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 2015  giugno 02 Martedì calendario

CORPO FORESTALE: RIFORMA IN SALITA

Quando Re Carlo Felice di Savoia, il 15 ottobre 1822, istituì per regia patente l’amministrazione forestale «per la custodia e la vigilanza dei boschi», non poteva certo immaginare che avrebbe trovato nella Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo il baluardo a salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza della sua evoluzione, vale a dire il Corpo forestale dello Stato.
Già, perché 193 anni dopo e mentre il Senato l’8 maggio ha cominciato l’esame del disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione (cosiddetto Madia dal nome del ministro per la Semplificazione e la Pa) che all’articolo 7 prevede il riordino delle funzioni di polizia di tutela dell’ambiente e del territorio e la riorganizzazione di quelle del Corpo forestale con l’eventuale assorbimento delle funzioni in quelle delle altre Forze di polizia, l’assist più prezioso sulla polemica che sta divampando da molti mesi, giunge proprio dal capo della Dnaa, Franco Roberti.
Il no dell’Antimafia
Il 4 novembre 2014, con il sostituto procuratore Roberto Pennisi, Roberti si è recato in audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Sollecitato dai commissari sulla paventata soppressione del Corpo forestale dello Stato, ecco la risposta: «Noi siamo contrarissimi, se non si è capito, lo ribadisco, alla soppressione del Corpo forestale dello Stato, perché sarebbe come togliere all’autorità giudiziaria l’unico organismo investigativo in materia ambientale che disponga delle conoscenze, delle esperienze, del know-how e anche dei mezzi per poter smascherare i crimini ambientali. Si potrebbe osservare che non lo sopprimiamo, ma lo accorpiamo e lo facciamo assorbire dalla Polizia di Stato. Noi paventiamo che questo eventuale assorbimento, che forse risponde a esigenze di finanza, di spending review, non lo so, potrebbe rischiare di stemperare di molto il patrimonio di conoscenze e di esperienze e, quindi, la capacità investigativa di questo Corpo, che noi sosteniamo e che è il più diretto e stretto collaboratore nostro, come procura nazionale, e delle procure distrettuali».
Il commissario Enrico Buemi (Psi) insiste: «Per quanto riguarda l’accorpamento con i Carabinieri?» e allora insiste anche Roberti: «Senatore, noi riteniamo che il Corpo forestale dello Stato debba mantenere una propria identità, perché attraverso il mantenimento dell’identità può sviluppare sempre meglio la propria conoscenza, la propria esperienza e la propria specializzazione, che, con tutto il rispetto – figuriamoci – per le altre Forze di polizia, per quanto riguarda il Corpo forestale dello Stato non concerne soltanto i rifiuti, ma anche tutta la criminalità ambientale».
La difesa in Senato
Più risoluti di così si muore eppure il Governo questa cura dimagrante nel nome della spending review, che non toccherebbe comunque le articolazioni del Corpo nelle Regioni autonome e a statuto speciale, la vuole: alla Camera la proposta è passata e l’8 maggio in Senato, per la maggioranza (all’interno della quale si levano voci sempre più contrarie alla riforma-Madia del Corpo forestale), il compito di difendere le posizioni è toccato a Linda Lanzillotta (Pd), che concorda «sulla prospettiva di un nucleo specializzato di polizia ambientale al posto di un corpo ad hoc; un nucleo che, lungi dall’abbassare la guardia sui reati ambientali, al contrario la integri con indagini di altissima specializzazione, perché riguardano organizzazioni internazionali, come le ecomafie, rispetto alle quali una polizia territoriale, come di fatto sarebbe il Corpo forestale (anche se poi gli sono stati anche affidati compiti antisommossa), non è in grado di farvi fronte, data, appunto, la complessità dei reati ambientali». Alla fine del suo intervento la stoccata: «Credo che l’attività istintivamente ed automaticamente difensiva dell’esistente, che molte forze di polizia mettono in atto, non parliamo del Corpo forestale, rispetto al quale oggi abbiamo avuto una dimostrazione della penetrazione dell’attività lobbistica nel Parlamento, è in generale un fenomeno diffuso».
Progetto “eversivo”
Chissà se ce l’aveva anche con il capo della Dnaa oltre che, ad esempio, con il suo collega senatore Giuseppe Francesco Maria Marinello (Area popolare) che poco prima aveva detto che «quanto alle conseguenze che potranno derivare dal possibile ed eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in seno al Ministero dell’Interno, considero questo aspetto non solo pericoloso, ma addirittura eversivo». Di certo la Uil-Pa (uno dei sindacati esposti nella difesa a oltranza) ha giocato pesante, ricordando che Lanzillotta è «guarda caso moglie dell’ex ministro Franco Bassanini, che con un Dpcm a Camere sciolte, già nel 2001 voleva liquidare il Corpo svendendolo alle Regioni».
L’autodifesa del Corpo
Che esista una lobby è evidente anche se il Corpo forestale si difende benissimo da solo. A cominciare dai numeri, con uno slogan efficace: «Siamo meno dei vigili urbani di Roma». Oggi sono 7.563 (in pianta organica sarebbero però 9.630), ai quali si aggiungono i 1.340 operai forestali assunti a tempo indeterminato, che si occupano delle 130 riserve naturali gestite dalla Forestale. Per dare qualche parametro di paragone, i Carabinieri sono 105mila, i poliziotti 95 mila, i finanzieri 60mila e gli agenti di polizia penitenziaria 38mila. Con quei numeri le competenze del Corpo sono ampie: tutela dell’ambiente e salvaguardia della biodiversità, sicurezza pubblica e protezione civile, con particolare riferimento alla lotta agli incendi boschivi e alla sicurezza agroalimentare.
L’analisi sui costi
Il Governo sottolinea che la riforma viene richiesta a gran voce dall’Europa (in realtà il riferimento è all’intero complesso delle Forze di polizia e non ad una quota parte) e che con la razionalizzazione delle funzioni di polizia ambientale il risparmio sarebbe assicurato. Secondo il Corpo Forestale, esclusi gli stipendi (460 milioni all’anno, che rappresentano però un nodo cruciale della riforma proposta dal Governo), il costo è di circa 30 milioni all’anno, che quasi si compenserebbero con i 28 milioni di sanzioni amministrative elevate (media 2010/2013). In più, nell’immediato ci sarebbe il paradosso del “costo di allineamento” per la sostituzione immediata delle divise (sulla base delle ultime gare d’appalto circa 12,3 milioni), dei mezzi “civetta” e di quelli speciali (ipotizzando una consistenza del parco mezzi interessato di 1700 unità, il costo stimato è di 8,3 milioni), della flotta aerea (il costo stimato è di 2,5 milioni) e della formazione (circa 1,54 milioni considerando, per ogni unità di personale, un numero minimo di 5 giornate formative nell’anno, con una spesa minima di 40 euro al giorno per vitto-alloggio-missione e la spesa per le docenze). Il totale è di circa 24,6 milioni.
Nuove proposte
Ecco dunque che – riforma Madia si riforma Madia no – parte dallo stesso Corpo forestale la proposta di una razionalizzazione che sfoci nel Corpo nazionale di tutela ambientale il quale conterebbe su 14.124 unità. Il neo Corpo assorbirebbe l’Ispettorato centrale della tutela e della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, i Corpi di polizia provinciale e quello delle Regioni a statuto speciale e autonome.
Lo spettro del neonato Corpo spazierebbe dunque dalla gestione delle aree naturali protette di rilevanza nazionale ed internazionale alle operazioni di spegnimento degli incendi boschivi, passando attraverso l’attività ricognitiva del territorio, preordinata all’aggiornamento della mappatura e all’individuazione delle aree ad elevato rischio idrogeologico.
.Guardie o Ladri
robertogalullo.blog.ilsole24ore.com
Roberto Galullo, Il Sole 24 Ore 2/6/2015

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MA RESTA LA GIUNGLA DEI «FORESTALI» –
C’è tutela e tutela dell’ambiente. C’è il Corpo forestale dello Stato, per il quale la riforma sembra ormai un dato di fatto, e poi c’è il mare magnum dei forestali, degli addetti alla forestazione, degli operai, dei funzionari e dei tecnici dei boschi – e chi più ne ha più ne metta – capillarmente suddivisi tra Comuni, Comunità montane, Province, Regioni Consorzi di bonifica e Agenzie varie.
Sapere e capire quanti sono in Italia è praticamente impossibile: alcune stime dello stesso Corpo forestale dello Stato si spingono a contarne oltre 60 mila (di cui 38mila tra Calabria e Sicilia) per un costo non inferiore ai 640 milioni all’anno (calcolato per difetto perché bisogna aggiungere l’onere legato all’esternalizzazione, in tutto o in parte, dei servizi).
Anche il Sole-24 Ore ha provato a saperne di più coinvolgendo, attraverso la collaborazione e la spinta della Conferenza delle Regioni e delle province autonome, le Regioni stesse. Il risultato? Alla richiesta ufficiale congiunta, partita il 5 maggio alle 21.46, hanno aderito solo otto Regioni a statuto ordinario: Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Abruzzo, Umbria, Lazio, Campania e Puglia. Tutte hanno risposto con distinguo e precisazioni ma almeno hanno dato un esempio di trasparenza in una situazione magmatica nella quale (visto l’altissimo potere elettorale, segnatamente al Sud, dei forestali e dell’indotto della forestazione) la politica locale è restia a mettere mano. In Emilia-Romagna, ad esempio, ci sono solo tecnici e funzionari, che si occupano prevalentemente di pianificazione, progettazione e gestione di finanziamenti regionali ed europei (35/40 unità), oltre a 10 operai forestali con contratto di lavoro di tipo privatistico e spesso a tempo determinato (ma nessuno della Regione). Per il resto la realizzazione dei lavori viene affidata esclusivamente a imprese/cooperative tramite procedure di appalto.
Al 1° dicembre 2012, al momento del passaggio dalle Comunità montane all’Agenzia forestale istituita in Umbria, i dipendenti erano 604 (568 operai e 36 impiegati). Al 1° aprile 2015 il numero (a causa del blocco del turn over) è sceso a 579 con contratto privatistico ma ci sono poi 65 dipendenti dell’Agenzia con contratto del pubblico impiego e 201 dipendenti delle Comunità montane in liquidazione.
Nel Lazio il personale regionale che svolge funzioni di vigilanza in aree protette conta complessivamente 264 unità, suddivise in un due categorie: esperto (29 unità) e assistente (235).
In Campania la manodopera forestale delle 20 Comunità montane conta 3.807 addetti, ai quali si aggiungono i 321 delle cinque province, per un totale di 4.128 dipendenti.
(R.Gal.)

Roberto Galullo, Il Sole 24 Ore 2/6/2015