3 giugno 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - QUELLI DI POPOLARI PER L’ITALIA ESCONO DALLA MAGGIORANZA
repubblica.it
ROMA - A Palazzo Madama la maggioranza di governo si assottiglia con l’uscita di due senatori dei Popolari di Mauro. E ora può contare solo su 9 voti in più. Di fatto, però, come ha sottolineato anche Luigi Zanda, capogruppo dei senatori Pd, si tratta della formalizzazione di un comportamento già in essere, perché "i due, pur non essendo ufficialmente all’opposizione, finora hanno sempre votato contro l’esecutivo in tutti i provvedimenti più importanti". Quindi per Zanda al "Senato i numeri non cambiano. Shakespeare avrebbe detto molto rumore per nulla".
Rimane comunque concreto il rischio che l’esecutivo di Matteo Renzi non trovi i voti necessari per approvare né il ddl sulla Buona scuola né la riforma costituzionale, che tornerà nell’aula del Senato prima della pausa estiva e che ha bisogno di 161 ’sì’ per passare. In quel ramo del Parlamento si giocherà dunque la battaglia decisiva, nella quale si capirà quanto potrà essere determinante la minoranza del Pd e quanto riuscirà a modificare l’assetto del governo.
RepTv News, Tito: il vero test per Renzi ora si chiama Senato
Condividi
Oltre a Mauro, i senatori di PI sono Tito Di Maggio e Angela D’Onghia. Ma quest’ultima è sottosegretario all’Istruzione ed è intenzionata a mantenere l’incarico. Pertanto ha deciso di dimettersi dai Popolari. "Mi sono dimessa dai Popolari per l’Italia, c’è pure stata una comunicazione scritta. Ora non faccio parte di alcun partito", ha ribadito. Nello stesso tempo anche il deputato Domenico Rossi si è dimesso dai Popolari, mantenendo però la carica di sottosegretario alla Difesa.
Tito di Maggio invece, secondo alcuni ben informati di Gal, avrebbe intenzione di aderire al nuovo gruppo dei fittiani che si sta formando a Palazzo Madama.
Le motivazioni della scelta dei Popolari sono spiegate in una nota di Mauro: "Riforme non condivise, condotte in modo improvvisato ed approssimativo, con una improvvida esaltazione del carattere monocolore dell’esecutivo sono alla base di una decisione che è innanzitutto un giudizio definitivo su una gestione politica che sta tenendo in stallo l’Italia, la sua economia e il suo bisogno di crescita".
"Le nostre idee - aggiunge il senatore - contribuiranno ora alla costruzione e all’organizzazione di una maggioranza politica nel Paese centrata sui valori popolari e liberali".
Storia dei Popolari per l’Italia (wikipedia=
Dopo mesi di frizioni[2] e le conseguenti dimissioni di Mario Monti da presidente di Scelta Civica il 17 ottobre 2013[3], un mese dopo, fra il 15 e il 16 novembre, l’assemblea di SC elegge nuovi dirigenti nazionali, ma subisce la scissione della minoranza popolare-democratica cristiana guidata dal ministro Mario Mauro favorevole a una collaborazione con l’Unione di Centro e a un superamento di SC[4][5].
Il 15 novembre viene lanciato il manifesto per «un partito popolare, democratico, riformista, europeista, in netta discontinuità con la stagione berlusconiana e che in prospettiva si pensa e si organizza in concorrenza con la sinistra, ma degasperianamente alternativo alla destra» all’interno del Partito Popolare Europeo[6].
Il 23 novembre Mario Mauro, Lorenzo Dellai, Andrea Olivero e Lucio Romano celebrano al Teatro Quirino di Roma l’Assemblea Popolare per l’Italia insieme all’UDC[7][8].
Il 27 novembre il gruppo di Scelta Civica al Senato diventa Per l’Italia provocando il 9 dicembre la fuoriuscita dei senatori rimasti in SC, mentre alla Camera dei Deputati il 10 dicembre i popolari insieme agli eletti dell’UDC costituiscono il gruppo Per l’Italia. I due nuovi gruppi sono presieduti rispettivamente da Lucio Romano e Lorenzo Dellai[9][10]. I nuovi gruppi si collocano immediatamente nella maggioranza di governo a sostegno di Enrico Letta, nel cui governo i Popolari annoverano Mario Mauro come ministro della Difesa e Mario Giro come sottosegretario agli Affari Esteri.
Il partito dei Popolari per l’Italia viene fondato ufficialmente il 28 gennaio 2014 e Mauro ne diventa il presidente[11]. Alla nuova formazione aderiscono dodici deputati, nove senatori e l’europarlamentare Potito Salatto.
L’8 febbraio 2014, durante il primo convegno, viene presentato ufficialmente il simbolo del nuovo partito in vista delle elezioni amministrative del 25 maggio[12].
Nel settembre del 2014 l’assemblea politica del Partito Popolare Europeo approva all’unanimità la richiesta di adesione dei Popolari al PPE[13].
Nel febbraio 2015 il Comitato operativo provvisorio decide di avviare la campagna di tesseramento che porterà entro il 2015 alla celebrazione del primo Congresso[14] nazionale.
In Parlamento
Il partito vota la fiducia al governo Renzi, nel quale annovera il senatore Andrea Olivero come vice ministro all’Agricoltura e tre sottosegretari: Mario Giro agli Affari Esteri, il deputato Domenico Rossi alla Difesa e la senatrice Angela D’Onghia all’Istruzione[15].
Il 4 luglio 2014 la componente sociale di Lorenzo Dellai, composta da otto deputati e due senatori, ufficializza la sua decisione di costituire Democrazia Solidale (Demo.S)[16][17].
Ad essa prendono parte il vice ministro Andrea Olivero e il sottosegretario Mario Giro.
A novembre l’avvicinamento al centro-destra è ormai compiuto; i tre senatori Mario Mauro, Salvatore Di Maggio e Angela D’Onghia entrano nel gruppo Grandi Autonomie e Libertà.
In assenza di un analogo raggruppamento parlamentare alla Camera, i due deputati Mario Caruso e Domenico Rossi rimangono invece nel gruppo Per l’Italia.
In seguito all’approvazione della nuova legge elettorale i Popolari per l’Italia marcano ulteriormente le distanze[18] dalla linea del governo. In occasione del voto sull’Italicum alla Camera i rappresentanti del partito non prendono parte alla seduta.
Elezioni europee e amministrative 2014
In vista delle elezioni europee del 2014, inizialmente Popolari e Udc presentano il simbolo di una lista comune[19]. Successivamente l’Udc decide di aderire invece alla lista unica promossa dal Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, detta Nuovo Centrodestra - Unione di Centro, ed i Popolari, a causa delle divisioni interne sull’ipotesi di aderire alla lista di Alfano, decidono infine di non aderire ufficialmente a nessuna lista[20], anche se nella lista Ncd/Udc sono candidati quattro esponenti del partito: Pietro Sbaraini, Matteo Forte, Domenico Rossi e Tommaso Scotto.
Alle elezioni amministrative del 2014, i Popolari per l’Italia sono tra i protagonisti con la propria lista del successo di Dario De Luca, eletto sindaco di Potenza alla guida di una colazione di centrodestra alternativa sia al centrosinistra guidato dal Partito democratico, che al centrodestra ufficiale formato da Forza Italia e Nuovo Centrodestra.
Elezioni regionali e amministrative 2015
Alle elezioni regionali del 2015 i Popolari per l’Italia presentano liste col proprio simbolo in Campania e in Puglia, a sostegno rispettivamente di Stefano Caldoro (centro-destra) e di Michele Emiliano (centro-sinistra). Nella tornata elettorale delle amministrative i Popolari per l’Italia sono presenti inoltre in più di cinquanta comuni, tra i quali quattro capoluoghi – Macerata, Chieti, Agrigento e Matera. In Campania ottiene lo 0,76% e in Puglia lo 0,39%. In nessuna delle due regioni ottiene seggi.
Uscita dalla maggioranza e dissoluzione dei gruppi parlamentari
Il 3 giugno 2015 i Popolari per l’Italia escono dalla maggioranza di governo.[21] I gruppi parlamentari tuttavia si dissolvono, dato che la senatrice Angela D’Onghia (sottosegretario all’Istruzione) e il deputato Domenico Rossi (sottosegretario alla Difesa), decidono di rimanere nel governo, passando al gruppo misto. L’ultimo senatore rimanente oltre a Mauro, Tito Di Maggio, passa al neonato gruppo dei Conservatori e Riformisti guidato da Raffaele Fitto.[22]
Controversie
L’ex segretario del Partito Popolare Italiano, Pierluigi Castagnetti, ha diffidato Mario Mauro dall’utilizzo della sigla «PPI» e dell’aggettivo «popolari». L’acronimo, infatti, è identico per entrambe le formazioni politiche e Castagnetti non vorrebbe che la siglia venisse «trascinata in polemiche e iniziative politiche che finirebbero (al di là delle migliore intenzioni di chi intendesse farne uso) oggettivamente per cambiarne il significato».[23][24]