Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 31/5/2015, 31 maggio 2015
IL CALVARIO DELLA RAGAZZA CHE SOGNAVA IL FISCO
Martina ha 27 anni. Studia economia all’università Parthenope di Napoli. Una laurea triennale già in curriculum, la specialistica quasi completata. Ha un handicap, Martina, che avrebbe potuto frenare un carrarmato. Un glaucoma cronico scompensato, in una forma molto grave. È ipovedente, quasi cieca. È andata avanti negli studi grazie a una “lente” tecnologica: un videoingranditore ottico elettronico da tavolo. Il 15 maggio ha affrontato il suo primo concorso pubblico.
Il bando metteva in palio 892 posti a tempo indeterminato nell’ufficio dell’Agenzia delle Entrate della Regione Lombardia. Martina ha inviato per tempo la documentazione medica agli uffici competenti, sia di Roma che di Milano: per partire alla pari con gli altri, ha bisogno di usare un videoingranditore da tavolo. La legge, inoltre, stabilisce che ai portatori di handicap siano attribuiti dei tempi aggiuntivi per la prova. Ma le risposte che Martina riceve sono evasive: i funzionari non sembrano sapere come comportarsi. Le ripetono che l’ultima parola spetta al presidente della commissione esaminatrice, il giorno dell’esame.
Si presenta con largo anticipo al padiglione 3 della Fiera di Roma. È la prima ad arrivare, mancano una ventina di minuti alle 8. La prova inizia alle 9 e 45. Di fronte a lei ci sono i lunghi spazi bianchi della gigantesca, alienante aula d’esame, di cui riesce appena a percepire i contorni.
I genitori l’accompagnano fino all’identificazione, poi viene lasciata sola. Lo strumento d’ausilio, nonostante i fax, le lettere e i documenti inviati per tempo, non è nelle disponibilità della pubblica amministrazione. Per scrupolo, Martina ha portato il suo, ma il presidente di commissione è inflessibile: non lo può usare. Alla ragazza viene assegnata una lente d’ingrandimento, che per lei è praticamente inutile, e dei fogli con i caratteri di scrittura più grandi. Poi le viene affiancato un assistente per aiutarla nella lettura. Ma alcune domande hanno figure geometriche e immagini, sono difficili da descrivere a parole. Martina lo fa presente agli esaminatori, c’è una specie di trattativa, umiliante, di fronte agli altri ragazzi che aspettano di affrontare la prova. Uno della commissione rimprovera Martina: “Signorina, non si può mica aspettare che la pubblica amministrazione disponga dello scibile umano…”.
Come ultima “mediazione”, i commissari le consentono di utilizzare un altro strumento: un ingranditore “tascabile” che la ragazza utilizza per leggere gli sms sul cellulare, ma è un palliativo. La prova dura 40 minuti, alla ragazza ne vengono concessi 15 aggiuntivi anche se nei certificati medici era sottolineata la necessità di avere un tempo pari a tre volte quello previsto dal bando. Gli altri candidati sono pronti a consegnare i loro test, ma devono aspettare la fine dell’esame di Martina. Che resta così, con un accompagnatore accanto, una piccola lente in mano e mille persone che aspettano solo che si sbrighi anche lei. Alla fine riuscirà a leggere, o farsi leggere, più o meno la metà delle domande del compito. Bocciata.
Secondo la legge italiana, “i bandi di concorso prevedono speciali modalità di svolgimento delle prove di esame per consentire (alle persone con disabilità) di concorrere in effettive condizioni di parità con gli altri” (art. 16, comma 1 della legge 68/99). Inoltre, “la persona con disabilità sostiene le prove (…) con l’uso degli ausili necessari e nei tempi aggiuntivi eventualmente necessari in relazione allo specifico handicap”.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato che “è stato fatto tutto quello che si poteva fare” per permettere a Martina di svolgere il suo compito alla pari: “Le sono stati forniti un test più grande rispetto al normale, una persona di supporto e una lente d’ingrandimento. Altri sei ipovedenti hanno partecipato alle stesse procedure di selezione in giorni diversi e non si potevano utilizzare procedure diverse per uno di loro”.
Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 31/5/2015