Gennaro Bozza, La Gazzetta dello Sport 4/6/2015, 4 giugno 2015
DI MARTINO, L’ADDIO: «CHE FELICITA’ LASSU’ MA ADESSO È FINITA»
«Non provavo più felicità quando saltavo». Antonietta Di Martino aveva cominciato a «essere felice» quando era così piccola da non rendersene quasi conto: il suo papà, Alfredo, la lanciava in aria «fino al soffitto», un brivido sotto la pelle più che un ricordo. «Ogni volta che andavo oltre l’asticella, tornavo a quella sensazione di felicità». A 37 anni, compiuti l’1 giugno, dopo tante imprese impossibili, medaglie mondiali ed europee, salti oltre i limiti di un fisico normale, «appena» 1,69 m, dopo gravi infortuni da cui si è sempre risollevata, Antonietta ha deciso che la felicità è altrove. Per annunciarlo sceglie la gara che più ha influenzato la sua vita sportiva, il Golden Gala, quella che, da ragazza, poteva guardare solo in Tv perché nelle auto che gli appassionati di Cava dei Tirreni organizzavano per andare a Roma non c’era mai posto per lei. Fu allora che, «incavolata», predisse: «Andate pure senza di me, vuol dire che un giorno io vi precederò, sarò lì sulla pista, a saltare, e voi verrete a guardarmi». E fu così per cinque volte, in una delle quali, nel 2009, festeggiò una grande vittoria su Blanka Vlasic: 2 metri contro l’1,97 della croata.
CALVARIO Stavolta, alla vigilia del Golden Gala, la conferenza stampa per lei è ancora la promessa di nuove sfide, ma lontano dalla pedana del salto. Lacrime appena accennate, ma subito ricacciate dentro, perché Antonietta è «’na guagliona tosta assai». Poche parole, secche: «Sono qui per dare l’addio alle gare. Ho cercato di tornare a essere l’atleta che ero prima, ma ho capito che non sarebbe stato più possibile. C’è un tempo per ogni cosa, il mio nell’atletica è finito». L’infortunio del 2012, al ginocchio, è stato l’inizio della fine, anche se l’aspetto fisico diventa secondario. Tre anni di calvario. «Ad aprile prima dell’Olimpiade di Londra mi infortunai, si era staccato il menisco dal piatto tibiale, ma nessuno se ne accorse, anche dopo tanti accertamenti, così continuai a lavorare e tutto si aggravò. Fui operata a luglio, ma anche lì vennero fuori problemi: degli ancoraggi di metallo che mi erano stati inseriti, uno si staccò e provocò una infiammazione. Ci sono voluti tre anni per recuperare». Cinque mesi fa, è tornata ad allenarsi, il fisico rispondeva bene, aveva saltato 1,80 in fase di carico. «Balzi, pesi, “forbici” alte, tutto a posto. Ma proprio in quel momento ho capito che non avevo più la testa per proseguire. Ho pensato: basta, il mio viaggio è finito, non faccio più parte di questo mondo».
PARADISO Di questo mondo farà invece sempre parte ciò che lei è stata. Il 2,04 indoor, il 2,03 all’aperto, l’oro europeo indoor a Parigi 2001, l’argento e il bronzo mondiali. «Il secondo posto a Osaka 2007 il ricordo più bello». E la delusione? «Pechino 2008, abbandonata da persone cui avevo concesso fiducia». Rimpianti? «Mi manca una medaglia olimpica, ma vuol dire che doveva andare così. Non voglio avere rimpianti perché ti fanno male fino alla morte, ho ottenuto tanto e mi basta». Una nuova vita, un figlio? «Vorrei una bambina». Il lavoro. «Ho casa a Cava, vorrei restare lì, vuol dire che farò la Finanziera in quella zona. Magari in futuro potrei diventare allenatrice». Un consiglio alla Trost: «Avere tanta pazienza e non mollare mai». Fa una foto con lei, Vlasic, Chicherova e Kuchina. Si mette di fianco, ma potrebbe restare davanti a loro senza «impallarle», una testa di differenza. «Mamma mia, non mi ricordavo Blanka e Anna tanto più alte di me, in pedana avevo l’impressione di essere “meno bassa” rispetto a loro». Cara Antonietta, non era una impressione, eri davvero alla loro altezza.