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 2015  giugno 04 Giovedì calendario

ANELLI DI FUOCO

Precipitare in un buco nero non è mai stata una cosa divertente. Fin da quando i fisici sono giunti alla conclusione che i buchi neri esistono, sappiamo che avvicinarcisi troppo significa morte certa. Ma un tempo pensavamo che un astronauta che attraversasse il punto di non ritorno – l’orizzonte degli eventi – non avrebbe avvertito niente di speciale. Secondo la relatività generale di Einstein, nessun cartello segnala il punto dove le probabilità di riuscire a sfuggire si azzerano. A chiunque procedesse oltre l’orizzonte sembrerebbe solo di cadere, cadere, cadere in un pozzo di oscurità. Di recente però io e i miei colleghi abbiamo rivisto questa situazione alla luce di nuove informazioni sugli effetti della meccanica quantistica sui buchi neri. Ora pare che il nostro astronauta vivrebbe un’esperienza molto diversa rispetto alla previsione di Einstein.
Anziché cadere senza soluzione di continuità, all’orizzonte l’astronauta incontrerebbe un «muro di fuoco» di particelle ad alta energia che sarebbero istantaneamente letali. Il muro potrebbe addirittura segnare la fine dello spazio.
Tre anni fa, quattro di noi, all’epoca tutti all’Università della California a Santa Barbara, tra i quali Donald Marolf, sono arrivati a questa conclusione usando idee della teoria delle stringhe, per studiare più da vicinò la fisica dei buchi neri e in particolare un ragionamento proposto negli anni settanta da Stephen Hawking. Il fisico britannico, aveva identificato un serio conflitto tra le previsioni della teoria quantistica e quelle della relatività. Secondo il suo ragionamento, o la meccanica quantistica o l’idea einsteiniana dello spazio-tempo avevano qualche lacuna. Da allora la battaglia per stabilire quale delle due sia corretta va avanti a sorti alterne.
Come la posizione originaria di Hawking, anche la nostra recente ipotesi, sul muro di fuoco ha incontrato incredulità, ma ancora non è emersa nessuna alternativa soddisfacente. Se dobbiamo credere alla meccanica quantistica, i muri di fuoco sono una conseguenza, ma anche la loro esistenza porta a enigmi teorici. Sembra che noi fisici dobbiamo rinunciare a una delle nostre amate certezze, ma non siamo d’accordo su quale.
Speriamo però che da questa confusione emerga una visione più completa della meccanica quantistica e della relatività, e un modo per risolvere le apparenti contraddizioni tra queste due teorie sovrane della fisica.

La singolarità
La relatività generale, da cui è nato il concetto stesso di buco nero, deriva l’idea di queste misteriose entità e del loro orizzonte degli eventi dal modo in cui spiega gli effetti della gravità sullo spazio e sul tempo. Secondo la teoria, una massa sufficientemente grande inizierà a collassare a causa dell’attrazione gravitazionale. Nulla può fermare questo processo finché tutta la massa non è compressa in un punto in cui lo spazio-tempo è infinitamente denso e curvo, una singolarità: in altre parole, un buco nero.
Un viaggiatore spaziale che superasse l’orizzonte degli eventi del buco nero non potrebbe più sfuggire all’attrazione gravitazionale e sarebbe attratto nella singolarità. Neppure la luce, una volta oltre l’orizzonte, può allontanarsi. La singolarità è un punto estremo, mentre l’orizzonte di per sé non dovrebbe avere niente di speciale, secondo il cosiddetto principio di equivalenza della relatività generale; gli individui in caduta libera in un buco nero, attraversando l’orizzonte, osserverebbero le stesse leggi fisiche osservate in qualunque altro punto. I teorici amano dire che, se anche il sistema solare stesse cadendo in un gigantesco buco nero in questo istante, noi non proveremmo nulla di diverso dal solito.
La radiazione del buco nero
La critica di Hawking all’immagine tradizionale dei buchi neri iniziò nel 1974, quando considerò una strana previsione formulata dalla meccanica quantistica. Secondo questa teoria, coppie formate da una particella e dalla sua controparte di antimateria appaiono di continuo e scompaiano quasi immediatamente. Hawking mostrò che se una fluttuazione di questo tipo si verifica appena fuori dall’orizzonte di un buco nero la coppia avrebbe potuto separarsi. Una delle particelle poteva cadere nella singolarità e l’altra sfuggire al buco nero e portarne via una piccola parte della massa. Grazie a questo fenomeno, detto «evaporazione di Hawking», prima o poi l’intera massa del buco nero avrebbe potuto esaurirsi.
Per i buchi neri che si trovano in natura l’evaporazione non è rilevante: questi buchi neri acquiscono massa molto più velocemente attraverso gas e polvere che precipitano al loro interno rispetto a quella che perdono per radiazione. Ma ai fini teorici possiamo indagare che cosa accadrebbe se un buco nero fosse isolato e avessimo tempo per osservarne il processo di evaporazione. Con questo esperimento mentale Hawking scoprì due apparenti contraddizioni tra relatività generale e meccanica quantistica.

Il problema dell’entropia. Riflettendo su questo sistema isolato, Hawking notò che lo spettro luminoso della radiazione che si allontana dal buco nero e che ora porta il suo nome, avrebbe lo stesso aspetto di quella di un corpo caldo che irradia, il che vuol dire che il buco nero ha una temperatura. In generale la temperatura è data dal movimento degli atomi all’interno di oggetti; la natura termica della radiazione di Hawking, quindi, faceva pensare che il buco nero avesse una struttura microscopica composta da componenti discreti di qualche tipo o bit. Il fisico Jacob D. Bekenstein, oggi alla Hebrew University di Gerusalemme, era già arrivato alla stessa conclusione due anni prima, con esperimenti mentali in cui venivano lanciati oggetti contro i buchi neri. I lavori di Bekenstein e Hawking ci danno una formula per il numero di bit, una grandezza nota come entropia del buco nero. L’entropia è una misura del disordine, che aumenta al crescere del numero di stati che un oggetto può avere. Più è grande il numero di bit in un buco nero, più è grande il numero di possibili disposizioni che possono avere, e quindi maggiore è l’entropia.
La relatività generale descrive invece un buco nero come dotato di una geometria omogenea, e indica che tutti i buchi neri con massa, momento angolare e carica fissati siano identici: come disse John Wheeler, grande fisico della Princeton University: «I buchi neri non hanno capelli». C’è quindi una contraddizione: la relatività afferma l’assenza di capelli, mentre secondo la meccanica quantistica i buchi neri hanno una grande quantità di entropia, che denota una certa struttura microscopica.

Il paradosso dell’informazione. L’evaporazione di Hawking pone una sfida anche alla teoria quantistica. Secondo i calcoli del fisico, le particelle che sfuggono al buco nero non dipendono dalle proprietà del materiale che ha formato il buco, in genere una stella massiccia collassata. Potremmo per esempio spedire nel buco nero un foglio con un messaggio, e non ci sarebbe poi modo di ricostruire il messaggio dalle particelle che emergerebbero. Una volta che il testo ha superato l’orizzonte, non può influenzare nulla di ciò che ne esce successivamente, perché dall’interno non può fuggire informazione. In meccanica quantistica ogni sistema è descritto da una formula, detta funzione d’onda, che codifica le probabilità che il sistema si trovi in un certo stato.
Nell’esperimento mentale di Hawking la perdita di informazione implica che non c’è modo di prevedere la funzione d’onda della radiazione di Hawking in base alle proprietà della massa che era entrata nel buco nero. La perdita di informazione è però esclusa dalla meccanica quantistica, dunque Hawking concluse che le leggi quantistiche andavano modificate per permettere una perdita del genere nei buchi neri.
Potreste dire: «Certo che i buchi neri distruggono l’informazione: distruggono qualsiasi cosa ci entri dentro!». Ma pensiamo a che cosa succede se ci limitassimo a bruciare il foglio: il messaggio verrebbe offuscato e sarebbe molto scomodo ricostruirlo dal fumo. Ma il fenomeno della combustione è descritto dalla meccanica quantistica ordinaria, applicata agli atomi del foglio, e la descrizione quantistica del fumo sarebbe una precisa funzione d’onda che dipenderebbe dal messaggio originario. In teoria, quindi, il messaggio potrebbe essere ricostruito attraverso questa funzione. Nel caso dei buchi neri, invece, non ci sarebbe una funzione d’onda definita per la radiazione risultante.
In base a questa analogia molti teorici avevano concluso che Hawking avesse torto e che avesse confuso l’informazione resa indecifrabile con una vera perdita. Per giunta, secondo alcuni, se è possibile che si perda informazione, allora questo non accade solo nella situazione esotica dell’evaporazione di un buco nero, ma sempre e ovunque: in fisica quantistica, tutto quello che può succedere succede. Se Hawking avesse avuto ragione, ne vedremmo prove nella fisica di tutti i giorni, comprese probabilmente serie violazioni della legge di conservazione dell’energia.
Il ragionamento di Hawking, però, resiste a queste semplici obiezioni. A differenza della carta in fiamme, i buchi neri hanno orizzonti oltre i quali l’informazione non può sfuggire. Sembra quindi che ci troviamo di fronte a un paradosso: o modifichiamo la meccanica quantistica per permettere la perdita di informazione o modifichiamo la relatività per permettere all’informazione di allontanarsi dall’interno del buco nero.
C’è però anche una terza possibilità, che il buco nero non evapori completamente bensì alla fine ne rimanga un residuo microscopico che contiene tutta l’informazione della stella originaria che lo aveva creato. Anche questa «soluzione» ha però difficoltà. Per esempio, che un oggetto così piccolo contenga tanta informazione violerebbe l’idea di Bekenstein-Hawking dell’entropia.
Buchi neri e brane
La teoria delle stringhe è un tentativo di rettificare alcuni problemi che nascono quando relatività e meccanica quantistica si scontrano, come avviene nel caso dei buchi neri. Questa teoria sostituisce le particelle puntiformi delle teorie precedenti con minuscoli filamenti aperti o chiusi (loop), chiamati appunto stringhe, che eliminano alcune difficoltà matematiche che emergono quando si mettono insieme meccanica quantistica e relatività. Però sostituire i punti con stringhe non modifica immediatamente la situazione dei buchi neri.
Nel 1995, quando studiavo un altro tipo di esperimento mentale riguardante stringhe in spazi limitati, arrivò una svolta. Ampliando il lavoro che con altri colleghi avevamo effettuato qualche anno prima mostrai che la teoria delle stringhe, per come la capivamo allora, non era completa e richiedeva invece l’esistenza di oggetti con più delle tre dimensioni spaziali e quella temporale che ci sono familiari. Nei buchi neri questi oggetti con un numero maggiore di dimensioni, detti D-brane, sarebbero minuscoli, richiusi su se stessi in dimensioni nascoste troppo piccole per poterle individuare. L’anno successivo Andrew Strominger e Cumrun Vafa, oggi entrambi alla Harvard University, mostrarono che stringhe e D-brane insieme forniscono l’esatto numero di bit che rendono conto dell’entropia di un buco nero, almeno per certi casi molto simmetrici. L’enigma dell’entropia era così parzialmente risolto.
Il problema successivo era la perdita di informazione. A quel punto, nel 1997, Juan Maldacena, oggi all’Institute for Advanced Study a Princeton, elaborò un modo per aggirare la perdita dell’informazione, trovando una soluzione oggi conosciuta anche come dualità di Maldacena. Una dualità è un’equivalenza sorprendente tra due cose che sembrano molto diverse. La dualità di Maldacena mostra che la struttura matematica di una teoria che unifichi la meccanica quantistica e la gravità basandosi sulla teoria delle stringhe – una teoria quantistica della gravità – è equivalente a quella di una teoria quantistica ordinaria in un opportuno insieme di circostanze. In particolare, la fisica quantistica di un buco nero è equivalente a quella di un gas ordinario di particelle nucleari calde. Ciò significa anche che lo spazio-tempo è diverso da come lo percepiamo, semmai simile a un ologramma tridimensionale proiettato da una più fondamentale superficie bidimensionale di una sfera.
Usando la dualità di Maldacena i fisici trovano anche un modo per descrivere la meccanica quantistica dei buchi neri. Se le ipotesi di Maldacena sono vere, le ordinarie leggi quantistiche si applicano anche alla gravità e non si perde informazione. Grazie a un’argomentazione meno diretta si conclude che i buchi neri che evaporano non lasciano alcun residuo, quindi l’informazione esce con la radiazione di Hawking.
La dualità di Maldacena può essere considerata quanto di più vicino abbiamo a una teoria che unifichi relatività generale e meccanica quantistica: il suo creatore l’ha scoperta proprio studiando i rompicapi sull’entropia e la perdita di informazione riguardanti i buchi neri. Ancora non è stato dimostrato che sia vera, ma ha molte prove a suo favore, tanto che nel 2004 Hawking ha annunciato di aver cambiato idea sulla necessità che i buchi neri perdano informazione e ha pagato pubblicamente una scommessa fatta con il fisico John Preskill nel corso dell’International Conference on General Relativity and Gravitation a Dublino.
I fisici ritenevano che nessun osservatore avrebbe assistito a una violazione della relatività o di nessun’altra legge vicino a un buco nero che funzioni in base alle regole di Maldacena, sebbene la sua dualità abbia il limite di non spiegare in modo chiaro come l’informazione passi dall’interno di un buco nero al suo esterno.
Circa vent’anni fa, Leonard Susskind della Stanford University e Gerard ’t Hooft dell’Università di Utrecht proposero una soluzione al problema originario dell’informazione che include una sorta di principio relativistico detto complementarità dei buchi neri. In sostanza, secondo questo ragionamento un osservatore che entrasse in un buco nero vedrebbe l’informazione all’interno, mentre uno che rimanesse fuori la vedrebbe uscire. Non c’è contraddizione, perché i due osservatori non possono comunicare.
Il muro di fuocoLa dualità di Maldacena e la complementarità dei buchi neri sembravano dissolvere tutti i paradossi, ma molti dettagli andavano ancora completati. Tre anni fa con i miei colleghi abbiamo cercato di creare un modello del quadro complessivo, basandoci sulle idee di Samir Mathur, della Ohio State University, e Steven Giddings, dell’Università della California a Santa Barbara (ed estendendo, senza saperlo, un ragionamento preesistente di Samuel Braunstein dell’Università di York). Dopo aver tentato per lungo tempo senza successo di trovare un modello funzionante, abbiamo capito che il problema non era una nostra incapacità matematica, ma il fatto che c’era ancora una contraddizione.
Questa contraddizione emerge quando consideriamo il fenomeno dell’entanglement quantistico, l’aspetto meno intuitivo e più lontano dall’esperienza quotidiana della teoria quantistica. Se le particelle fossero dadi, due particelle entangled sarebbero due dadi la cui somma dei punteggi è sempre sette: se li tiriamo e con un dado otteniamo due, l’altro darà sempre cinque, e così via. Analogamente, quando si misurano le proprietà di una particella entangled, questa misurazione determina anche le caratteristiche della sua compagna. Un’ulteriore conseguenza della fisica quantistica è che una particella può essere entangled solo con un’altra: se la particella B lo è con la particella A, allora non può esserlo anche con la C. L’entanglement è monogamo.
Nel caso del buco nero, pensiamo a un fotone di Hawking; chiamiamolo B e diciamo che è stato emesso dopo che il buco nero è evaporato per metà. Il processo di Hawking implica che B sia parte di una coppia e chiamiamo A il suo compagno che cade nel buco nero. A e B sono entangled. Inoltre, l’informazione che originariamente era caduta nel buco nero è stata codificata in tutte le particelle della radiazione di Hawking. Ora, se l’informazione non si perde e se il fotone B di Hawking che si trova all’esterno è in uno stato quantistico definito, deve essere entangled con qualche combinazione C di altre particelle di Hawking già sfuggite (altrimenti in quello che viene emesso non si conserverebbe l’informazione). Ma così abbiamo una contraddizione: poligamia!
Il prezzo da pagare per salvare la meccanica quantistica, mantenendo l’entanglement tra B e C e non avendo nient’altro di anormale fuori dal buco nero, è la perdita dell’entanglement tra A e B. Quando avevano cominciato a esistere come effimera coppia particella-antiparticella, i fotoni di Hawking A e B erano apparsi rispettivamente vicino all’interno e all’esterno dell’orizzonte. Nella teoria quantistica, per spezzare questo entanglement si paga in energia, come quando si spezza un legame chimico. La rottura dell’entanglement per tutte le coppie di Hawking implica che l’orizzonte sia una parete di particelle ad alta energia, che abbiamo chiamato «muro di fuoco». Un astronauta in caduta, invece di muoversi liberamente attraverso l’orizzonte, incontrerebbe uno stacco netto.
Una simile divergenza dalla relatività generale – un muro di energia dove invece non dovrebbe accadere nulla di insolito – era fastidiosa, tuttavia il discorso era semplice, e non ci trovavamo alcun difetto. In un certo senso avevamo ripercorso il ragionamento di Hawking all’inverso, ipotizzando che l’informazione non si perda e vedendo a che cosa portava questa premessa. Così abbiamo concluso che invece di sottili effetti di complementarità c’è un drastico cedimento della relatività generale. Quando abbiamo iniziato a descrivere il ragionamento ad altri colleghi, la reazione ricorrente era di scetticismo, seguito dalla stessa perplessità che avevamo provato noi.
O questi strani muri di fuoco esistono davvero, oppure sembra proprio che dobbiamo pensare di abbandonare alcuni dei principi più radicati della teoria quantistica. L’informazione non si può distruggere, tuttavia forse assisteremo a qualche modifica alla meccanica quantistica. Purtroppo l’osservazione di veri buchi neri non porterà a una risposta, perché eventuali radiazioni da un muro di fuoco sarebbero indebolite dall’attrazione gravitazionale del buco nero stesso, rendendo così il muro estremamente difficile da osservare.La fine dello spazioE poi, se il muro di fuoco esiste, che cos’è? Un’idea è che sia semplicemente la fine dello spazio. Forse nel buco nero non ci sono le condizioni che permettono la formazione dello spazio-tempo. Come ha osservato una volta Marolf, forse l’interno non si forma perché «la memoria quantistica del buco nero è piena». Se dentro non si ha uno spazio-tempo, vuol dire che lo spazio finisce all’orizzonte e che un astronauta in caduta, colpendolo, si dissolve in bit quantistici che si trovano su questo confine.Per evitare situazioni così bizzarre, i fisici hanno cercato di aggirare le conclusioni relative al muro di fuoco. Un’idea è che, visto che la particella B della radiazione di Hawking deve essere entangled sia con A sia con C, allora A deve essere parte di C: il fotone al di là dell’orizzonte è in qualche modo lo stesso bit codificato nella precedente radiazione di Hawking, sebbene si trovino in posti molto diversi. Questo concetto non è lontano dall’idea originaria della complementarità dei buchi neri, ma per ottenere un modello concreto di questo scenario occorre modificare ulteriormente la meccanica quantistica. L’idea più rivoluzionaria, dovuta a Maldacena e a Susskind, è che ogni coppia di particelle entangled sia collegata da un microscopico wormhole di spazio-tempo, in modo che grandi regioni dello spazio-tempo, come l’interno di un buco nero, possano essere formate da grandi quantità di entanglement.
Hawking ha proposto che per i buchi neri la relatività generale funziona mentre la meccanica quantistica viene meno. Maldacena ha concluso che non serve modificare la meccanica quantistica ma che lo spazio-tempo è olografico. Forse la verità è da qualche parte nel mezzo.
Sono state proposte molte altre idee, la maggior parte delle quali abbandona qualche principio di lungo corso, e non c’è unanimità sulla direzione da prendere per risolvere i problemi. Una domanda ricorrente è: quali conseguenze avrebbero i muri di fuoco per i buchi neri esistenti, come quello al centro della Via Lattea? È troppo presto per dare una risposta.
Per ora gli scienziati sono entusiasti di aver scoperto una nuova contraddizione tra due delle teorie centrali della fisica. La nostra incapacità di arrivare a una conclusione sulla reale esistenza del muro di fuoco mette allo scoperto un limite nelle attuali formulazioni della gravità quantistica, e così i fisici teorici riconsiderano le loro ipotesi fondamentali sul funzionamento dell’universo. Ne potrà emergere una comprensione più profonda della natura dello spazio, del tempo e dei principi alla base di tutte le leggi della fisica. In definitiva, risolvendo le difficoltà dei muri di fuoco attorno ai buchi neri potremmo avere finalmente l’occasione per unificare meccanica quantistica e relatività generale in un’unica teoria funzionante.