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 2015  giugno 02 Martedì calendario

LA RIVOLUZIONE CONTRO BLATTER

Assomiglia all’elezione del Papa. I musicisti dell’orchestra filarmonica di Berlino, probabilmente la migliore del mondo, si riuniscono in un luogo isolato e segreto, consegnano i loro telefoni cellulari e votano per eleggere il loro direttore, l’uomo che occuperà la carica che è stata di Herbert von Karajan, Claudio Abbado e dei tanti altri illustrissimi nomi che hanno diretto la gloriosa istituzione. In questo conclave segreto, i musicisti votano a oltranza, fino a quando uno dei candidati non raggiunge una maggioranza rilevante. Alcune settimane fa, per la prima volta dal 1882, i musicisti non sono riusciti a mettersi d’accordo. La frammentazione all’interno dell’orchestra ha reso impossibile scegliere il sostituto del direttore uscente, sir Simon Rattle, e così, imitando la consuetudine del Congresso degli Stati Uniti, si è deciso di rimandare l’elezione al prossimo anno. «I musicisti di Berlino orchestrano la fine dell’autocrazia», ha scritto la critica Shirley Apthorp, e ha aggiunto: «L’era dell’autocrate è finita: anche orchestre meno democratiche di quella di Berlino vogliono avere una maggior voce in capitolo sulle loro sorti. Lo stile assolutista di Herbert von Karajan non ha più spazio in una società egualitaria».
È un’affermazione perfettamente applicabile a molti altri ambiti delle occupazioni umane. La Fifa, per esempio. Qualcuno dubita che stiamo assistendo alla fine dei metodi corrotti, opachi e autoritari con cui ha funzionato finora l’organizzazione che gestisce il calcio nel mondo? Anche se Sepp Blatter, l’abile dittatore «democraticamente eletto» della Fifa, continuerà a comportarsi come ha sempre fatto (è riuscito perfino a farsi rieleggere!), la fine della sua leadership è tanto evidente quanto inevitabile. E non sta succedendo solo nella musica o nel calcio. Nelle ultime settimane i risultati elettorali nel Regno Unito, in Spagna e in Polonia hanno riconfigurato l’ordine politico di quei Paesi. Nel Regno Unito il Partito nazionalista scozzese e in Spagna Podemos e Ciudadanos sono entrati prepotentemente sulla scena, togliendo potere ai partiti tradizionali. In Polonia, Andrzej Duda, un candidato fino a poco tempo fa relativamente sconosciuto, ha sconfitto il presidente Bronislaw Komorowski. In tutti questi casi, esperti e sondaggisti sono stati colti in contropiede dai risultati.
Qualcosa di simile sta succedendo nel mondo del denaro e degli affari. Ora la rivista Fortune pubblica la sua famosa lista delle 500 aziende più grandi degli Stati Uniti. Il 57 per cento delle società presenti quest’anno nel 1995 non c’era. La rotazione è ancora più accentuata se si guarda alle classifiche delle aziende più importanti a livello mondiale. Aumenta sempre di più il numero di imprese dei Paesi emergenti (in particolare la Cina) e di settori che fino a pochi anni fa non esistevano nemmeno. Mentre Alibaba, la società di commercio elettronico cinese fondata nel 1999, ha raggiunto un valore di 224 miliardi di dollari, molte delle aziende europee o nordamericane che prima dominavano i rispettivi mercati sono sparite dalla classifica; un esempio è la Kodak.
Lo stesso sta succedendo con la classifica delle persone più ricche. Solo il 10 per cento degli americani presenti nell’elenco di Forbes nel 1982 era ancora lì nel 2012. È interessante osservare che alla stragrande maggioranza dei ricchi del 1982 sarebbe bastato ottenere un rendimento del 4 per cento sul loro capitale per essere ancora in classifica trent’anni dopo. Però non ci sono riusciti. Chi li ha sostituiti? Gli asiatici. Il rapporto sui miliardari pubblicato recentemente da Ubs/Pwc ha riscontrato che fra gli individui con un patrimonio superiore al miliardo di dollari sono sempre più numerosi quelli che risiedono e lavorano in Asia. Dei 1.300 superricchi che figurano nel rapporto, due su tre non hanno ereditato la loro fortuna, ma l’hanno creata. Vent’anni fa le proporzioni erano invertite: il 57 per cento dei ricchi nel mondo lo era grazie al fatto di aver ereditato un cospicuo capitale. E fino al 1980, indica il rapporto, la schiacciante maggioranza dei miliardari si concentrava negli Stati Uniti e in Europa. Ora non più: nel 2015 il 36 per cento dei superricchi che non hanno ereditato la loro ricchezza viene dall’Asia, e appena il 17 per cento dall’Europa; il 47 per cento risiede negli Stati Uniti.
La grande sorpresa non è che stia succedendo tutto questo. La cosa che lascia stupiti è la frequenza con cui i leader tradizionali, nel campo della politica, dell’economia o dello sport e delle arti, sembrano convinti di poter seguitare a comportarsi come hanno sempre fatto. Blatter, il capo della Fifa, è un buon esempio in tal senso. Dopo la sua rielezione, uno schiaffo alle persone oneste di tutto il mondo, ha detto: «Non servono rivoluzioni, servono evoluzioni. E io aggiusterò la Fifa». Invece no. Non sarà lui ad aggiustare la Fifa. La aggiusteranno gli inquirenti e i giudici americani che spediranno in carcere i corrotti dell’organizzazione. Ed è questa la rivoluzione da cui Blatter cerca di salvarsi.
Twitter: @ moisesnaim (Traduzione di Fabio Galimberti)
Moisés Naím, la Repubblica 2/6/2015