Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  giugno 02 Martedì calendario

VIVERE NELLA GRANDE BELLEZZA ACCOMPAGNATI DA MARELLA AGNELLI

L’amore per la bellezza e il sospetto della sua fragilità, lo stupore e l’inquietudine si intrecciano e si specchiano ne La Signora Gocà, il libro nel quale Marella Agnelli, con sincerità e pudore, racconta la sua infanzia e la sua prima giovinezza, la sua complicata famiglia, la sua educazione sentimentale alla vita, «e un mondo intero, fascinoso e angoscioso», come scrive Roberto Calasso nel risvolto di copertina.
La bellezza, ai Cancelli, la grande villa cinquecentesca sulle colline di Firenze, acquistata dalla nonna materna, Alice Clarke, venuta in Italia dalle ventose pianure dell’Illinois come un personaggio di Henry James, è certamente nella dimora, vasta e misteriosa come un continente: con l’atrio sempre un po’ oscuro delle case toscane profumato di cera; i libri provenienti da ben tre biblioteche diverse; i salotti arredati con quel gusto del Rinascimento rivisitato, fra la Capponcina e i Tatti, e i più leggeri mobili lucchesi e veneziani; le lenzuola di lino spesso portate dall’America e quelle morbidissime; il giardino, i cipressi, i famigli che dicono «giusto» invece di bello e buono; i ripostigli nei quali Marella va a frugare insieme al fratello Carlo, trovando un giorno il bauletto coperto da una pelle di zigrino (la pelle che ricatta la felicità) nel quale sono contenute le lettere d’amore scritte da sua madre Margaret e da suo padre, Filippo Caracciolo di Melito.
Ma è soprattutto Margaret che la incarna. Filippo ha abbandonato Napoli e la famiglia nobile e impoverita; ha fatto il militare nel Genova Cavalleria, e ne conserva il mantello (un mantello che durante la guerra verrà ridotto per delle più gracili spalle femminili); ai Cancelli ritrova «quel sottile incantamento che viene da cose magari dimenticate, ma già vissute in qualche periodo remoto della nostra vita»; adora sua moglie. Margaret è bellissima, ha occhi di un turchese assoluto. Si sveglia tardi. Legge a letto. Quando scende le scale per entrare in sala da pranzo sembra uscita da una «copertina di quei “Vogue” sparsi qua e là in camera».
È in quella stanza che una mattina Marella scopre la disillusione. L’attesa, spasmodica, è durata nove mesi. Carlo vuole un «fratellone», lei una sorellina. Vestiti come per le feste, i due bambini vengono fatti entrare nella stanza e, con quel senso di spaesamento che la nascita diffonde nell’animo in ogni luogo del mondo, si avvicinano al letto sul quale Margaret sorride felice e affranta. Accanto al letto c’è la culla. Dentro la culla c’è Nicola:un maschio. Che tradimento da quel mondo misterioso e invisibile! Non è «giusto» – è l’unica frase soffocata dai singhiozzi. Solo Emma, la cameriera grassa e soffice, può accogliere nelle «sue tenere braccia brune, già un po’ sudate sotto il grembiule grigio chiaro», il buio del disordine e dolore precoce.
Bressanone, la Turchia, Napoli, Roma, la Svizzera, la guerra, la villa occupata dai tedeschi, poi dai repubblichini, poi dagli sfollati, ancora l’Alto Adige, ancora i Cancelli. Gli avvenimenti si sovrappongono. Il tempo pare non voglia concedere soste: anche quando lunghi spazi di tempo immobile si depositano fra un arrivo e una partenza, fra una stagione e l’altra. Ma, ora che il tempo è trascorso, la distanza regala una luce e una precisione abbastanza incredibili.
Bressanone: le tendine poggiate direttamente ai vetri e i gerani delle stanze del mitico hotel Elefante; la dolcezza della valle dell’Isarco alla confluenza con la Rienza; la carrozzabile verso la Plose; il profumo inimitabile della segheria vicina alla abbazia di Novacella; i capelli biondi di Lili Guggenberg; le dalie del loro giardino, e la piscina; la pasticceria Moser; l’estate e l’autunno; la stufa tirolese; l’arrivo dei libri necessari a ingannare il lungo inverno; l’apprensione celata per i soldi che mancano; lo stupore della prima neve. Turchia: l’Orient Express e la torma dei lupi che l’affianca nelle distese gelate dei Balcani; Ankara e l’aria secca dell’altipiano; la prima volta a Santa Sofia con quel canto di preghiera armoniosissimo e nascosto, quel richiamo antico che entra nel cuore commosso, incapace di difendersi; la casa estiva sulle rive del Bosforo, la notte, il silenzio, lo sciabordio dell’acqua, il profumo dei gelsomini doppi; e le grate, dietro alle quali, non visti, i ragazzi ascoltano i racconti dei «grandi» e capiscono che nel mondo sta per capitare qualcosa di terribile. Svizzera: la guerra; Ugo la Malfa esule contrabbandato per professore di ginnastica; gli esuli che affollano la casa del Roncaccio; il pianto di Margaret, muta, seduta sul letto, quando Carlo le comunica che va a raggiungere i partigiani in Val d’Ossola. Napoli, appena finita la guerra: la memoria delle terrazze tiepide adorne di buganvillee nelle quali le zie Caracciolo nascondevano le uova di Pasqua; e lo strepito, la violenza dei colori e degli odori; la miseria e il lerciume.
Finalmente Roma. Marella ha diciotto anni. Abita in case «normali», in via Panama, via delle Tre Madonne. Prende la Circolare nera e le camionette. Ma le famiglie della aristocrazia nera e di quella bianca hanno una gran voglia di voltare una pagina — che è rimasta sempre aperta, a dir la verità — e di divertirsi. Si balla molto, infatti, nei locali e nei saloni freddi illuminati dai doppieri: anche se i buffet sono ancora piuttosto poveri e i brindisi si fanno con l’acqua e un vino acidulo dei Castelli. E Marella va fuori ogni notte, sale con trepidazione gli scaloni che portano alle sale da ballo dei Colonna, dei del Drago: anche se non può permettersi gli abiti firmati delle sorelle Fontana e di Biki. Però ha una alleata: Madame Anna, l’anziana direttrice francese di «Gabriella Sport», la maison di Gabriella di Robilant. Madame Anna è protettrice e saggia. Quando sono belle — consiglia Gabriella — bisogna essere generose con queste Cenerentole, e prestare, qualche volta, i vestiti. Poi, magari, sposano un uomo ricco e diventano clienti.