La Stampa 30/5/2015, 30 maggio 2015
FERRERO “QUELLA VOLTA CON FIDEL... NON GLI LASCIAVO LA MANO”
[Intervista] –
L’ho incontrato qualche anno fa, proprio quello vero, che adesso è sempre in tuta da ginnastica dell’Adidas ma che prima si vestiva elegante quasi quanto me (quasi, perché io sono meglio). A Barack Obama ha mandato il fratello Raúl a prenderlo e a occuparsene, quando all’Avana sono arrivato io mi ha accolto proprio lui. In persona.
Facevo parte di una delegazione del Vaticano, si andava a inaugurare un convento che Castro aveva regalato a madre Tekla Famiglietti, la badessa generale dell’ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida. Mi sono emozionato, ho sentito il sangue andare al massimo, come la mia vita; dire di aver provato una sensazione forte è poco, era quasi eccitazione. E mica mi sono presentato solo. Altrimenti chi ci avrebbe creduto, senza testimoni. Mi immaginavo già la scena, quando l’avrei raccontato agli amici miei: «Ahò, so’ stato con Fidel Castro».
«Ma chi è? Quello che gioca nella Roma?».
«Ma che cazzo state a di’? Fidel Castro, il cubano».
«A’ Massimi’, de cubani nella Roma nun ce ne stanno. Quelli giocano alla pallavolo».
Proprio per evitare che finisse così, mi sono portato dietro quattro operatori e sette fotografi. Volevo le immagini e gli scatti di quel momento, che poi la gente avrebbe chiesto: «E chi è quello con la barbetta vicino a Massimino nostro?».
Quando l’ho incontrato c’erano guardie del corpo dappertutto, una ogni metro, manco nei paraggi ci fosse uno che i governi di mezzo mondo avrebbero voluto far fuori... Omoni neri, giganti, larghi un metro e alti due, degli armadi a due ante e tre gambe, boni per piazza Colonna. In quanto colonne. Una difesa schierata che pareva proprio quella della Samp&Doria. Bloccavano tutti, io sgusciavo in mezzo ma il mio codazzo di cameraman e fotografi veniva fermato ogni due secondi, un cammino a tappe, come la Via Crucis. Siccome ero arrivato per primo da Fidel Castro, e lui mi aveva stretto la mano perché è ’na persona a modo, anch’io l’ho salutato, ma non gliela mollavo più.
«Ma ’ndo cazzo sono finiti quelli che devono immortalare il momento?». Questo pensavo, in silenzio, e intanto facevo finta di sorridere.
Castro mica sapeva cosa fare, forse perché di rivoluzioni a quel punto ne aveva già abbastanza. Dopo qualche secondo di imbarazzo, sempre tenendogli stretta la mano, ho preso la parola: «Piacere. Massimo, Massimo, Massimo...». E le nostre mani andavano in su e in giù.
E lui: «Mollami la mano. Mollala. Tu nada, tu nada. Tu Massimo, io Líder Màximo. Tu nada».
Mentre lo diceva, guardavo se arrivavano i miei fotografi e i cameraman, ma niente. Quei deficienti si erano persi, hanno perso l’attimo, ma il mio angelo custode si è manifestato attraverso il fotografo personale di Fidel, e allora la foto l’ha scattata lui. Click. E Fidel, da quella volta, può raccontare a tutti della resistenza contro Batista, della baia dei Porci, di Che Guevara e di Massimo Ferrero. Il Líder Máximo con il Massimo leader. Che coppia de storditi.
Brano tratto dal libro Una vita al massimo di Massimo Ferrero, La Stampa 30/5/2015