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 2015  maggio 30 Sabato calendario

ASSOCIAZIONE A DELINQUERE, CONCUSSIONE ECCO LE ACCUSE CHE FREGANO LO SCERIFFO

Perché Vincenzo De Luca è diventato più «impresentabile» di quanto già non lo fosse fino a un minuto prima di apprenderlo mentre era a pranzo a Napoli col ministro Poletti? Perché c’è ancora un’indagine in corso che, pur non rientrando nell’ambito di competenza di una Commissione antimafia, è stata da questa riportata sul proscenio. Si parte da qui. Sono bastati i pochi attimi necessari all’elencazione dei nomi in lista da parte di Rosy Bindi, per tirare fuori dal cilindro il motivo in più dell’impresentabilità del candidato Pd in Campania. Un’indagine nata dalla procura della città-trampolino di De Luca, Salerno, ma con circa 17 anni di anzianità già accumulata. Partì nel 1998 l’inchiesta per associazione a delinquere, truffa e abuso d’ufficio per la mancata trasformazione di un suolo dell’ex «Ideal Standard» in un grande parco acquatico marino. Indagine conosciuta come «Sea Park», dal nome della società che avrebbe dovuto realizzare la struttura turistico-ricreativa su una superficie dove prima c’era un impianto industriale storico, che dava lavoro a 200 operai. Lavoratori la cui richiesta di cassa integrazione è costata a De Luca quelle accuse, oltre ad un’altra per concussione aggravata nei confronti degli imprenditori emiliani (vicini alle coop rosse) per far loro versare gli oneri di urbanizzazione del progetto. Oneri che, secondo il pm inizialmente titolare del fascicolo, Gabriella Nuzzi, non erano dovuti, e le contestate insistenze del sindaco erano lì a configurare il reato.
Insomma, uno di quei processi di cui lo sceriffo si è sempre vantato, legandoli all’attività svolta «negli interessi del comune e non personali».
Un dato certo, almeno finora, è che nelle contestazioni della magistratura in questa come in altre indagini di cui si abbia conoscenza (non ce ne sono di pesanti, tutte orbitano nella sfera della gestione amministrativa e non impattano camorra o roba di questo genere) non ci sarebbe traccia di un interesse diretto, danaro su conti correnti o altre «utilità» in base al neologismo “giudiziariese”. De Luca, nell’indagine riesumata dalla Bindi, è indagato insieme ad altre 46 persone, tra cui il suo ex braccio destro, nonché successore temporaneo alla guida del comune, Mario De Biase. In un altro filone analogo e sempre gestito dalla stessa pm, fu pure chiesto per tre volte il suo arresto ma per tre volte il gip lo respinse: non mancarono neppure allora guizzi e veleni su questi reiterati rigetti del giudice. Per parte delle accuse in questo processo, con il tempo, è già maturata la prescrizione da un bel pezzo (tranne che per l’associazione a delinquere, il rinvio a giudizio è del 2008) e il pm Vincenzo Montemurro, che ha ereditato l’indagine da Gabriella Nuzzi -il sostituto procuratore che voleva ammanettare De Luca, nota alle cronache per gli impicci con De Magistris e la «Contro Why Not», lo scontro con la procura di Catanzaro e l’intervento di Napolitano, infine trasferita con quattro colleghi dal Csmfatti due conti ha dovuto chiederne l’applicazione. De Luca ed altri indagati vi hanno rinunciato chiedendo di essere giudicati nel merito anche per l’abuso d’ufficio e la truffa. Il processo, intanto, va avanti con inesorabilità ormai burocratica e la prossima udienza è prevista per il 25 giugno prossimo.
Questo è il contesto giudiziario che ha aggravato, a partire da ieri mattina la posizione di De Luca: anche se non prima dell’incontestabile fenomeno di un’infezione giustizialista che sta divorando i suoi massimi sacerdoti, la sinistra in generale, dopo un ventennio di spensierata fiducia nel lavoro altrui.