Paul De Sury, Libero 2/6/2015, 2 giugno 2015
L’AGENZIA MATRIMONIALE PER CUORI SOLITARI MILIONARI
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’editore, l’articolo dal titolo «Dimmi che donna vuoi», firmato da Paul De Sury e tratto dall’ultimo numero della rivista «Arbiter», il mensile diretto da Franz Botré.
Sono l’uomo migliore del mondo. Donne che mi leggete, dovete sapere che sono bello come un dio greco, ricco più di qualunque dei cinque nuovi miliardari che spuntano ogni anno dal Kurdistan sulle classifiche di Forbes, molto più intelligente di Albert Einstein e più simpatico di Groucho Marx. All’alba, sprono nudo il mio destriero e, madido delle due scarse gocce di sudore che stillano da miei addominali di kevlar, corro a Stanford (dopo essermi vestito) a spiegare a premi Nobel e capi di Stato il principio di indeterminazione di Heisenberg. Nel pomeriggio dipingo una veduta di Venezia dal mio palazzo sul Canal Grande prima di passare in azienda a verificare di avere guadagnato almeno il paio di milioni quotidiani. La sera mi cucino un semplice canard à la Montmorency, innaffiato da Cheval Blanc del 1961, perché devo stare leggero per potere suonare al meglio il clavicembalo in uno dei tanti concerti di beneficenza che tengo ogni settimana in onore degli orfanelli. Insomma, ho una vita perfetta.
E allora, vi domanderete, perché rompi a noi che dobbiamo fare i conti con uno stipendio da fame, la pancia, la calvizie e una moglie che gioca a fare la bestia a due schiene ogni giorno feriale con l’istruttore di fitness? Perché sono solo. Ho 45 anni (ne dimostro la metà). Ho frequentato principesse e donne di tutti i tipi. Niente da fare. Sono tutte interessate solo al mio patrimonio o agli 80 chili di muscoli che rivestono il mio scheletro di 190 centimetri.
Disperato (in fondo anch’io ho diritto a una progenie, a un felice ménage familiare...) ho consultato un amico, sedicente professore di economia a Torino. Mi ha spiegato una cosa interessante. Le transazioni in genere non si realizzano per due motivi. Asimmetrie informative e costi di transazione. Il compratore o l’investitore non si impegnano in un accordo perché non ne sanno abbastanza sulla controparte, o i costi sono eccessivi. È il mio caso. Non ho il tempo, e forse nemmeno la capacità, di capire quali siano le reali intenzioni dell’ennesima pulzella che mi si presenta. Sarà Dulcinea del Toboso o la sorella poco raccomandabile di Eva Kant? Vorrà amarmi in eterno o farmi andare in terrazza a fumare per non sporcare i divani di pelle bianca (scelti da lei)? Nasconde forse nella manica un contratto prematrimoniale come quello sottoposto da Catherine Zeta-Jones a Michael Douglas che regola anche la frequenza dei rapporti sessuali?
Nel dubbio, mi ha consigliato l’amico, delega la scelta a uno specialista. Come quelle dive che mandano il personal shopper a comperargli le mutande perché sono troppo impegnate a concedere interviste.
Mi ha raccomandato la Berkeley International. Al prezzo di 50mila cucuzze (le spendo ogni mattina solo in giornali e caffè) mi hanno radiografato e sottoposto a una sfilza di interviste e test psicologici. Un’indagine così scrupolosa della mia personalità, gusti e desideri che forse sarebbe eccessiva anche per arruolarsi nella Cia. Poi mi hanno raccomandato di stare tranquillo in attesa mentre loro selezionavano le candidate. Dopo due settimane si è presentata Geraldine. Un angelo. L’ho invitata a colazione. Jean-Charles, lo chef che ho strappato a prezzo d’oro a un tre stelle di Loine, aveva preparato il suo celebre Loup en fenouil. Quando Geraldine ha tagliato il pesce con il coltello sono stato costretto a chiederle di uscire da casa mia.
Ho riferito il fatto alla Berkeley. La settimana successiva mi è stato annunciato l’arrivo di Ellen. Ho capito che era uno schianto prima ancora di vederla perché nel viale che porta alla mia villa si erano verificati tre incidenti causati da maschi col testosterone impazzito. Un sogno. Vent’anni, bionda, alta come me. L’ho portata al migliore ristorante della città. Negli altri tavoli i maschi si alzavano per ammirarla e le femmine per invidiarla. Già completamente innamorato, credo di averle parlato ininterrottamente per tre ore. Lei si limitava a sorridermi pudicamente e ad arrossire. «Sa anche ascoltare», ho pensato, «è perfetta». Al dessert stavo per chiederle di sposarmi. Per cautelarmi, prima della dichiarazione, ho buttato lì per caso «ieri sera non riuscivo a dormire e per prendere sonno ho sfogliato I paralipomeni della batracomiomachia...». «Eh, ti capisco, anch’io adoro il vostro Carducci». Non ci ho visto più. Quando è troppo è troppo. Ho scagliato per terra le stoviglie e sono scappato dal ristorante senza voltarmi indietro.
Alla Berkeley sono stati assolutamente professionali. Hanno pazientemente ascoltato il mio racconto, aggiornato la mia scheda e senza mettere tempo in mezzo mi hanno sottoposto una ventina di nuove proposte: una più bella e affascinante dell’altra. Ogni giorno, che fossi a Milano, a Parigi o a Città del Capo, conoscevo una nuova Venere e aspirante compagna. Colte, spiritose, maliarde. L’ultima arrivata offuscava la precedente. «Domani non può arrivarne una migliore di questa...», mi dicevo angosciato, per poi essere smentito. Come l’asino di Buridano stavo per morire di sete per l’incapacità di scegliere da quale secchio bere. Claudia o Gunilla o Fior di Loto o addirittura la Baronessa von und zu Pallenberg di Ruritania. Sono romantico ma anche un uomo d’affari. Io parlo sempre con i capi, i sottoposti fanno solo perdere tempo. Disperato per la mia indecisione, ho chiesto di consultarmi direttamente con la titolare, Inga Verbeeck, donna splendida e charmante. Prima o poi finirò per chiedere la mano proprio a lei...