Roberto Giardina, ItaliaOggi 30/5/2015, 30 maggio 2015
LA GIUSTIZIA TEDESCA NON STA BENE
Berlino
C’è un giudice a Berlino. Un’affermazione rincuorante, un proverbio che infonde fiducia nella giustizia. Federico II amava vivere a Potsdam nel castello di Sanssouci, una sorta di Versailles in miniatura, tra i suoi libri e i suoi granatieri, altezza minima un metro e 80, che preferiva alla compagnia della moglie e delle dame di corte.
A poche decine di metri, il mulino a vento di un contadino turbava il suo gusto estetico. Cercò di farlo sloggiare con le buone e le cattive, finché l’agricoltore pronunciò la fatidica frase: il giudice gli avrebbe dato ragione. Il mulino a vento è sempre al suo posto, come possono constatare i turisti. La giustizia, almeno in Germania, non si farebbe intimidire dal potere dando ragione a chi ce l’ha, anche contro il sovrano.
L’aneddoto purtroppo non è vero. E non è sicuro che il giudice di Berlino avrebbe emesso una sentenza giusta. A quanto scrive la Süddeutsche Zeitung, una sentenza su quattro in Germania è sbagliata. Lo sostiene Ralf Eschelbach, giudice al Bundesgerichtshof, la Corte federale di giustizia. Non esistono statistiche rigorose e ufficiali, ma la percentuale calcolata empiricamente è, caso mai, sbagliata per difetto. Gli appelli contro le sentenze di primo grado spesso si concludono con successo.
Nel marzo del 2009 venne ripescato dal Danubio il cadavere del contadino Rudolf Rupp. Il corpo non presentava tracce di violenza, la morte era dovuta a annegamento. Un incidente o un suicidio. Ma, poco prima, i parenti di Rupp erano stati condannati per omicidio: l’accusa era di aver ucciso il contadino, averlo fatto a pezzi e dato da mangiare ai maiali. Per questo non si trovava il corpo della vittima. Alcuni imputati avevano persino confessato. Un clamoroso errore giudiziario. Un caso fra tanti, che ricorda il delitto di via Poma. Nell’ultimo processo il pubblico ministero, una magistrata, nella sua arringa aveva ricostruito minuto per minuto come il fidanzato avesse ucciso la giovane Simonetta Cesaroni. E i motivi. Come se fosse stata presente. Le sue supposizioni non erano prove. L’imputato venne assolto, ma il procedimento in Italia è durato 24 anni. Almeno, indirettamente, si rileva che la giustizia tedesca, al contrario, è fallace ma rapida, se la condanna è arrivata quando era ancora possibile eseguire un’autopsia dell’annegato.
Il quotidiano di Monaco elenca altri casi clamorosi, ma sarebbero migliaia gli errori in procedimenti per reati minori e in cui sono implicati imputati non famosi. Harry Wörz, in Baviera, ha trascorso 4 anni e mezzo in una clinica psichiatrica. Aveva accusato la moglie di evasione fiscale, e lei lo aveva denunciato per violenze. Il giudice aveva creduto alla donna, il povero Harry era un mitomane, instabile di mente. Gli psichiatri che stilarono la perizia non lo visitarono mai. Jorg Kachelmann, era un divo della tv, un meteorologo simpatico e che parlava in modo chiaro, come il nostro Bernacca. Aveva un debole per le donne, con un’amica quasi in ogni città. Finché l’ultima amante gelosa, una giornalista, lo denunciò per stupro. Incarcerato, linciato dalla stampa, perse il lavoro, dovette vendere la villa per pagare gli avvocati. Fu poi prosciolto per assoluta mancanza di prove, ma solo dopo un paio d’anni. La donna, sembra, per la sua denuncia si era ispirata alla trama di un film.
Come è scontato, in Germania, i giudici ti credono o meno, a seconda di chi sei. Non hai ragione perché sei un sovrano, come il vecchio Fritz, ma hai torto se a testimoniare contro di te è una donna. E si mette male, se sei un personaggio famoso accusato da uno meno ricco e meno noto. I giudici, a quanto pare, non vogliono smentire il vecchio proverbio. Il 72% degli errori sarebbero dovuti a false testimonianze, e il 64% delle confessioni non sono veritiere. Ci si proclama colpevoli cedendo alla pressione degli accusatori e ottenere una pena più lieve. E, spesso, conclude la Süddeutsche Zeitung, si mettono insieme gli indizi, scegliendo solo quelli adatti a provare la colpevolezza dell’imputato.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 30/5/2015