Filippo Facci, Libero 3/6/2015, 3 giugno 2015
IL MARCHIO SCAJOLA È PER SEMPRE. INDAGATO IL NIPOTE
Claudio Scajola non riscuote troppe simpatie e questo impedisce di ammettere che il suo caso politico e giudiziario ha dell’incredibile, e meriterebbe quantomeno delle scuse. Il punto è chi debba fargliele. Cominciamo con l’aspetto politico, che è più breve. Anzi brevissimo, se ci limitassimo a dire che in Liguria ’è Giovanni Toti che voleva mano libera e abbiamo visto perché. Il problema è che Scajola è stato fatto fuori sin dalle scorse Europee, ma non per ragioni politiche, tipo ricambio generazionale o cose del genere: lo stesso Giovanni Toti, nell’aprile 2014, disse infatti che «nonostante l’assoluzione, la vicenda della casa al Colosseo ha pesato troppo», anche se Scajola, appunto, era già stato assolto. Il caso è del maggio 2010, e a luglio 2011 la procura di Perugia archiviò senza nemmeno indagarlo: ma un mese dopo intervenne la procura di Roma che lo rinviò a giudizio per finanziamento illecito. Ma, anche qui, è stato assolto con formula piena il 27 gennaio 2014, e questo attenzione, a reato prescritto, nel senso che il giudice ha rilevato la manifesta innocenza dell’imputato. La vicenda quindi è morta lì (l’appello della Procura l’ha visto prosciolto) e bisognerebbe leggere la sentenza da pagina 32 a 39: spiega che il famoso appartamento al Colosseo non valeva assolutamente il famoso milione e 700 mila euro di cui tutti hanno scritto; Scajola pagò un prezzo che aveva ragione di ritenere congruo. Ma questo tutto sommato lo sanno in pochi, perlomeno in confronto alla popolarità della celebre battuta sull’acquisto «a sua insaputa»: la scarsa disponibilità alla resipiscenza, soprattutto da parte della stampa, ha steso una lapide politica. E le valutazioni politiche, beninteso, sono lecite, e va da sé che un partito possa ritirare una candidatura per i più svariati motivi: sta di fatto che per Scajola fu ritirata, anche se ora suo nipote Marco, nelle regionali di domenica, è risultato il secondo degli eletti con 4192 preferenze. Evidentemente il suo cognome non era poi così sputtanato. A sinistra, intanto, all’epoca, c’era un Niki Vendola che da governatore della Puglia e da capo di un partito risultava rinviato a giudizio per concussione aggravata. E come lui tanti altri: senza neppure bisogno di quella Legge Severino che non ha impedito al Partito Democratico, ora, di candidare Vincenzo De Luca in palese spregio della stessa legge. I problemi giudiziari di Scajola erano anche altri, ma sono andati quasi tutti risolti nel silenzio generale. C’era un avviso di garanzia dalla procura di Imperia per associazione a delinquere nella realizzazione del porto di Imperia, gran casino sui giornali: archiviato nel gennaio del 2013 su richiesta dell’accusa. C’era il “caso Biagi” che, non fosse chiaro, è strachiuso: è stato archiviato dalla procura di Bologna nel 2002, poi è stato riaperto nel 2015 dallo stesso pm che l’aveva istruito tredici anni prima (anche se l’eventuale reato è già stato dichiarato prescritto nel 2009) ma infine il tribunale dei ministri l’ha richiuso meno di un mese fa, e il proscioglimento era così ovvio che non hanno neppure autorizzato la procura a interrogarlo. Poi ci sono le visioni di John Henry Woodcock e della procura di Napoli: nel 2012 contestò a Scajola la richiesta a Finmeccanica di una tangente da 500 milioni (per la vendita, mai realizzata, di navi da guerra al Brasile) ma nel gennaio scorso il tutto è stato archiviato su diretta richiesta dell’accusa. Ci sono cazzatelle come l’inchiesta per “detenzione illecita di anfora romana” nella casa di Imperia (2013) anche se la moglie dell’ex ministro esibì il permesso di regolare detenzione durante la perquisizione, la quarta: archiviato tutto nel marzo scorso. Meno di una settimana fa, invece, il pm dell’accusa ha chiesto direttamente l’archiviazione per “sottrazione illecita di atti” dopo che nel 2013 (due giorni dopo che Scajola non era più parlamentare) tutti i giornali avevano scritto di "dossier segreti" detenuti illecitamente: il pm adesso, adesso, dice che quelle carte non erano segrete, e che Scajola poteva conservarle. Rimane qualcosa? Beh, sì: l’aggrovigliato “caso Matacena”, con il rumoroso arresto di Scajola per “tentativo di procurata inosservanza di pena” (mai visto l’arresto per un reato simile) con l’aggravante mafiosa che venne rigettata dal gip e anche dal tribunale del riesame, il che non impedì a Scajola di rimanere a Regina Coeli per 40 giorni e ai domiciliari fino a novembre 2014. Da allora gli è imposto l’obbligo di residenza (può parlare al telefono e vedere chiunque, ma non deve lasciare Imperia) e insomma le indagini non sono chiuse, il processo non è stato fatto: ma noi tutti confidiamo nei tempi notoriamente celerrimi della nostra giustizia. Soprattutto perché le indagini su Scajola, intanto, proseguono con variabile dinastica: l’inchiesta sulle “spese pazze” della Regione Liguria ha già messo nel mirino Marco Scajola, il citato nipote di Claudio che sarà interrogato nei prossimi giorni: e riecco affacciarsi un possibile rinvio a giudizio e l’incubo della Legge Severino. Le tradizioni di famiglia vanno rispettate.