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 2015  giugno 02 Martedì calendario

LACAZETTE: «NON SONO UNA STAR»

A far scattare la ghigliottina è stato un ragazzo sconosciuto ai più. E a rotolare invece è stata una testa molto illustre. Quella di Ibrahimovic. Il regno dello svedese in Francia durava incontrastato da due stagioni, ma è stato messo a ferro e a fuoco da Alexandre Lacazette, 24 anni appena compiuti, e festeggiati da miglior marcatore e miglior giocatore del campionato. Titoli sottratti all’ex rossonero, contro ogni pronostico di inizio stagione, bucando 27 volte le porte avversarie. Otto reti in più di Ibrahimovic. E contando quelle di coppa, il totale sale a 31, come Cavani, l’altra stella messa in ombra dal giovane bomber nato e cresciuto nel club della sua città, Lione.
Relegare Ibrahimovic in secondo piano a suon di gol non è da tutti.
«Però bisogna tenere in conto che Ibrahimovic è stato fermo un mese e mezzo per infortunio e io ho calciato anche qualche rigore più di lui».
Modestia a parte, quando ha capito che stava facendo il salto di qualità?
«Per me doveva essere la stagione della conferma (dopo i 15 gol in Ligue 1 dell’anno scorso, ndr ), ma ho capito soltanto verso novembre che le cose si mettevano davvero bene. E paradossalmente quando ho sbagliato il rigore nel derby col St. Etienne, perso 3-0 (il 30 novembre, ndr ). Quell’errore mi ha spinto a fare ancora di più».
Ibrahimovic l’ha ispirata?
«I grandi giocatori sono sempre una fonte di ispirazione, ma Zlatan ha un fisico molto diverso dal mio, quindi è difficile copiarlo».
Quali altri giocatori ammira in Francia?
«Lavezzi e Cavani, per la loro grinta, la generosità. Li hanno criticati molto, invece sono grandi attaccanti, generosi, Cavani in particolare».
Lei è il primo giocatore del Lione a vincere la classifica marcatori dopo Benzema nel 2007-08, possiamo considerarla il suo erede?
«Di base non mi piacciono in paragoni e poi Benzema è diventato capocannoniere quando era molto più giovane di me (a 20 anni, ndr ), ma anche in un Lione migliore dell’attuale. Quindi tutto dipende dal punto di vista. In ogni caso, abbiamo qualità complementari, magari da far maturare in nazionale».
I suoi idoli da sempre?
«Il brasiliano Ronaldinho, il più spettacolare, Messi a parte. Ed Henry per la freddezza sotto porta. L’altro brasiliano Sonny Anderson, eroe a Lione (fra il 1999 e il 2003, ndr ). Ho sempre una maglietta con il suo numero e il mio nome sopra, regalo dei miei quando ero ragazzino».
E tra i giocatori di oggi?
«A parte Messi e Ronaldo, seguo con attenzione gli argentini Aguero e Tevez che hanno una stazza simile alla mia. Di Tevez cerco di copiare la determinazione che mette in ogni partita».
Sabato Tevez e la Juventus sfidano il Barcellona in finale di Champions League. Per chi tifa?
«È dura perché sono tifoso del Barcellona, ma nella Juve ci sono Pogba e Evra, amici e colleghi di nazionale. Soffrendo, tiferò per loro: sarà una partita aperta».
Morata dice che il calcio italiano è l’università per un attaccante. Lei si sente già laureato?
«Tutti possiamo migliorare. Per esempio io devo lavorare di più il sinistro e i movimenti in area. Penso che Morata intendesse che da voi il calcio è molto più strutturato in ogni settore, un po’ come a scuola appunto».
 Il calcio italiano però non fa più sognare i giovani attaccanti come lei.
«L’anno scorso, ai quarti di finale di Europa League, ho provato sulla mia pelle quanto sia frustrante giocare contro una difesa italiana come quella della Juventus. Magari la Serie A è l’università soprattutto per i difensori».
Quali sono gli italiani che ha ammirato di più?
«Il Pirlo dei tempi del Milan e Totti per l’eleganza, la fedeltà alla maglia e perché porta il 10 come me».
A proposito di fedeltà. Su di lei circolano voci di mercato. A quali club non si può rinunciare?
«Barcellona e Real Madrid, anche perché mi piace il calcio spagnolo. Ma sia chiaro: non ho deciso nulla e a Lione c’è tutto per fare di nuovo una bella stagione. Restare in Francia ridurrebbe i rischi, anche perché tra un anno c’è l’Europeo. Ma pure tutte le voci sul Psg adesso sono infondate».
Come vive questa improvvisa notorietà?
«Bene, perché mi dico semplicemente che i veri problemi nella vita sono altri».
Lei è un po’ controcorrente nel mondo del calcio. Ha una reputazione di bravo ragazzo che va sempre a messa e si è fatto pure tatuare un rosario al braccio destro.
«Andare a messa è la cosa più semplice da fare. Il tatuaggio me lo sono fatto perché prima un rosario lo portavo sempre al collo e adesso posso averlo su di me anche in campo. Dimostrare la mia fede a Dio è normale, ma penso sarebbe più difficile se fossi musulmano».
Perché?
«In Francia purtroppo si tende a fare confusione tra musulmani e terroristi. Invece ognuno dovrebbe vivere liberamente la propria fede».
Altro tatuaggio, una rosa, in omaggio al nome di sua mamma.
«È la persona che conta di più per me. Ma ormai ho tatuato anche i nomi di mio padre e dei miei tre fratelli, così nessuno è invidioso. Scherzi a parte, la famiglia è fondamentale e mi aiuta a tenere i piedi per terra».
Ma neanche dopo aver segnato più di Ibrahimovic si compra la Ferrari?
«Mi piacciono le belle macchine, ma è ancora presto. Ne riparliamo tra quattro anni».