Camilla Conti, Avvenire 3/6/2015, 3 giugno 2015
ENI, DAI CONTI IN ROSSO AL RILANCIO GREEN
L’Eni è la più grande impresa italiana. Con circa 84.000 dipendenti sparsi in 83 Paesi è nata per legge nel febbraio 1953 da una società già esistente, l’Agip, creata nel 1926 con lo scopo di cercare giacimenti petroliferi, acquisire e commercializzare petroli e derivati. Grazie alla scoperta di alcuni giacimenti di idrocarburi in Val Padana, Enrico Mattei – nominato nel 1945 commissario straordinario dell’Agip – riesce in extremis a salvare l’azienda dalla liquidazione e a rilanciarne l’attività grazie anche alla costruzione di un’ampia rete di metanodotti e di un’estesa catena di stazioni di servizio.
Il marchio del Cane a sei zampe, il «fedele amico dell’uomo a quattro ruote», che ancora rappresenta Eni nel mondo, viene scelto nel 1952. Sono gli anni della motorizzazione di massa che inaugura la corsa verso quello che ilFinancial Times definirà il ’miracolo economico’ italiano. E «se in questo Paese sappiamo fare le automobili, dobbiamo saper fare anche la benzina», diceva Mattei.
Negli ultimi anni, nove per la precisione, la gestione del gruppo è stata affidata a Paolo Scaroni che ha affrontato la crisi innescata dal crac Lehman maneggiando numeri oltre 115 miliardi d’investimenti a partire dal 2005. Nel 2013, ultimo bilancio firmato da Scaroni, l’Eni ha registrato 12,6 miliardi di utili, derivati da 14,6 miliardi portati in dote dalle attività petrolifere e da 1,9 miliardi di perdite degli altri settori (principalmente il gas, la raffinazione, l’industria chimica).
All’inizio del suo mandato lo scenario era del tutto diverso: 17,4 miliardi di ebit nel 2005, di cui 12,6 miliardi nelle attività petrolifere e 4,8 miliardi dalle altre attività (di cui 3,7 miliardi di parte Snam). Insomma, la grande crisi con relativo crollo dei consumi e la vendita della Snam, imposta dal governo Monti, hanno colpito duro.
Oggi, a un anno dall’uscita di Scaroni, l’Eni guidata dal nuovo amministratore delegato Claudio Descalzi deve fare i conti con le inchieste giudiziarie sulla precedente gestione, a partire da quella sui contratti internazionali della controllata Saipem.
Nella prima assemblea dei soci della nuova era, la presidente Emma Marcegaglia si è trovata costretta a rispondere punto per punto a Beppe Grillo che, con due azioni in tasca, si è presentato al grattacielo dell’Eur per uno dei suoi consueti show. Sul fronte dei conti, il crollo del prezzo del petrolio ha falcidiato gli utili del 2014 (1,29 miliardi, il 75 per cento in meno dell’anno precedente) e costretto il gruppo a tagliare il dividendo. Per quanto riguarda il futuro della controllata Saipem, Descalzi ha spiegato che non è intenzione di Eni uscire del tutto dalla società (oggi ha poco più del 42 per cento), ma semmai di «deconsolidare quel debito». La linea del manager è infatti quella di ridurre l’indebitamento e aumentare la produzione, presupposto necessario per essere predatori e non prede nel prossimo consolidamento che potrà partire da Exxon, Shell e Bp. Quanto alla strategia industriale, negli ultimi dodici mesi il gruppo ha messo in campo una rifocalizzazione sul core business, su quell’upstream che per Eni resta centrale, e una forte ristrutturazione degli altri segmenti (il gas, la raffinazione e la chimica). Settori in cui Eni ha perso dal 2009 al 2013 quasi 10 miliardi di euro. Nel futuro del gruppo non ci sarà solo il petrolio, ma anche gas, biomasse e fotovoltaico. Per una crescita molto green.
Nel frattempo, il Cane a sei zampe dovrà fare i conti con la variabile geopolitica visto che è presente nelle zone più instabili del pianeta scosse da guerre civili, terrorismo, e tensioni con le nazioni vicine. Ma da lì arrivano le risorse energetiche italiane, e quella frontiera dev’essere difesa. Per questo in un’intervista a Repubblica, l’amministratore delegato Claudio Descalzi ha detto che sta cooperando con il governo per una pacificazione in Libia dove il gruppo intende restare, nonostante le minacce del terrorismo. E per questo l’Eni è stata la prima compagnia a tornare anche in Iran qualche settimana fa per sbloccare i circa 800 milioni di euro di crediti commerciali.