Alberto Penati, la Repubblica 31/5/2015, 31 maggio 2015
SE LA BAD BANK AIUTA GLI AZIONISTI
Il governo vuole promuovere una bad bank nella quale far confluire le sofferenze delle banche. Secondo indiscrezioni, Banca d’Italia e Cassa DDPP fornirebbero il capitale iniziale; e lo Stato garantirebbe le obbligazioni emesse dalla bad bank per comprare le sofferenze. La Commissione Europea lo considera un indebito aiuto di Stato. L’Italia rigetta la critica, ricordando che quasi tutti i paesi Ue hanno aiutato le proprie banche. Ma il paragone è improprio.
La crisi del 2008 aveva generato perdite tali da far emergere il rischio di una catena di fallimenti bancari che avrebbe fatto crollare il sistema dei pagamenti, travolgendo l’economia mondiale. Data la severità e globalità della crisi, i capitali privati erano insufficienti per assorbire le perdite, ricapitalizzare le banche e ristabilire la fiducia. L’intervento pubblico era quindi indispensabile perché il mercato aveva cessato di funzionare. La situazione attuale è ben diversa: molti paesi hanno completato la ristrutturazione delle loro banche; il sistema finanziario internazionale è solido; e gli Stati stanno ritirando gli aiuti concessi. La nostra bad bank arriva quindi con almeno tre anni di ritardo. Abbiamo perso tempo, compiacendoci della solidità delle nostre banche, che, nel loro complesso, hanno cominciato ad aumentare gli accantonamenti a copertura dei crediti deteriorati solo a partire dal giugno 2013.
Oggi però la situazione delle banche italiane è migliorata perché le ricapitalizzazioni sono state avviate. E il mondo abbonda di capitali a caccia di rendimenti, pronti a investire in Italia, che permetterebbero una soluzione di mercato per le sofferenze. Unicredit e Intesa hanno già ceduto alcune sofferenze a investitori istituzionali stranieri; mentre MPS è capace di raccogliere 8 miliardi di capitali in poco tempo.
Il problema non è la mancanza di capitali privati per assorbire le sofferenze, ma il prezzo al quale il mercato è disposto a comprarle: quasi sempre inferiore al valore iscritto a bilancio, a conferma di accantonamenti tardivi e timidi. Quindi, la bad bank a sostegno pubblico è anche un modo per evitare che gli azionisti delle banche sopportino il vero costo dei crediti deteriorati. Non aiuto di Stato, ma favore agli azionisti.
A differenza del passato, la cessione delle sofferenze a prezzi di mercato non metterebbe le principali banche a rischio di insolvenza. A fine marzo, le maggiori otto avevano accantonamenti complessivi pari al 60% delle sofferenze lorde (146 miliardi): per non incorrere in perdite dovrebbero cederle ad almeno 40 centesimi. Se ipotizziamo, estremizzando, che facciano altri accantonamenti per ridurre a 20 centesimi il valore di carico, per poi cederle sul mercato, il Core Tier 1 complessivo scenderebbe da 11,5% di fine marzo a 8,5%: al di sopra delle soglie di sicurezza. La bad bank non è giustificata da rischi sistemici o crisi di fiducia; consente però agli azionisti di evitare le perdite di una soluzione di mercato; oltre a incassare i dividendi che, altrimenti, dovrebbero essere destinati a ricapitalizzare le banche. Così, in Borsa, prevale l’euforia sui titoli bancari.
Ma in Italia, anche i regali non sono uguali per tutti. Se MPS, incalzato dalla BCE, ha svalutato le sofferenze accantonandone quasi il 66%, e le grandi banche con azionisti internazionali (Intesa e Unicredit) oltre il 62%, le quattro maggiori popolari si fermano in media al 48%; ma ce ne sono, anche di medie dimensioni, che non arrivano al 40%. Le banche sono diverse, ma operano nello stesso contesto economico: difficile immaginare che sia la rischiosità media dei prestiti a giustificare tale differenza. Se lo Stato vuole comunque aiutare le banche con le sofferenze, può farlo in un modo più efficiente, eliminando l’ammortamento su 5 anni delle perdite su crediti ai fini fiscali: una sovrattassa imposta alle banche. La deducibilità delle perdite in un solo anno costituirebbe un forte incentivo a fare pulizia dei crediti, per abbatterne il valore e poi cederli sul mercato. Lo Stato assorbirebbe una parte delle perdite con minori imposte. Ci sarebbe un impatto sui conti pubblici; ma sarebbe trasparente. Con la bad bank il costo sarebbe uguale: ma nascosto tra le pieghe di garanzie e altre poste “fuori bilancio”.