Monica Guerzoni, Corriere della Sera 30/5/2015, 30 maggio 2015
LA SOLITUDINE DI ROSY: VOGLIONO LE DIMISSIONI? HO FATTO IL MIO DOVERE
ROMA «Perché mi accusano? Cosa vogliono da me? E che c’entro io con la battaglia tra Renzi e la minoranza? Nulla, Rosy Bindi non è nessuno e non c’entra nulla... È una vergogna e una tristezza immiserire un lavoro fatto così bene per ricondurre tutto alla lotta interna». È una Bindi «stanca morta» e però «tranquilla» quella che a metà pomeriggio, provata per il fuoco amico che piomba giù dal Nazareno e da Palazzo Chigi, si dice «a posto con la coscienza» e ribalta le accuse: «Non sono io che uso la Commissione per fare la guerra al governo, sono loro che tentano di fare politica usando l’Antimafia. Lo sa cosa mi fa soffrire? Scoprire che il mio partito ha smarrito il senso delle istituzioni».
Gli echi della battaglia finale arrivano al quarto piano di Palazzo San Macuto dove la presidente, reduce dalla prima conferenza stampa in streaming della sua vita — in cui ha letto un pensiero di Giovanni Falcone, lei che si fa un vanto di evitare le citazioni in pubblico — allarga più volte le braccia per sottolineare l’ineluttabilità della verifica: «De Luca? E come avrei potuto lasciarlo fuori dalla lista, se è in corso una indagine a suo carico per concussione continuata? Sembra che abbia svelato chissà quale segreto, quando la sua posizione era arcinota e Renzi ha sfidato il mondo dicendo che è un bravo sindaco e sarà un ottimo presidente». A difenderla, nel Pd, sono solo esponenti della defunta «ditta» come Bersani, Cuperlo, Fassina, D’Attorre. Ma guai a chiederle se è vero che ha giocato una partita tutta politica per indebolire il premier, guai a domandarle come si senta nei panni di pasionaria anti-Renzi... «È il contrario. Che c’entrano i miei rapporti con il segretario del mio partito? Niente, ho fatto solo il mio lavoro. Semmai loro sono gli anti-Bindi, loro che usano le istituzioni per fini politici». E lei? Davvero non ha strumentalizzato questa vicenda? «L’ultimo pensiero che avevo era il Pd ed è falso che abbia fatto tutto di testa mia. La mia storia parla da sola. Mai e poi mai ho usato funzioni pubbliche per obiettivi personali. Trovatemi un indizio, un sentore, un dubbio, un sospetto...».
Per non farsi influenzare dai commenti, negli ultimi giorni ha evitato con cura di leggere i giornali. Ma ieri ha cercato sulla rete parole di conforto e ha trovato «una caterva di messaggi» incoraggianti, da Pietro Grasso a Gateano Silvestri, da Nando Dalla Chiesa a Tano Grasso. Col passar delle ore, la soddisfazione per la missione compiuta ha lasciato il posto alla tristezza, poi alla rabbia. L’accusa più bruciante arriva dal premier, l’aver usato l’Antimafia per «regolare i conti». I renziani parlano di vendetta politica, le addebitano processi di piazza orditi «per suo tornaconto». E studiano la rottamazione definitiva della ex presidente del Pd, che nel 2013 sfidò gli anatemi contro la vecchia guardia e si candidò alla Camera. «Vogliono le mie dimissioni? Le chiedano. Di me non mi importa nulla, facciano quello che vogliono, ma le ragioni di questo lavoro sono nella legge dello Stato che istituisce l‘Antimafia. Se non avessi fatto la verifica, allora sì che avrebbero potuto chiedermi un passo indietro». Sapeva che sarebbe stata dura, ma non si aspettava una reazione così virulenta. Eppure se potesse tornare sui suoi passi imboccherebbe lo stesso vicolo stretto, convinta com’è che setacciare le liste elettorali a caccia di candidati impresentabili fosse non solo «la cosa giusta», ma un vero e proprio dovere istituzionale.
Quando fa buio, l’amarezza prevale sulle altre emozioni. La Bindi non lascerà il partito, ma comincia a temere che il Pd di Renzi stia scrivendo un’altra storia: «La mia è quella della legalità e io spero tanto che sia anche la loro. Come mi sento? Me stessa, come sempre».