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 2015  giugno 02 Martedì calendario

IN CINA LA PRIMA FABBRICA SENZA OPERAI

La fabbrica senza operai in Cina è già realtà. Alla Evenwin Precision Technology di Shenzhen, la Silicon Valley cinese, sta per entrare in funzionfe un impianto popolato di mille robot che sforneranno componenti per smartphone 24 ore al giorno e consentiranno di ridurre, in un primo momento, la forza lavoro umana del 90 per cento. Ma l’obiettivo è di scendere nel giro di pochi mesi a zero tute blu. A quel punto, gli unici bipedi che entreranno nell’impianto modello saranno i tecnici del software che assisteranno i robot. E sarà solo l’inizio.
Entro il 2020, secondo le previsioni delle autorità del Guangdong, l’80% dei posti di lavoro in fabbrica sarà rimpiazzato da robot. Forse. Già nel 2011, infatti, la Foxconn, la contestata "fabbrica dei suicidi" che produce la maggior parte degli iPad e degli iPhone aveva annunciato che presto i robot avrebbero preso il posto degli operai. Ma, a quattro anni di distanza, i Foxbots, come li ha battezzati la direzione aziendale, in linea sono solo 50 mila contro un milione di operai. Questione di costi, ammette il direttore generale Day Chia Yung: mettere a punto un robot che esegua tutte le manovre necessarie per uno smartphone si è rivelato più complesso del previsto, anche per le continue migliorie e cambiamenti imposti da Apple.
Ma l’onnipotente mister Gou, cui fa capo lo sterminato impero dell’elettronica che sforna gran parte dei prodotti che entrano nelle nostre case, ha trovato un’altra occupazione per i suoi Foxbots: in cucina. Tre esemplari sono stati consegnati alla Dazzling Noodles un mega ristorante do Shanxi, la regione della Cina di cui è originario il boss. Il loro compito? Preparare, con assoluto rispetto dell’igiene e della qualità, gli spaghetti, la specialità locale che è il piatto preferito di Gou. Un quarto Foxbot s’incarica di scolare la pasta nell’acqua bollente dopo la giusta cottura. Non è ben chiaro se saranno assunti altri Foxrobots o se una delle creature di mister Gou un giorno punterà al successo in un’edizione di "Master Chef". Di sicuro Foxconn, che produce 10.000 Foxbots all’anno, cercherà altri impieghi per gli operai elettronici. Così come le altre imprese di una regione, quella del Pearl River, dove non si trovano più ragazzi o ragazze disposti a sopportare i ritmi massacranti delle fabbriche made in China (mancano all’ appello da 6 a 800 mila braccia) nonostante l’aumento della paga (più o meno 500 dollari).
Ma lasciamo la Cina: il rischio robot è assai più vicino di quel che non si creda. Secondo uno studio recente, molto citato, di due ricercatori dell’Università di Oxford, il 47 per cento degli attuali posti di lavoro negli Stati Uniti sarebbe a rischio di essere automatizzato, possibilmente in uno o due decenni.
Stime a cura del centro studi Bruegel di Bruxelles parlano di valori anche superiori al 50 per cento per i principali paesi europei, inclusa l’Italia che sembra avere sofferto finora più del-
l’impatto della globalizzazione che di quello dell’innovazione tecnologica. Certo, avverte lo stesso Visco, «queste stime colpiscono la fantasia dei lettori, ma vanno prese con molta cautela perché non è detto che il futuro sia così nero. La tecnologia non distrugge solo posto di lavoro, ma ne crea. Grazie alla tecnica di produzione in 3 D, ad esempio, molte produzioni, robot compresi, possono essere sviluppate ad un costo contenuto, come dimostra il fenomeno Arduino (vedi ad esempio il sito Robotics-3D). E si può rileggere il saggio di Keynes sulle "Prospettive economiche dei nostri nipoti» che già nel 1930 sollevava il problema della disoccupazione tecnologica. «Il problema economico disse il grande economista può essere risolto nel giro di un secolo». Ci siamo quasi. Ma Keynes non faceva i conti con i robots che preparano gli spaghetti.