Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 31/5/2015, 31 maggio 2015
LA SOLIDITÀ PATRIMONIALE DELLE BANCHE? ORA SI MISURA CON L’INDICE DEL TEXAS
C’è un numerino che in questi giorni i banchieri d’affari e i capi azienda delle banche italiane stanno guardando con attenzione. Un numero – nascosto tra la mole immensa di dati, statistiche e analisi dei bilanci degli istituti – che indica nella maniera più sintetica possibile se una banca può restare in piedi nonostante il peso dei propri crediti problematici. Questo numero, una percentuale, si chiama Texas Ratio.
Alzi la mano chi ne ha mai sentito parlare. Si tratta di un indice inventato dal banker della canadese Rbc Capital Markets, Gerard Cassidy, per analizzare la crisi delle banche del Texas, da cui prese il nome, durante la recessione degli anni Ottanta quando fallirono oltre 400 istituti. La formula in verità non è molto sofisticata: è il rapporto fra i crediti lordi deteriorati e la somma di patrimonio tangibile e accantonamenti. Se la percentuale che ne viene fuori è inferiore al 100%, la banca è solida. Se è superiore, ci sono problemi e serve capitale aggiuntivo.
«È un indice tornato di moda, tutte le banche lo hanno citato», sottolinea un rapporto di Deutsche Bank appena uscito dedicato al sistema bancario italiano. Analizzando i dati, in testa, cioè con il rapporto migliore sotto il 100%, c’è il Credito Emiliano, al 53%. Dalla parte opposta ci sono il Banco Popolare, con 156% come Texas Ratio, e il Montepaschi, al 146%. Tra le big, Intesa Sanpaolo e Unicredit sono di poco superiori al 90%. La maggiore delle Popolari, Ubi Banca, è appena sopra, con 110%.
Di per sé il dato è significativo come misura della quantità di patrimonio che una banca ha in pancia, ma ha il difetto di non considerare la qualità dei crediti: «Il Ratio è interessante perché mi dice immediatamente qual è il livello di copertura dei problematici» spiega Andrea Resti, professore di economia degli intermediari finanziari all’Università Bocconi «però non mi dice nulla di quelle coperture, delle garanzie reali. Una banca può anche avere poche svalutazioni ma perché magari ha ampie coperture su quel credito».
Insomma il conto è grossolano, eppure lo si usa. Le banche italiane, specialmente quelle popolari — rivela un banchiere addentro ai dossier — stanno guardando anche ai Texas Ratio per studiare le possibili mosse del risiko che partirà nei prossimi mesi insieme con la trasformazione in spa delle 10 popolari maggiori. Il rischio che le banche vogliono evitare è di portarsi in casa, con una fusione, problemi altrui che potrebbero tirarle a fondo o, quantomeno, essere di ostacolo all’erogazione di nuovi finanziamenti a un’economia che sembra avere imboccato la via di una timida ripresa. E usano il Texas Ratio, anche perché un numero solo è più facile forse da spiegare ai maggiorenti locali che diventeranno i soci di maggior peso della popolare, una volta trasformata in spa.
La questione dei crediti deteriorati — «l’eredità della recessione che pesa ancora sui bilanci delle banche», l’ha definita il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco — è la più attuale nel panorama italiano: il loro livello è arrivato a 350 miliardi di euro, il 18% del totale, di cui quasi 200 di sofferenze. Per questo motivo governo e Bankitalia premono sull’Europa perché dia il via libera alla bad bank, ha ricordato Visco. Altrettanto importante sarà l’intervento governativo, ha ricordato Visco, che acceleri il recupero giudiziale dei crediti deteriorati (facendone di conseguenza aumentare il valore di mercato) e consenta la deduzione fiscale delle perdite in un solo anno, come avviene negli altri Paesi europei, anziché negli attuali cinque. Gli effetti positivi di questi interventi dovrebbero vedersi subito. Anche senza Texas Ratio.