Tino Oldani, ItaliaOggi 29/5/2015, 29 maggio 2015
GLI F-35 NON VOLANO E SONO RADDOPPIATI DI PREZZO. MOLTI SONO CONTRARI AD ACQUISTARLI, EPPURE PER L’ITALIA SONO GIÀ UN AFFARE
Ieri il Corriere della sera ha dato per certo che entro il 2020 l’Italia acquisterà quattro aerei da combattimento F-35 in più rispetto alle previsioni precedenti: 38 jet invece di 34. Dati ricavati dal «Documento programmatico pluriennale per la Difesa 2015-2017», dove per il 2015 si ipotizza anche una spesa di 580 milioni di euro per gli F-35, rispetto ai 340 milioni del 2014. Dunque, un maggiore impegno, che sembra fare a pugni con i proclami governativi degli ultimi anni, improntati a una riduzione degli acquisti, e di conseguenze delle spese. È dunque probabile un ritorno di fiamma delle polemiche sugli F-35, al cui acquisto sono da sempre contrari il M5s di Beppe Grillo e l’estrema sinistra.
È bene dirlo con franchezza: nelle polemiche sugli F-35 viste finora, sono più le cose non dette di quelle che è opportuno conoscere, e spesso i pregiudizi oscurano i dati di fatto. Me ne sono convinto cercando di mettere in fila nel modo più oggettivo possibile i punti salienti di questa vicenda, che per certi aspetti è paradossale: gli F-35 sono aerei che ancora non volano, ma sono già raddoppiati di prezzo; per ammissione del Pentagono e del Congresso Usa costano molto, forse troppo, e hanno un sacco di difetti tecnici, che è urgente correggere; prima di vederli in azione, ci vorranno ancora alcuni anni, eppure per l’Italia sono già un affare sul piano economico.
La costruzione degli F-35 risale agli anni Novanta, quando gli Usa vararono il progetto Joint Strike Fighter per dotarsi dei bombardieri di quinta generazione: 400 miliardi di dollari per consegnare alle forze armate Usa 2.457 jet entro il 2038. Il progetto militare americano più costoso di sempre. All’iniziativa Usa si sono associati altri Paesi della Nato, fra cui l’Italia, che insieme all’Olanda è un partner di secondo livello e partecipa alle spese per il 5%. La Gran Bretagna è partner di primo livello, e partecipa con il 10%. Gli altri Paesi coinvolti sono Canada, Danimarca, Norvegia, Austria, Turchia, Singapore e Israele.
La partecipazione italiana è stata decisa dal governo di Silvio Berlusconi (Ignazio La Russa alla Difesa), con due accordi firmati nel 2001 e 2002. Nell’aprile 2009 il Parlamento approvò un piano per l’acquistare 131 jet F-35 (109 per l’Aeronautica militare, e 22 per la Marina). A causa della crisi economica, l’impegno è stato ridimensionato dal governo di Mario Monti nel febbraio 2012, scendendo a 90 jet. Ulteriori riduzioni sono state chieste più volte in Parlamento, ma tuttora siamo fermi a quota 90, previsione d’acquisto proiettata verso il 2047. Il Documento della Difesa citato da Corsera si limita a indicare in 38 jet quelli che l’Italia potrebbe acquistare entro il 2020, quattro in più rispetto ai 34 preventivati per la stessa data da un generale nel corso di un’audizione parlamentare del 2012.
Un’eventuale polemica su questi quattro jet in più, ammesso che qualcuno voglia farla, avrebbe poco senso. Un aereo F-35 in grado di volare per essere operativo sul campo, ancora non c’è. Nel 2014 la Lockeed Martin ne ha consegnati 36 alla Difesa Usa, ma nessuno di essi ha superato i controlli. Il 27 aprile scorso il Pentagono ha riscontrato ben 61 «non conformità» tecniche con le specifiche richiesta dalla Difesa. Altrettanto critico un rapporto del Gao (Government accountability office) del Congresso: «L’affidabilità del motore è scarsa e deve fare ancora parecchia strada per soddisfare gli obiettivi del programma». Visto che il progetto F-35 comporta una spesa annua di 12,4 miliardi per 20 anni, il Congresso valuta «improbabile» che la Difesa Usa possa ottenere tanti soldi.
A causa dei problemi tecnici e di sicurezza, il progetto F-35 ha subito continui ritardi, con un raddoppio del prezzo, passato da 70 a 140 milioni di dollari per jet, salvo ulteriori ritocchi. Anche per questo l’Italia ha ridotto il proprio programma di acquisti. Nell’ultimo Documento programmatico della Difesa, le previsioni di spesa sono le seguenti: 900 milioni di dollari per il sostegno alla produzione entro il 2047; 500 milioni di dollari per la predisposizione in ambito nazionale; 10 miliardi di dollari entro il 2027 per l’avvio dell’acquisizione e supporto logistico. Con un’avvertenza esplicita: «Decidere ora in modo ultimativo sui volumi complessivi di un programma che si estende per i prossimi 15-20 anni, non è saggio, né utile al Paese».
Di certo, una cosa utile per l’Italia c’è, ed è rappresentata dal fatto che a Cameri (Novara) la società Alenia Aermacchi, d’intesa con la Difesa, costruisce le ali del jet F-35. Non solo. Da questo impianto, il 12 marzo scorso, è uscito il primo F-35 assemblato in Italia, che dovrà superare non poche verifiche prima del volo inaugurale, previsto per fine 2015. Quanto ai piloti italiani, potranno iniziare l’addestramento l’anno prossimo in Arizona. L’impianto di Cameri, dove è previsto l’assemblaggio di sette F-35, è l’unico al di fuori degli Usa, e in futuro diventerà il centro di manutenzione per gli F-35 di stanza in Europa. L’impatto economico è positivo: dai 1.200 posti di lavoro attuali si dovrebbe salire fino a 6.400 a regime. Questi i fatti, separati dai pregiudizi.
Tino Oldani, ItaliaOggi 29/5/2015