Caterina Soffici, Vanity Fair 3/6/2015, 3 giugno 2015
SPOSI IN FUGA
Claudio Rossi Marcelli ha scritto un libro per raccontare una storia d’amore (E il cuore salta un battito, Mondadori, pagg. 228, € 19): il colpo di fulmine, i litigi, il tira e molla, fino a decidere di vivere insieme. Che banalità, direte. Se non fosse che gli innamorati sono due uomini. Che scelgono di essere una coppia gay nell’Italia di vent’anni fa. Una vera sfida. Ora Claudio Rossi Marcelli ha sposato il suo Manlio (a Ginevra), hanno tre figli (due gemelle di 7 anni, Clelia e Maddalena, e Bartolomeo, 4 anni) e su Internazionale racconta la sua vita in una famiglia con due papà.
Tutto ciò è iniziato nel 1996. Che cosa è cambiato in Italia da allora?
«C’è stata una normalizzazione. Allora brancolavamo nel buio. Noi stessi dovevamo decidere se volevamo essere una coppia. Crearci un’identità».
Negli anni Novanta essere gay era associato alla trasgressione, al disordine affettivo, a locali equivoci. Voi non avete nulla di ciò.
«Siamo sempre stati “normali”. Io racconto come si innamorano due ragazzi omosessuali. Ho scritto una sorta di manuale di educazione sentimentale quando, tra i 19 e i 25 anni, da una storiella nasce una coppia».
Fa ancora il dj a Muccassassina, la serata dell’orgoglio gay e trans al Qube di Roma?
«Non più. Ha coinciso con l’attivismo della comunità Lgbt: dal rivendicare la libertà di una trasgressione sessuale al riconoscimento di una minoranza che vuole dei diritti».
Chiama Manlio «mio marito». Vi siete divisi i ruoli?
«Come dovrei chiamarlo? Anche io per lui sono un marito. Siamo due mariti e due papà. I ruoli nella coppia non dipendono dal sesso ma dalla personalità: io coi figli sono il poliziotto cattivo, lui quello delle coccole».
L’Irlanda ha detto sì ai matrimoni gay. Perché l’Italia è così retriva?
«È la politica vaticanizzata. E poi in Italia non si scende in piazza per i diritti degli altri. Ognuno pensa per sé. Comunque l’Italia non è l’Iran».
Però ci sono gay che si uccidono perché i compagni li bullizzano.
«Perché manca una legge. Se lo Stato dicesse che l’amore omosessuale è uguale a quello etero, si stabilirebbe un principio. Invece in Italia l’omofobia è un’opinione personale».
Voi vi siete sposati a Ginevra. Ora vivete a Copenhagen. Tornerete?
«Siamo rimasti all’estero per una questione di diritti. Qui è tutto più semplice».