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 2015  maggio 30 Sabato calendario

UNA LETTERA O L’EMAIL COME SCRIVERE. BENE

«Mio Signor Padre. Sebbene dopo aver saputo quello ch’io avrò fatto, questo foglio le possa parere indegno di esser letto, a ogni modo spero nella sua benignità che non vorrà ricusare di sentire le prime e ultime voci di un figlio che l’ha sempre amata e l’ama, e si duole infinitamente di doverle dispiacere…». Questo è soltanto l’inizio della torrenziale lettera con cui Giacomo Leopardi chiede scusa al padre, il severo conte Monaldo, del suo tentativo di fuga da Recanati verso il Lombardo-Veneto. Lasciamo stare che parliamo di quasi due secoli fa e che il ragazzo aveva già superato (21 anni) l’adolescenza. Che cosa e come scriverebbe un Giacomo contemporaneo (Giaca per gli amici) al babbo risentito che lui volesse svignarsela per vedere gli One Direction a Milano? Probabilmente se la caverebbe con un sintetico sms di questo tipo: «Pa 6 in para, nn rsp +? Tranqui, esc cn ami!», cioè «Papà, sei in paranoia, non rispondi più? Tranquillo (sottinteso, non scappo ndr ) esco con amici!».
Non solo Ottocento. Anche il padre di Giaca, fosse stato beccato ai suoi tempi sul punto di fuggire per un concerto dei Duran Duran, avrebbe senz’altro scritto una lettera a mano al suo genitore, magari meno contrita e senza dargli del lei. Per dire che la caduta verticale o meglio il drastico cambiamento della comunicazione non vocale, è assai recente.
Nessuno, forse pochi anziani e qualche giovane snob, si ostinano oggi a scrivere manualmente nella romantica convinzione che una lettera di carta avorio scritta con stilo e inchiostro ocra possa risultare più elegante (non più comoda) d’una mail o un sms. Per non parlare dell’antica magia d’un bigliettino d’amore passato sui banchi di scuola dentro un’antologia: messo in soffitta dall’sms. Eventualmente si può verniciare il pensiero («Alice sei il mio amore», visto a Milano) sul marciapiede della casa dove abita l’amata. D’altra parte non è un caso che nelle scuole di 45 stati americani la scrittura manuale sia materia facoltativa, che dall’anno prossimo gli alunni finlandesi rinuncino alla penna, che il corsivo risulti ormai una bizzarria perché i bambini tendono a scrivere (come da tastiera) in stampatello. Poco importa che la calligrafia resti una traccia importante di noi: e non lo sostengono soltanto periti calligrafici, direttori di banca o notai. «Dalla parola scritta potrei risalire alla mano, al muscolo, al sangue, alla pulsione, alla cultura del corpo…» ci ricorda il raffinato Roland Barthes in «Variazioni sulla scrittura». Ma al di là della fine di carta e penna, peraltro già prospettata dai disfattisti all’arrivo della macchina da scrivere, è il modo e lo stile di comunicare che spesso lascia perplessi. Anche nelle nuove modalità. Tralasciamo la categoria emergente di chi non risponde a sms/mail perché: 1) il tempo è denaro; 2) non capisce che aspettavamo un si o un no; 3) la maleducazione è una brutta bestia; 4) spergiura d’avere mail impallata o telefonino surriscaldato; 5) lascia nel vago per comodità; 6) attua la rappresaglia perché noi non gli avevamo risposto la settimana prima.
Comunichiamo in grande quantità ma in mediocre qualità, come osserva il «Galateo della corrispondenza» di Michele D’Andrea e Laura Pranzetti Lombardini (Gribaudo/Fetrinelli). Che dispensa indicazioni senza confini: dalla scelta di carta da lettera e inchiostro (per i sopravvissuti) a come affrontare mail e sms, dalla formula d’invito al ringraziamento. Non mancano consigli per evitare errori rivelatori tipo annullare con la penna sul biglietto da visita il titolo accademico: lo pratica in realtà chi adora sottolineare lauree, titoli e sentirsi chiamare dottore. O per chi è incerto sulle formule: mai cominciare lettere/mail indirizzate a persone con spettabile, perché sa di ruffiana solennità. Ma anche, riservando ciao agli intimi, stare alla larga da salve, praticato dai finti disinvolti.
Chiaro che invitare a una festa implichi una forma diversa dal convocare l’assemblea condominiale. Quindi bisogna sapere (anche se non sono tempi da Ginger e Fred) che la parolina cravatta bianca comporta il frac per lui e il lungo ingioiellato per lei. Così come va ricordato che nella messaggistica l’uso del maiuscolo equivale a un urlo, che un augurio-sms personalizzato di poche parole vale più d’uno lungo ma di serie e che l’abuso oltre l’adolescenza di suonerie rockettare, abbreviazioni ed emoticons può trasformarci in patetiche macchiette giovaniliste.