Nando Pagnoncelli, Corriere della Sera 2/6/2015, 2 giugno 2015
DAGLI SCANDALI AL «PONTE»: COSÌ CRESCE IL NON VOTO
L’aumento dell’astensione in occasione delle elezioni di domenica non fa notizia, era largamente prevista e si è puntualmente confermata: complessivamente si è recato alle urne poco più di un elettore su due, con un calo di circa il 10% rispetto alle precedenti Regionali (si va dal -8,8% della Toscana al -13% delle Marche).
Sono molti i temi che possono aver influenzato l’ulteriore avanzata dell’astensionismo, in un contesto elettorale molto fluido: 1) la fine della luna di miele nei confronti di Renzi e del suo governo può avere alimentato la disillusione e la convinzione che non vi siano alternative; 2) i conflitti all’interno dei partiti, basti pensare alla vicenda Cofferati in Liguria o Fitto in Puglia: da sempre la scarsa coesione delle forze politiche allontana gli elettori; 3) la mancanza di un partito e di un leader di riferimento condiviso nel centrodestra;
4) il tema degli «impresentabili».
E, sullo sfondo, gli scandali: da Expo e Mose, da Mafia Capitale alle grandi opere, hanno toccato molti partiti suscitando l’indignazione di tanti elettori e il loro distacco. Da ultimo la data delle elezioni coincideva con l’unico ponte di primavera.
L’astensione è un fenomeno largamente diffuso nelle principali democrazie occidentali. La conseguenza principale è costituita dal limitato consenso ai vincitori che, in prospettiva, può frenare la loro politica di riforme. Giovanni Toti è stato votato da meno di un ligure su cinque. Nelle restanti regioni il vincitore è stato votato da una quota compresa tra un quarto e un quinto degli elettori.
È davvero difficile immaginare politiche coraggiose (e impopolari) quando non si è stati votati dal 75%-80% degli elettori.