Maria Laura Rodotà, Amica 6/2015, 3 giugno 2015
TEST DI HILLARITÀ
Basta ipocrisie. Basta dance. Basta distinguo. Basta con i “nonostante”. Se tante donne sono per Hillary, è perché vogliono tifare per la cattiva. Finalmente. Per una cattiva di aspetto normale, non la regina di Biancaneve o un’oligarca ex sovietica o – per chi ha un’età e la ricorda – una Joan-Collins-perfida-Alexis di Dynasty. Di aspetto normale ma senza la ferocia da tata britannica liberista che aveva Margaret Thatcher; e neanche il distacco placido, l’apparente lontananza dalle ansie femminili, che emana l’attuale donna più potente del mondo, Angela Merkel. Perché Hillary Rodham Clinton, sotto molti aspetti, cattiva è davvero. O meglio: determinata a raggiungere i suoi obiettivi – un tempo del marito Bill, spessissimo di ambedue – senza badare a dilemmi etico-morali o ad altri orpelli. Come tanti politici maschi passati alla storia come grandi statisti, per carità. Ma con un elemento in più, variamente ostentato e sinceramente umanizzante: Clinton è stata davvero la ragazza super secchiona con gli occhiali a fondo di bottiglia, la studentessa-star che si mette col bel bisteccone simpatico e ambizioso, e come tante, accantona la sua prevista brillante carriera e lavora, ma lavora per l’ascesa di lui; la mamma lavoratrice incasinata, la moglie tradita, ritradita, ancora tradita, pubblicamente tradita, pubblicamente riscattata grazie al tradimento più famoso (il caso Monica Lewinsky) e finalmente professionalmente realizzata (un’elezione al Senato degli Stati Uniti può definirsi così).
La donna accusata sottotraccia, ma neanche tanto, di amare le donne molto più degli uomini (“Ovunque andasse da first lady, per prima cosa Hillary cercava le femministe”, racconta una che la vide all’opera; “Mrs. Clinton è arrivata con la sua inseparabile assistente Huma Abedin”, informano sempre i media). La neononna che esalta e brandisce la nipotina di sei mesi come un’arma-fine-di-mondo, e in ciò è uguale alla maggioranza delle nonne non famose. La donna d’acciaio con manifeste insicurezze tricologiche, ha cambiato almeno seimila pettinature nel corso della sua vita pubblica, e prima; e sul profilo Twitter si definisce “hair icon”, giustamente, il suo staff, negli anni, ha provato a insegnarle a prendersi in giro.
WIKI-CLINTON
La storia è nota. Apparentemente. Basta digitare “Hillary” su un motore di ricerca, per trovare informazioni infinite. Basta leggere qualcosa per capire che la storia non è nota per niente. Meglio: che delle storie più interessanti, l’ascesa dei Clinton, le strategie di Hillary, i vizi di Bill, le infinite trame e trattative alla Casa Bianca, la vera natura di un’unione fruttuosa e a suo modo solidissima anche se i due vivono separati da 15 anni, si sa veramente poco. E quello che ogni tanto trapela ispira soddisfatti “te l’avevo detto” negli anti-clintoniani e una certa ansia nelle fan di Hillary. Le ultime notizie del genere – forse penultime, o terzultime, o chissà, tra l’andata in stampa di questo articolo e la sua uscita potrebbe uscire molto altro – riguardano le donazioni alla Clinton Foundation, la fondazione umanitaria di famiglia, creata dopo l’uscita dalla Casa Bianca di Bill a gennaio 2001, dopo due mandati. Sull’argomento è uscito il libro Clinton Cash di Peter Schweizer, e parla di finanziamenti di potentati stranieri alla fondazione mentre Hillary era segretario di Stato, e di vantaggi ai potentati grazie anche agli americani. E The New York Times – dopo avere tanto lavorato sulle responsabilità del dipartimento di Stato sull’attentato a Bengasi in cui morì l’ambasciatore – ha pubblicato un’inchiesta su un gruppo di imprenditori minerari che ha molto donato alla Clinton Foundation per poi contribuire al monopolio globale dell’uranio della Russia di Vladimir Putin. Per questo, e altri motivi, i sostenitori di Hillary e i democratici tutti, che in caso di scandalo/i si troverebbero senza candidati di peso per la Casa Bianca, sono preoccupati. Lo saranno fino a novembre 2016, al giorno delle elezioni. Non si sa mai.
LA LUPA DI WALL STREET
Anche perché, adesso, di Hillary ce ne sono due. Quella che davvero si chiama così e che, per la seconda elezione presidenziale di fila, si presenta come inevitabile (e la prima volta non lo fu). E quella che non potrebbe mai vincere ma è la donna e il politico preferito dei progressisti americani, la senatrice Elizabeth Warren. Giurista espertissima di diritti dei consumatori, arcinemica delle grandi banche, delle compagnie assicurative, degli speculatori finanziari. I molti warreniani – tra cui Warren – non puntano su una sua candidatura alle primarie, ma a una sua presenza e pressione sull’opinione pubblica per spostare Hillary a sinistra. I Clinton sono, diciamo, più centristi sull’economia, come su molto altro. Con Bill ci fu la deregulation finanziaria; Hillary è tuttora finanziatissima da Wall Street. E i liberal la vorrebbero meno attenta alle banche e più agli americani massacrati dalla crisi e poco garantiti in una ripresa sussultante. E le minoranze – dopo la rivolta di Baltimora più che mai – la vorrebbero più decisa nella difesa dei loro diritti. Lei si sta un po’ spostando verso sinistra, in effetti, al momento. Poi si vedrà.
HILLARY ASCOLTA
Dipende dai sondaggi. Dipende dalla raccolta fondi, Team Clinton spera di arrivare a 2 miliardi e mezzo di dollari per contrastare la campagna a tappeto dei repubblicani finanziati dai ricchissimi. Dipende dalla strategia elettorale: al momento, è il contrario di quella rivelatasi disastrosa nel 2008. Allora, Hillary veniva presentata come una macchina da guerra, un’esperta statista che sapeva tutto e parlava di sé (non è stata l’unico candidato a farlo), per una donna non ha funzionato. Stavolta, è partita con uno spot commovente in cui tutta la coalizione di fatto, senza la quale un democratico non arriva alla Casa Bianca (donne, minoranze, giovani, colletti blu, Lgbt), è affettuosa e ottimista e Hillary, candidata nonna-in-capo, si presenta sorridente alla fine, pronta a lottare per gli americani normali. E poi subito partita per un “listening tour”, un viaggio in cui incontra elettori in piccoli gruppi e ascolta; il che è utile perché non deve ancora troppo prendere posizione. Adesso, per sembrare più buona, mette più tailleur con gonna e meno tailleur pantalone, che erano la sua mise distintiva. Si prevede che continuerà a parlare di riforma sanitaria, Obama l’ha fatta ma ora va difesa, e la sua proposta, forse, era meglio. E si pensa che non evocherà più una “vast right-wing conspiracy”, un’ampia congiura di destra, come ai tempi degli scandali clintoniani nel senso di Bill. Anche se, anche stavolta, un po’ potrebbe essere vero. Resta il grande personaggio, resta la sua ultima sfida. Resta l’interesse per la sua vera storia. Ma le fan vorrebbero conoscerla tra qualche anno, dopo un paio di elezioni, in caso.