere un capo dipartimento che conosciamo, per noi è molto importante» dice Buzzi in un sms.
Il servizio Recup (Prenotazioni prestazioni sanitarie Regione Lazio) vale 90 milioni, un’occasione troppo ghiotta: è lo stesso governatore Nicola Zingaretti a farlo saltare dopo aver incontrato il numero uno dell’anticorruzione, Raffaele Cantone, a fine dicembre. Certo è che l’associazione d’impresa mafiosa lavora anche su filoni meno esposti di quello della sanità: diversifica il rischio con un portafoglio di investimenti - criminali - sui fondi per l’immigrazione a La Cascina; l’appalto al Cara di Mineo (centro di assistenza per i richiedenti asilo) da 96 milioni, tanto che ieri Cantone ha scritto al ministro dell’Interno Angelino Alfano; i rifiuti e gli appalti milionari gestiti dall’Ama; la gestione delle spiagge di Ostia. Corruzione - e turbativa d’asta - anche sulle convenzioni per la cosiddetta emergenza abitativa, e quella legata alla dimissione del patrimonio immobiliare.
Sanità, immobili, ambiente, immigrazione: c’è l’imbarazzo della scelta. Finiti, insomma, i tempi dei grandi finanziamenti pubblici, compresi quelli comunitari, dove era meno difficile occultare stecche e sovraffatturazioni, oggi la strategia dell’impresa mafiosa si fonda sulla relazione d’interessi personale, ma di sistema, più o meno sottaciuta. La catena politica-burocrazia-malavita organizzata si tiene tutta insieme, altrimenti non regge e si spezza. Fonti qualificate dell’inchiesta osservano stupite che «a volte l’impressione è che i soggetti si muovano senza rendersi conto che si tratta di reati». Incredibile, ma è la condotta abituale, quasi la regola.
Ma c’è un’altra tegola che rischia di abbattersi sull’amministrazione comunale di Roma. Meno clamorosa dell’inchiesta della procura, molto più silenziosa ma non meno minacciosa: è la relazione finale della commissione di accesso agli atti del Campidoglio, presieduta dal prefetto Marilisa Magno. Un gruppo di lavoro che oltre a Marilisa Magno è composto da un viceprefetto e un dirigente dell’Economia, più un nucleo di poliziotti, carabinieri e finanzieri. La commissione è stata nominata il 15 dicembre dall’allora prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, e a metà giugno consegnerà i risultati al suo successore, Franco Gabrielli. A sua volta, Gabrielli trasmetterà il documento al ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Il prefetto Magno è stata sentita in audizione alla comissione antimafia, presieduta da Rosy Bindi, il 12 maggio scorso. Ma il verbale della riunione non è pubblico perchè, su richiesta della stessa Magno, l’audizione è stata tutta secretata. Per forza: la materia è la stessa sottoposta alle indagini dell’autorità giudiziaria e l’accesso agli atti comunali della commissione prefettizia- un controllo di documenti per centinaia di migliaia di pagine - potrebbe avere, in teoria, effetti terrificanti. Ma l’estrema conseguenza, lo scioglimento del comune di Roma per infiltrazione mafiosa, è escluso, senza alcun dubbio, almeno per ora: un’ipotesi devastante, insostenibile per l’immagine dell’Italia. Il lavoro di setaccio e controllo degli atti del Campidoglio, svolto dai commissari, resta comunque spaventoso: con quella che, a tutti gli effetti, è un’inchiesta amministrativa, l’accesso agli atti è in grado di confermare e illuminare, ancora di più, la ricognizione investigativa svolta dai carabinieri dell’Anticrimine del Ros di Roma, fondamento dell’ipotesi accusatoria della procura. Ora, che dalla relazione prefettizia emergano pesanti anomalie e irregolari amministrative gravi è un fatto quantomeno scontato. Più interessante sarà notare quali saranno i rilievi di merito. È un fatto ormai noto, per esempio, che Buzzi & soci hanno avuto un rapporto di sostanziale continuità con l’amministrazione capitolina, nel passaggiotra la giunta Alemanno e quella Marino. Meno noto, ma in realtà non così segreto, è l’uso, per esempio, di ricorrere al frazionamento degli appalti: trucco semplice per abbassare la soglia di gara e poter affidare la commessa in modo diretto. Si parla di almeno due gare del Comune nel settore ambientale da oltre un milione di euro frazionate, ciascuna, in dieci lotti: il gioco così è fatto.
Un altro paravento amministrativo usato e abusato è quello del ricorso alla procedura di somma urgenza. Se ne è fatto largo uso, per esempio, per la potatura degli alberi a Ostia e anche qui gli importi superano il milione di euro. Chi è esperto di norme sugli enti locali afferma con tranquillità che «se si fosse trattato di un altro comune, sarebbe stato subito sciolto». Roma è un caso troppo speciale. Ma questo non potrà significare l’elusione delle responsabilità. Penali, amministrative e politiche.
Marco Ludovico
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MARCO LILLO, IL FATTO QUOTIDIANO -
L’appalto da 100 milioni di euro del 2014 per il Centro assistenza rifugiati e richiedenti asilo (Cara) di Mineo è la storia più delicata politicamente e più rilevante dal punto di vista economico dell’operazione di ieri. La delicatezza politica è evidente: il Consorzio Calatino Terra di Accoglienza, che ha gestito le gare incriminate (dal 2011 a oggi) è stato guidato negli anni scorsi dall’ex presidente della Provincia di Catania e attuale sottosegretario all’agricoltura Giuseppe Castiglione che poi ha lasciato il posto alla sua compagna di partito Anna Aloisi, sindaco di Mineo.
Per il Cara di Mineo sono finiti ieri agli arresti domiciliari i manager del Gruppo La Cascina, la storica cooperativa del mondo di Comunione e Liberazione nata negli anni 80 a Roma sotto l’ala di Giulio Andreotti e cara anche all’ex sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta. Salvatore Menolascina è stato arrestato “nella qualità di amministratore delegato del Consorzio Gruppo La Cascina”. Mentre Carmelo Parabita era “componente del CdA della La Cascina Global Services” e componente del CdA della Domus Caritatis. Quest’ultima è una cooperativa, sempre cattolica, con una storia diversa. Nata all’ombra del Vicariato di Roma negli anni 90 è entrata pochi anni fa nell’orbita del gruppo ciellino portando in dote gli ottimi rapporti con Luca Odevaine, già braccio destro di Walter Veltroni, sul fronte dell’emergenza immigrazione.
Ieri è finito ai domiciliari anche Francesco Ferrara, presidente (fino alla sua chiusura nel 2014) della Domus Caritatis, che per anni ha diviso con la coop rossa 29 Giugno di Salvatore Buzzi il business degli immigrati, sotto la regia del ‘Capo’ Odevaine, “da bravi fratelli”. Ferrara, nel 2011, a seguito dell’alleanza tra la sua coop “made in Vicariato” con il mondo cooperativo ciellino della capitale era asceso al ruolo di vicepresidente de La Cascina. Ai domiciliari anche Domenico Cammisa “nella qualità di amministratore delegato della Cooperativa di lavoro La Cascina”. Secondo i magistrati romani “Odevaine riceveva da Cammisa, Ferrara, Menolascina e Parabita la promessa di una retribuzione di 10 mila euro mensili, aumentata a euro 20 mila mensili dopo l’aggiudicazione del bando di gara del 7 aprile 2014” per Mineo, appunto.
Il 21 marzo del 2014 negli uffici romani di Odevaine ci sono Parabita, Cammisa e il commercialista di Odevaine, ai domiciliari anche lui da ieri, Stefano Bravo. Si parla del bando di Mineo e “durante la conversazione Odevaine – scrivono i magistrati romani – chiama al telefono Giovanni Ferrera, direttore del Consorzio e futuro presidente della commissione aggiudicatrice, con il quale discute, in modalità “viva voce” e alla presenza, in incognito dei rappresentanti de La Cascina dei contenuti del bando”. La commissione era composta da tre membri: il presidente era Ferrera (che tuttora dirige il Consorzio) mentre Odevaine era il membro che sedeva nel Tavolo di coordinamento sull’immigrazione al ministero, quindi il più pesante.
Il 28 marzo del 2014 il Ros dei Carabinieri intercetta un’altra conversazione negli uffici di Odevaine e scopre che questi rivela le credenziali della sua e mail “in considerazione del fatto che Ferrera avrebbe mandato ad Odevaine via mail il capitolato d’appalto e questo sistema avrebbe consentito al Parabita di poterlo visionare in anteprima”. Ferrera ancora il 15 maggio scorso ha confermato l’appalto da 100 milioni a La Cascina contro il parere di Raffaele Cantone.
Odevaine considerava Ferrera com fosse uno della sua squadra al punto che, quando nell’ottobre del 2014, poco prima degli arresti, vuole ricattare la Cascina per farsi dare ‘il compenso’ per aver fatto vincere alla cooperativa l’appalto di Mineo a lui pensa per bloccare i pagamenti attesi dalla coop bianca: 40 milioni di euro non proprio bruscolini. “Gli ho detto: ‘scegliete voi, se volete mettere sei mesi dopo che sono arrivati i soldi a prenderli, se li volete subito.. patti chiari perché se no cosi funziona’…omissis…dico.. ‘vai dal ministro, io…un cazzo.. vai a parlare con il ministro, tanto comunque alla fine la liquidazione la firma il direttore generale…’, ovvero Giovanni Ferrera”. In pratica quando i manager della Cascina, che hanno le loro entrature nel mondo del Ncd, minacciano di andare a parlare dal ministro Angelino Alfano per farsi pagare i milioni dovuti dal Consorzio diretto da Ferrera, Odevaine non flette di un millimetro perché evidentemente confida di poter influire sul rubinetto che è nelle mani di Ferrera.
Come finisce? Secondo quello che racconta Odevaine, mentre le cimici nel suo ufficio registrano tutto, La Cascina cede e lui incassa i soldi, grazie anche ai fondi neri creati dalla cooperativa gonfiando i compensi dei suoi manager. Solo dopo avere incassato i soldi (che poi reinvestiva in Venezuela dove, come diceva Salvatore Buzzi aveva creato un impero), Odevaine va al ministero e spinge per i pagamenti dovuti alla coop ciellina.
Visto come erano filate liscie le cose in Sicilia, Odevaine ci prende gusto e tenta di truccare anche la gara per il nuovo centro di smistamento dei rifugiati da alloggiare a San Giuliano di Puglia, nella new town comprata grazie ai soldi donati dagli italiani per la sottoscrizione per le vittime del sisma promossa da Corriere della Sera e Tg5 nel 2002. “Anche lì avrei dovuto fare io – spiega Odevaine mentre è registrato dal Ros – il Presidente della Commissione di gara perché anche lì ‘st’operazione la stiamo facendo con loro (La Cascina, ndr) non posso io mettermi a fare due gare contemporaneamente (ride) infatti adesso sto coinvolgendo una mia amica che … che è un dirigente della Presidenza del Consiglio”. Detto fatto. Il Ros dei carabinieri ha videoregistrato un incontro nel solito ufficio di Odevaine tra Patrizia Cologgi (il funzionario di Palazzo Chigi, ndr) e il solito Ferrara de La Cascina “per garantire il buon esito della gara in loro favore”. Scrive il gip: “Questo ulteriore episodio corruttivo è rimasto nella fase degli atti preparatori, non per desistenza degli autori ma per l’intervento dell’autorità giudiziaria”. Gli arresti di dicembre hanno impedito di far nominare la commissione di gara con Patrizia Cologgi dunque non c’è stato reato “in quanto l’accordo di natura corruttiva è stato raggiunto prima che il corrotto assumesse il ruolo di pubblico ufficiale componente della commissione aggiudicatrice”.