Giuseppe Pipitone e Sandra Rizza, il Fatto Quotidiano 31/5/2015, 31 maggio 2015
AFFARI E SOSPETTI: IL CERCHIO MAGICO DEI BENI SEQUESTRATI
Pino Maniaci non si arrende e ora aspetta la convocazione di Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia, che si dice “interessato e disponibile” ad approfondire il business a sei zeri sbocciato sui patrimoni sottratti ai boss. Dopo il reportage trasmesso nei giorni scorsi dalla trasmissione tv Le Iene sulla gestione delle aziende sequestrate a Cosa Nostra, il direttore della piccola emittente Telejato torna a denunciare quella che definisce “la mafia dell’antimafia” e lancia un appello per essere ascoltato urgentemente a palazzo San Macuto. “Occorre fermare l’arricchimento di quegli amministratori giudiziari – dice – che con l’autorizzazione del Tribunale di Palermo riescono a svuotare patrimoni miliardari destinati a tornare alla collettività: sono loro i veri intoccabili dell’antimafia”. Più o meno, la stessa accusa lanciata un anno fa dall’ex direttore dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, il prefetto Giuseppe Caruso: “I beni confiscati – aveva detto – dovrebbero essere riutilizzati a fini sociali e invece, in troppi casi, sono stati considerati beni privati da alcuni amministratori giudiziari che li hanno gestiti come fortune sulle quali garantirsi un vitalizio”. Ma le parole di Caruso furono liquidate da Rosy Bindi, presidente della commissione di palazzo San Macuto, come accuse generiche contro “magistrati che rischiano la vita”. E proprio ora che riesplode la polemica sull’Olimpo dei pochi e selezionati amministratori giudiziari in orbita attorno a Silvana Saguto, presidente della sezione Misure di prevenzione, una nota dei servizi di sicurezza fa filtrare un allarme che indica il magistrato come bersaglio di un vecchio piano di morte di Cosa Nostra, riattualizzato da alcune intercettazioni ambientali. Secondo l’informativa, i boss di Palermo, infastiditi dai continui sequestri patrimoniali, avrebbero chiesto ai mafiosi di Gela di eliminare la donna che l’ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli definì in un’intervista “la più importante, dal punto di vista economico, della città”, perché dal Palazzo di giustizia “gestisce capitali enormi”. Quanto enormi?
Come succhiare alle mammelle delle imprese
In Italia sono circa 12 mila i beni sequestrati, per un valore complessivo di circa 30 miliardi di euro, e più del 40%, pari a 5.515, si trovano in Sicilia, particolarmente in provincia di Palermo (1.870). Ma chi li amministra? E come? I nomi li snocciola Salvo Vitale, ex compagno di battaglie di Peppino Impastato, in un articolo finito sul notiziario web di Telejato, svelando quello che definisce il “cerchio magico” della Saguto: “Sono una decina di avvocati fidatissimi, che si chiamano Gaetano Cappellano Seminara, Andrea Dara, Aulo Gigante, Luigi Turchio, Salvatore Benanti, Salvatore Sanfilippo, Andrea Aiello, Walter Virga, e intorno a loro gravitano una serie di ‘collaboratori’ che girano da uno studio all’altro, perché agiscono tutti in accordo: questi sono figli di avvocati, di magistrati, di militari, di alti dirigenti e cancellieri che hanno trovato modo di come succhiare alle mammelle dei beni confiscati, visto che i loro emolumenti escono dagli incassi o dalle vendite dei beni loro affidati”. Quanto guadagnano gli amministratori giudiziari? La legge 575 del 1965, stabilisce tre criteri per quantificare le tariffe: il valore del patrimonio, la solerzia dei curatori (bona gestio) e il tariffario professionale. A quanto risulta, non è mai stata applicata. Solo pochi giorni fa è arrivato il via libera del Consiglio dei ministri allo schema di decreto sui compensi per gli amministratori giudiziari: si parla di “liquidazioni differenziate”, commisurate al valore degli stessi beni. Quel che è certo è che il compenso deve essere prelevato dalla stessa azienda sotto sequestro. “Si veda il caso dei negozi di Niceta – fa notare Vitale – che, al momento del sequestro, avevano un fatturato di 20 milioni, che con la crisi avevano dimezzato la cifra, ma riuscivano a mantenerla, anche in gestione giudiziaria: è stato calcolato un budget spese di 500.000 euro l’anno, di cui, almeno 200 nelle tasche dell’amministratore capo Gigante: lui stesso ha detto che in fondo non è una grande cifra, è pari al 5%, cioè a un vero e proprio pizzo”.
La strada del crac e i costi della legalità
Risultato? I dati di Bankitalia, sindacati e organizzazioni imprenditoriali concordano: il 90 per cento dei beni sotto sequestro fallisce prima di arrivare a confisca. E se la Saguto smentisce (“Quello è un dato nazionale, a Palermo solo il 3 o 4 per cento delle aziende finisce per chiudere”), Maniaci parla di “80 mila lavoratori di imprese sotto sequestro in mezzo a una strada”, e tira fuori l’esempio dei supermercati Despar di Castelvetrano, sottratti all’imprenditore Giuseppe Grigoli, considerato un prestanome del boss Matteo Messina Denaro: “Erano un impero economico, fatturavano 700 milioni di euro: in sei anni di amministrazione giudiziaria sono arrivati alla chiusura”. Ma perché? La Saguto ha una spiegazione: “La ragione di alcuni fallimenti non sta certo nell’inadeguatezza dell’amministratore, ma nel fatto che la mafia si impone sul mercato in una maniera sempre preponderante, mentre le nostre aziende devono sostenere i costi della legalità”. È il solito ritornello ripetuto all’infinito dagli amministratori giudiziari per giustificare i crac delle società: le aziende mafiose, sostenute da capitali sporchi, non reggono alle regole del mercato nel momento in cui lo Stato interviene a ripulire il bilancio.
“Come degli Dei, sempre gli stessi, parcelle da favola”
Ma c’è chi sostiene che la ragione non può essere solo questa: e che è lo stesso accumulo di incarichi attribuiti a poche persone, chiamate a gestire contemporaneamente 20, 30 fino a 90 imprese, a rendere impossibile l’amministrazione corretta di tanti affari. Si torna, così, alla denuncia di Maniaci: quella che parla dell’esistenza degli “uomini d’oro”, i fidatissimi del Tribunale, che definisce veri e propri “dèi dell’antimafia”. “Da una parte c’è un albo – dice il direttore di Telejato – con 4000 professionisti che chiedono di diventare amministratori giudiziari, dall’altra c’è la sezione Misure di prevenzione della Saguto che utilizza solo una decina di avvocati, sempre gli stessi: da anni gestiscono decine di aziende, con centinaia di imprese-satellite, e intascano parcelle da favola. Se trovano il tempo di visitarle una volta all’anno è già tanto. Ecco il perché di tante fabbriche costrette a chiudere i battenti”. Col rischio, come spiega, da Torino, il magistrato Caselli, di un catastrofico spostamento del consenso a favore di Cosa Nostra: “Una delle bestemmie che la mafia diffonde è quella che sostiene che i boss danno lavoro, per cui se alla mafia vengono portate via ricchezze e poi si fanno fallire, il mafioso ha buon gioco nel dire: vedete? Prima funzionava e ora no. Il discorso, a livello propagandistico, paga. E porta consenso alla mafia. Ecco perché è necessario che le cose funzionino”.
Gaetano Cappellano Seminara, l’asso “pigliatutto”
Ma polemiche e denunce finora non sono servite a nulla: i Supereroi delle misure di prevenzione sono sempre al loro posto. Il “re” dei sequestri giudiziari era e resta Gaetano Cappellano Seminara, avvocato, 56 anni, titolare di uno studio con 35 professionisti nel centro di Palermo. Di lui, a proposito del sequestro dell’Immobiliare Strasburgo, società del gruppo Piazza, il prefetto Caruso disse: “Solo per questo incarico, Cappellano ha preso una tranche di 7 milioni di euro, mentre per quanto concerne il cda percepiva 150 mila euro l’anno”. L’avvocato dichiara di avere attualmente 8 incarichi di amministrazione giudiziaria, e di non aver mai gestito più di 30-40 aziende, anche se la Camera di Commercio gli attribuisce 93 “cariche attuali”, e indica il suo nome come presente in 85 imprese. Non solo. Maniaci da mesi denuncia un evidente conflitto d’interessi che vedrebbe coinvolto Cappellano, dal momento che il Tribunale di Palermo ha affidato l’amministrazione giudiziaria degli alberghi sequestrati agli imprenditori Ponte proprio a lui che risulta, anche se indirettamente, proprietario (tramite la locietà L. G. Consulting srl gestita dalla madre e dalla figlia) dell’Hotel Palazzo Brunaccini, un quattro stelle nel centro storico. E non è ancora tutto. Nel suo studio, qualche tempo fa, l’asso “pigliatutto” delle imprese sequestrate ha chiamato a collaborare il marito della Saguto, l’ingegnere Lorenzo Caramma. “Lo conosco – conferma senza imbarazzo Cappellano – ha collaborato con il mio studio come consulente”. E l’ultima denuncia di Telejato riguarda il figlio della Saguto, Elio Caramma, chef di grido che si appoggia proprio all’hotel Brunaccini (vedi sito crazyeliochef.wix.com) della famiglia Cappellano Seminara.
Le “evidenti anomalie” e il dossier a Caltanissetta
Raccogliendo l’elenco di quelle che definisce “evidenti anomalie”, il direttore di Telejato un anno fa ha presentato una corposa documentazione al pm di Caltanissetta Maria Carolina De Pasquale, denunciando presunte condotte illecite nella gestione di alcuni beni sequestrati. E la Saguto? Cosa dice dei suoi fidatissimi avvocati? La Zarina delle Misure di prevenzione ha sempre negato ogni favoritismo, sostenendo che in quattro anni e mezzo ha avviato 451 nuovi procedimenti patrimoniali e ha nominato poco più di cento nuovi amministratori giudiziari, senza specificare, però, né il numero né la consistenza degli incarichi attribuiti a ciascuno. Poi, intervistata da Telejato, ha distribuito pubblici elogi: “La figura dell’amministratore è una garanzia della procedura, l’importante è che diventi un manager e noi a Palermo ne abbiamo fulgidi esempi”. Anche se i veri vip dei sequestri sono sempre gli stessi.
Giuseppe Pipitone e Sandra Rizza, il Fatto Quotidiano 31/5/2015