Paola Ciana, Avvenire 31/5/2015, 31 maggio 2015
NOCI, PRUGNE, CILIEGIE E UVA. LA VERA SPINTA DELL’EXPORT VERDE
Cento milioni di persone nel mondo mangiano almeno un frutto al giorno. Cileno. È il dato sorprendente, che più di ogni altro rivela l’importanza dell’export di frutta fresca dal lungo Paese stretto tra il Pacifico e le Ande. Il merito del Cile sta nell’aver saputo dare all’«export verde» una spinta sempre in ascesa, assecondando i russi che vanno pazzi per le prugne, i cinesi che inghiottono ciliegie a tonnellate e gli italiani che prediligono l’uva in ogni stagione. Le cifre ufficiali dell’associazione ’Fruits from Chile’, confermate dal presidente Ronald Bown, parlano da sole: 30 tipi diversi di frutta vengono esportati in cento Paesi per un totale di 4.450 milioni di dollari. E non c’è solo la frutta fresca, ma anche quella disidratata che ha un impatto altrettanto forte: le prugne occupano il primo posto nell’export, le noci il terzo. Il vino, poi, fa del Cile la quarta potenza del mondo (a debita distanza da Francia e Italia che si contendono il primo posto e dopo la Spagna).
Per non parlare del pesce. Già, c’è anche l’«export azzurro». Chi lo direbbe che l’Italia è il più grande importatore di cozze congelate cilene? E che i salmoni d’allevamento che vengono inviati anche in Norvegia? Sono tante le voci e i numeri forniti dal ministro dell’agricoltura Carlos Furche, appena riconfermato al governo presieduto da Michelle Bachelet, che con giustificato orgoglio puntualizza l’ottima salute del mercato per l’industria alimentare dovuta anche alla straordinaria posizione del Cile, praticamente un’«isola» intatta, pulita, con una naturale barriera fitosanitaria creata da un lato dalla Cordigliera e dall’altro dalle acque dell’Oceano. Una condizione geograficamente appartata e periferica che diventa, oggi, una cifra di qualità. Lo dichiara con molta convinzione Rafael Sabat vicedirettore internazionale dell’Associazione Pro Cile che da 41 anni ha il compito di promuovere i prodotti della terra cilena, attraverso 55 uffici sparsi nel mondo, supportare anche i piccoli produttori e fare da connessione tra il mercato domestico e quello internazionale. Anche con iniziative speciali come quella di ’Sabores de Chile ’che si terrà a Milano, dal 4 al 6 giugno, per far conoscere i prodotti di altagamma a un convegno di esperti. La manifestazione si concluderà con una cena offerta dalla ’presidenta’, Michelle Bachelet, a 250 invitati nel bellissimo padiglione del Cile all’Expo. Costruito completamente in legno, una mirata scelta ecologica dell’architetto Cristian Undurraga, ospita anche un ristorante dove gustare dalle rustiche
empanadasal raffinato locos mayo (abalone), al dolce pastel de chocho (con carni, olive e mais). Non sarà semplice invece il menu preparato dallo chef Axel Manriquez per la cena di gala: con una interpretazione moderna di piatti tipici cileni propone cappesante e cozze al pisco, salmone alle alghe del pacifico, agnello con salsa di mirto, stufato di grano con funghi e poi....
milcaoe sopaipillas con pebre (una fresca salsa piccante), per non citare i dolci alle noci e alla frutta. Il tutto innaffiato da eccellenti vini bianchi e rossi prodotti da più di 200 aziende in 14 valli diverse tra loro per clima e suolo. Per finire con il Pisco, la bevanda nazionale. Questo distillato di uve fa parte della storia e della cultura del Paese fin dalla dominazione spagnola. Un orgoglio nazionale, certificato nel 1931 con una legge che riconosce l’origine cilena, dopo decenni di contrasti con il Peru. Il Pisco non è il solo prodotto ’unico’ che può vantare il Cile, c’è anche il vino Carmenere, un vitigno importato dall’Europa più di 150 anni fa, e poi sparito nel Vecchio Continente a causa della filossera. Riscoperto nel 1992 in Cile, fa parte oggi dell’offerta esclusiva di alta gamma di vini nazionali.
Non occorre andare in Cile per assaggiare invece una birra davvero unica al mondo e con un nome quasi impronunciabile: Atrapaniebla. La si può gustare al padiglione dell’Expo milanese e ha una storia singolare perché l’acqua che la compone è ’rubata’’ alla nebbia. L’idea è dei fratelli Carcuro, due imprenditori trentenni che risiedono a La Serena, grande città sulla costa a nord di Santiago. Già proprietari di una fabbrica di birra pensano di inserire nel mercato un prodotto innovativo e diventano così degli acchiappanebbia, cioè utilizzano un dispositivo speciale, una grande rete issata sul Cerro Grande nella regione desertica di La Peñablanca popolata anche dai condor, che cattura la nebbia e la tramuta in acqua. Pulitissima. Il business è immediato: un caso emblematico che premia l’inventiva e la capacità imprenditoriale dei giovani, in un Paese che si apre sempre di più all’export di prodotti di alta qualità e che è considerato leader in America Latina.