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 2015  maggio 29 Venerdì calendario

ARTICOLI SU BLATTER E LA FIFA DAI GIORNALI DI VENERDI’ 29 MAGGIO 2015


FABIO LICARI, LA GAZZETTA DELLO SPORT -
«Sono disgustato, ne ho abbastanza. Il troppo è troppo». Non è mai stato così duro, così diretto, così «contro» Michel Platini nei confronti dell’ex mentore Sepp Blatter. Soprattutto alla vigilia di un voto drammatico. E considerando il fatto che, pur chiedendone le dimissioni, continua a chiamarlo «amico», dice di «avere affetto» per lui, gli riconosce d’aver realizzato «belle cose per la Fifa e per il calcio». Blatter è ormai un impresentabile, detto nel gergo della politica italiana, e non si può consegnargli il calcio per il quinto mandato consecutivo. Ma, se non succedono cataclismi, oggi sarà rieletto, allungando così a 21 anni il suo ciclo presidenziale. Fino al 2019. E chissà che cosa sarà del calcio allora, e se l’Fbi entrerà sempre più spesso nelle pagine sportive. Perché, anche sotto attacco, Blatter resiste e non è solo.
UEFA NON UNITA Il problema è che, quando Platini dice finalmente qualcosa di sinistra, invitando a votare lo sfidante Ali e invocando l’unitarietà dell’Uefa, viene fuori, come si sapeva, che l’Uefa non è unita per niente. Alla faccia della proposta di rinviare il voto durata poche ore. Quando mai. Platini non riesce ad avere neanche un «sì» sul principe giordano dalle 53 federazioni votanti. Per essere brutali: Blatter riceverà preferenze anche dall’Uefa, magari una quindicina. Vedremo allo spoglio. E se questo pomeriggio si riprenderà la Fifa, come pare dai sondaggi della vigilia, non sarà facile impostare un’opposizione credibile.
FACCIA A FACCIA Si deve riconoscere a Platini di aver tentato di tutto. Ieri mattina, al rientro dalla finale di Euroleague a Varsavia, il presidente Uefa corre di nascosto da Blatter e gli chiede un confronto a quattr’occhi. I due si guardano, Blatter «è molto turbato», e Michel taglia corto: «Devi lasciare, Sepp. È arrivato il momento di andartene». Probabilmente Blatter una mossa del genere non se l’aspettava, ma risponde come un attore consumato: «È troppo tardi, Michel, se me l’avessi detto un paio di settimane fa...». Come, no? Mica vero, e Platini lo sa bene anche mentre afferma: «Gli credo». Aggiungendo poi: «Non è facile dire a un amico che deve andarsene».
«VOTATE ALI» Fatto l’ultimo tentativo, Platini incontra le 54 federazioni Uefa (53 voti, Gibilterra non ha diritto) e spiega la sua strategia. Quindi annuncia: «Domani (oggi, ndr ) la grande maggioranza dell’Europa voterà Ali. Spero tutte e 53 le federazioni, ma minimo 45-46. Almeno se devo credere a tutto quello che mi hanno detto. E non ne sono così sicuro». Proprio così. C’è un’Europa che sta con Blatter: il primo sponsor è la Russia, con alcuni Paesi che le gravitano attorno. Ma alla spicciolata si parla di una Spagna legata allo svizzero, di una Francia – non bello per Platini – che non ha intenzione di scegliere Ali, della stessa Italia che non pare proprio così vicina al giordano. Continua Platini: «Penso che Ali possa vincere, che Blatter possa essere sconfitto. Fino a ieri no, ma dopo gli ultimi scandali sì. Ho le lacrime agli occhi, sono triste, il calcio non merita che la sua immagine sia rovinata così. E faccio appello a tutte le federazioni mondiali: è l’unico modo per cambiare la Fifa. Altrimenti le riforme le farà l’Fbi».
IL CONTO DEI VOTI Delle 209 federazioni dovrebbero votare non più di 203. Al primo ballottaggio serve una maggioranza qualificata: i due terzi dei presenti, quindi circa 135 voti. Dal secondo scrutinio si passa alla maggioranza dei voti validi e tutto diventa più semplice. Con Ali, oltre a Platini, s’è schierata l’Australia e ci sarà qualche asiatico. Altri voti sparsi. Ma il continente del principe, l’Asia, voterà Blatter, come tutta l’Africa e anche la grande maggioranza di Nord e Sudamerica. Impedirgli il trionfo al primo turno sarebbe un successo, benché tutto può succedere in queste ore. Oltre all’arma degli scandali, infatti, Platini agita l’altro pericolo: i posti al Mondiale. Con l’Europa campione delle ultime tre edizioni, e vero centro del calcio, l’idea vendicativa di Blatter sarebbe ridurre i posti obbligando a gruppi di qualificazione massacranti. «Abbiamo un confine che non può essere superato: 13 squadre, più la Russia ospitante. Non possiamo accettare di meno». Sarà una bella lotta.
SEPP RESISTE E Blatter? Continua a essere politicamente resiliente, nel senso che tutto gli rimbalza addosso, attacchi compresi. Alla cerimonia di apertura del Congresso, pur apparendo un po’ nervoso, recita con la solita retorica la parte di chi è travolto da qualcosa di più forte di lui: «Sono tempi difficili senza precedenti, sul calcio in queste ore c’è una lunga ombra causata da azioni individuali che portano vergogna e umiliazione e chiedono risposte. Tutto questo va fermato. Io non posso monitorare tutto. Queste cattive persone corrompono il calcio, come accade nella società. E il calcio non può essere un’eccezione». Manca soltanto che dica che la sua missione non è finita, che gli hanno chiesto di presentarsi ancora, oggi chissà. Ha il coraggio di ammettere che «nei prossimi due mesi arriveranno altre cattive notizie», segno che sa bene che stanno per essere scoperchiati altri pasticciacci brutti, da polizia criminale. Ma in pratica invoca la solita giustificazione: la società è corrotta e lui non può farci nulla. Ed è stato eletto, non ha fatto un golpe: meglio ricordarlo.

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LINO TERLIZZI, IL SOLE 24 ORE -
È battaglia dura attorno alla rielezione di Sepp Blatter alla presidenza della Fifa. Dopo l’esplosione dello scandalo - con l’inchiesta Usa su alti funzionari dell’organizzazione per tangenti e altro e con l’indagine elvetica sull’assegnazione dei Mondiali di calcio alla Russia (2018) e al Qatar (2022) – molti in Europa condividono ormai le critiche giunte dagli Stati Uniti e chiedono un passo indietro a Blatter o almeno un rinvio del voto previsto per oggi a Zurigo. Ma da Russia, Asia e Africa vengono ancora sostegni al 79enne svizzero.
Il presidente russo Vladimir Putin ha definito «a dir poco strani» gli arresti di sette dirigenti della federazione mondiale di calcio attuati l’altro ieri a Zurigo, a suo parere si tratta di «un tentativo degli Usa di estendere la loro giurisdizione ad altri Stati». Per Putin gli Usa si comportano come con i «nemici» Julian Assange (ex collaboratore Cia) e Edward Snowden (Wikileaks) e il loro è «un chiaro tentativo di impedire la rielezione di Sepp Blatter». In Europa si è rafforzata invece la linea contraria alla rielezione. Il premier britannico, David Cameron, ha chiesto le dimissioni di Blatter e si è detto «totalmente al fianco» della Football Association inglese, che ha scelto di appoggiare l’unico rivale dello svizzero, il principe giordano Ali bin al Hussein. Il ministro britannico degli Esteri, Philip Hammond, ha affermato che «serve assolutamente un cambio di leadership». Per la Francia il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, si è unito alla richiesta dell’altro ieri della federazione europea Uefa per un rinvio del voto sul nuovo presidente Fifa.
L’Uefa ieri non ha peraltro riproposto il rinvio. «La stragrande maggioranza dei Paesi europei voterà il principe Ali», ha detto il presidente dell’Uefa Michel Platini, a Zurigo. Platini ha confermato ieri di aver chiesto le dimissioni di Blatter: «Questa mattina tornando da Varsavia sono andato a trovare il presidente della Fifa, c’era una riunione dei presidenti delle federazioni, Blatter ci ha chiesto di rivedere la nostra posizione rispetto al comunicato molto duro fatto ieri, di ripensarci, di sostenere la Fifa. Gli ho chiesto di dimettersi perché non ne posso più, gli ho detto che deve avere il coraggio di farlo, lui mi ha risposto che ormai era troppo tardi». Un sostegno al giordano al Hussein potrebbe arrivare appunto dall’Uefa, Italia compresa, e anche dalla Confederazione sudamericana (Conmebol) e da quella del Nord e Centro America (Concacaf). Con Blatter si sono schierate sia la Confederazione asiatica (Afc) che la Confederazione africana (Caf). Per vincere la partita della presidenza Fifa al primo scrutinio serve una maggioranza di 2/3 dei 209 membri delle federazioni, ma dalla seconda votazione il quorum si abbassa alla maggioranza semplice. Questi i numeri del congresso Fifa: Confederazione africana (Caf) 54 voti; Uefa (Europa) 53; Confederazione asiatica (Afc) 46; Confederazione nord e centroamericana (Concacaf) 35; Confederazione Oceania (Ofc) 11, Confederazione Sud America (Conmebol) 10.
Blatter ieri in serata veniva dato ancora come favorito, nonostante tutto. «So che molte persone mi ritengono il responsabile dei problemi. Ma quelli che vogliono imbrogliare lo fanno in silenzio, di nascosto e non posso vedere tutto. Tocca però a me fare attenzione alla reputazione del calcio», ha detto ieri a Zurigo Blatter, aprendo nel tardo pomeriggio il congresso della Fifa. «I prossimi mesi non saranno facili per la Fifa, sono sicuro che verranno fuori altre brutte notizie - ha aggiunto Blatter - ma è necessario iniziare a ripristinare la fiducia nella nostra organizzazione».
Intanto la Visa si è unita all’allarme di altri sponsor della Fifa, ed ha espresso «profonda delusione e preoccupazione» per quanto è emerso. Senza «passi rapidi e immediati» per risolvere la questione, ha affermato la Visa, «riesamineremmo la nostra sponsorizzazione». Preoccupazione è stata espressa anche dalla Nike. Partner come Adidas e Coca-Cola hanno chiesto alla Fifa di aumentare la trasparenza e di risolvere le controversie.
Lino Terlizzi

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NICOLA LOMBARDOZZI, LA REPUBBLICA -
Altro che pallone, questa è la nuova Guerra Fredda che torna a dividere il mondo in due blocchi. Lo scandalo Fifa, originato da un’indagine americana, fa pensare a Vladimir Putin, e alla stragrande maggioranza dei russi, che sia in atto un tentativo di boicottare o addirittura revocare i tanto attesi Mondiali 2018. Un affare da oltre venti miliardi di dollari che coinvolgerà undici stadi in dieci città, un’occasione per recuperare prestigio internazionale e far respirare l’economia.
Ed è proprio così, come un’azione di sabotaggio, che Putin ha descritto ai suoi giornali quello che sta succedendo nel mondo del pallone: «Qualunque cosa sia accaduta, non ha niente a che fare con gli Stati Uniti che ancora una volta tentano di estendere oltre ogni limite la loro giurisdizione». Putin è convinto che il suo buon amico Sepp Blatter stia pagando le sue posizioni recenti «non sufficientemente ostili a Mosca». Dopo averlo paragonato con qualche volo pindarico ad altri “perseguitati” come Snowden e Assange, ha pure buttato lì un sospetto ancora più pesante: «Da tempo Blatter riceve pressioni per revocare il nostro Mondiale. E ora vogliono far saltare la sua rielezione».
Il coro di risposte alle sparate di Putin conferma la tendenza. Scendono in campo infatti capi di Stato e di governo come il presidente francese Hollande che chiede un rinvio del voto e prende le distanze da Blatter. O come il premier britannico Cameron che è ancora più esplicito: «Blatter se ne deve andare». Sulla stessa linea il presidente Uefa Michel Platini: «Se Blatter venisse rieletto potremmo anche uscire dalla Fifa». Ma perché Putin è tanto legato a Blatter? Anche per i suoi buoni auspici politici durante la gara per l’assegnazione dei Mondiali, premiati con una larga sponsorizzazione della Fifa da parte del colosso di Stato Gazprom. La nomina di un presidente diverso non vorrebbe dire automaticamente la fine del sogno Mondiale ma renderebbe le cose più precarie.
In piena sindrome da fortezza assediata, i vertici del calcio russo, che già penano ogni mese per pagare il faraonico stipendio del ct Fabio Capello, temono ulteriori ripercussioni negative. A cominciare da quella non trascurabile degli sponsor che potrebbero rimettere in discussione i larghi investimenti previsti.
Nell’anonimato assoluto, tutti i dirigenti della federcalcio di Mosca, sussurrano che molti episodi di corruzione potrebbero essere anche attendibili e concreti. Ma il succo del ragionamento è più o meno questo: «La corruzione c’è sempre stata dove c’è tanto denaro. Perché colpire solo ora? E perché proprio da Washington? È una chiara azione politica».
L’effetto è di indignazione generale. Almeno a giudicare dalla valanga di interventi sui social e ai centralini di tv, radio e giornali. Tutti convinti del complotto e, alcuni, memori di un altro grande dispiacere: le Olimpiadi nella Mosca sovietica del 1980, boicottate da molti paesi occidentali e rivelatesi un catastrofico fiasco economico oltre che l’ennesimo schiaffo all’orogoglio russo.

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BENEDETTO SACCA’, IL MESSAGGERO –
Mescolando il grottesco e il rivoluzionario, il calcio mondiale cerca faticosamente di costruirsi un futuro migliore. Per fortuna o purtroppo, il tempo per riflettere è poco, perché l’andare del calendario ha fissato per oggi le elezioni presidenziali della Fifa. Impossibile rinviare. E così, affacciata sul precipizio dell’incertezza, la federazione avrà l’occasione di allineare la prua a rotte meno agitate, anche se non è inutile annotare che sarà un gesto piuttosto complicato sottrarre d’improvviso l’appoggio a una figura smisuratamente potente qual è Joseph Blatter, il capo dell’Onu del calcio. E la tardiva sete di novità da sola potrebbe non bastare a consegnare lo scettro al principe giordano Ali bin al-Hussein. Da alcuni abissi non si torna indietro in un respiro, si sa, e sempre alto è il rischio che la montagna da scalare diventi una parete liscia.
LA CARTA DI MICHEL
Come intuibile, è stato Michel Platini, il presidente della Uefa, a calare la carta della svolta. Già, Platini si è ormai stancato di assistere a una rappresentazione farsesca della realtà, poggiata su dirigenti tanto inclini quanto rassegnati a perdonare ogni peccato del colonnello. Ma il temporale è in arrivo. L’altra sera Michel ha incontrato Blatter e, da ex amico, gli ha chiesto le dimissioni. «“Ora è tardi”, mi ha risposto». Che sia tardi è lampante; che Blatter abbia aspettato che diventasse tardi, lo è ancor di più. Eppure è stato in quell’istante che Platini ha cominciato a tessere la tela: subito, ha riunito le 53 federazioni europee, Italia compresa, nel lusso dell’hotel Grand Kameha di Zurigo per concertare una strategia. Buono l’esito. «La maggioranza delle associazioni europee voterà per bin al-Hussein», ha proclamato. «È il momento di rinnovare», ha spiegato il principe.
IL PALLOTTOLIERE
Nella notte appena trascorsa Platini ha potuto dormire poco: si è dedicato piuttosto ad allestire una solida base di elettori di al-Hussein, intrecciando trattative, esponendo tesi e teorie, telefonando a un mare di dirigenti e incontrandone altrettanti. Federazioni grandi come il Brasile di Marco Polo Del Nero; federazioni minuscole, come Saint Kitts e Nevis di Anthony Johnson o le Bermuda di Larry Mussenden. Il numero uno della Figc, Carlo Tavecchio, ha annunciato che l’Italia si conformerà alle indicazioni di Platini. Il quadro è però molto frastagliato. È conveniente ricordare che alla votazione di oggi parteciperanno 209 paesi: i 53 europei della Uefa, i 54 africani della Caf, i 46 asiatici della Afc, i 35 centro-nord americani della Concacaf, gli 11 della confederazione dell’Oceania e i 10 sudamericani della Conmebol. «Se mi fido di tutti, abbiamo già 45-46 voti», ha sussurrato Platini in serata.
I NUMERI
A ben vedere, però, la Russia sosterrà Blatter per ragioni politiche, e la Spagna è ancora indecisa. Per eleggere il presidente al primo scrutinio occorre una maggioranza di 2/3 delle preferenze, mentre a partire dal secondo il quorum cala al 50%, dunque a 105 voti. Se ad esempio la Uefa, la Concacaf e la Conmebol unissero le forze, raggranellerebbero addirittura poco meno di 100 voti da destinare al candidato giordano. Il trionfo sarebbe ad un soffio. Vane le speranze di coinvolgere l’Asia e l’Africa, che difenderanno l’amico Joseph fino all’estremo. In bilico l’Oceania. Blatter aspetta: beffardo o beffato, oggi si saprà.
Benedetto Saccà

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VIRGINIA PICCOLILLO, CORRIERE DELLA SERA -
«È un tentativo palese di non permettere la rielezione di Sepp Blatter come presidente della Fifa». Nello scandalo delle mazzette sui campionati mondiali di calcio, Vladimir Putin si schiera con Blatter. Parla apertamente di metodi «illeciti» e punta il dito contro gli Stati Uniti. «I dirigenti arrestati non sono cittadini statunitensi», accusa il presidente russo, che ha ottenuto dalla Fifa i Mondiali di calcio del 2018. E denuncia: «Gli Usa perseguono la gente per raggiungere i propri obiettivi egoistici. Come nei casi Assange e Snowden».
Si gioca ai bordi dei campi di calcio la nuova edizione della guerra fredda Usa-Russia. Ad aprire l’offensiva il capo del Cremlino, secondo il quale l’inchiesta statunitense che ha portato all’arresto di alcuni dei massimi dirigenti del calcio mondiale, scuotendo alle radici la Fifa da 17 anni governata da Blatter, è «un altro sfacciato tentativo degli Stati Uniti di estendere la propria giurisdizione ad altri Paesi».
Putin non dice comunque di temere che lo scandalo possa gettare ombra sull’assegnazione dei mondiali alla Russia. Ma alla tv di Mosca ha assicurato: «Siamo al corrente della pressione che è stata esercitata su di lui (Blatter, ndr) per impedire l’organizzazione del Campionato mondiale di calcio nel 2018 in Russia». E ha denunciato che l’inchiesta è chiaramente un tentativo di bloccare la rielezione di Blatter ed una violazione estremamente grave dei principi sulla base dei quali funzionano gli organismi internazionali. Nelle dichiarazioni televisive il presidente russo ha definito «a dir poco strani» gli arresti dei dirigenti della Fifa eseguiti a Zurigo. Sostenendo che si tratta di fatto di un’ingerenza statunitense. Putin ha poi puntato il dito contro il procuratore statunitense che, a quanto riferito dalla stampa, ha già detto che i membri del Comitato esecutivo Fifa hanno commesso un crimine. «Come se il pubblico ministero non fosse a conoscenza che esiste la presunzione di innocenza», ha sottolineato alle agenzie russe. Se una persona è colpevole o no deve essere dimostrato in tribunale, ha sostenuto il presidente. E ha aggiunto: «Solo allora si può dire che gli Usa hanno un qualche diritto di chiedere l’estradizione di queste persone».
Sulla scia di Putin, anche esperti russi condividono gli stessi sospetti: «Non è un caso che gli arresti avvengano a pochi giorni dalle elezioni per il nuovo presidente della Fifa», ha fatto notare parlando alla radio Sputnik il politologo Andrei Manoilo, professore di Scienze politiche all’Università statale di Mosca, secondo il quale lo scandalo corruzione è stato provocato dagli Usa principalmente per cambiare la leadership della Fifa, a causa delle sue simpatie nei confronti della Russia. «Mi sembra che per gli americani il calcio non sia solo business, ma anche un’arma politica. Per loro in queste elezioni è molto importante promuovere il proprio uomo; è importante che il candidato a loro conveniente si imponga sugli altri», ha denunciato il professore, citato da uno dei media più filo-Cremlino.
Sulla stessa linea d’onda, i commenti dell’ex calciatore e candidato a guidare la Federazione calcio russa Evgheny Lochev: «È un’inchiesta politica. C’è qualcuno che non è mai soddisfatto e allora si mette a parlare di corruzione... quando ci sono tanti soldi pensano che ci sia anche corruzione».
Il business dei mondiali di soldi ne prevede molti? Il premier Dmitry Medvedev ha parlato di 20 miliardi di dollari. Ma c’è già chi parla di costi destinati ad arrivare a quelli spesi per le olimpiadi di Sochi. Circa 50. Secondo i media russi è questo il motivo dell’accanimento giudiziario contro la Fifa. Lo stesso Putin alla tv di Mosca ieri ha citato nuovamente i casi di Snowden e Assange: «Perché ricordo ora i loro nomi? Perché i nostri partner americani usano metodi come quelli impiegati nei loro confronti per raggiungere obiettivi interni, perseguendo illegalmente le persone. Non escludo che il caso della Fifa sia esattamente identico, anche se non so come andrà a finire».
Virginia Piccolillo

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PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA –
La guerra fredda adesso si rigioca sui campi da calcio. Come se non bastasse quella vera in corso in Ucraina, Putin ha deciso di scatenare la campagna del calcio contro gli Usa.
L’inchiesta sulla Fifa, secondo il capo del Cremlino, «è un altro tentativo clamoroso degli Stati Uniti di estendere la loro giurisdizione ad altri paesi. Conosciamo la pressione fatta per cancellare i mondiali del 2018 in Russia». Quindi Putin ha tirato in ballo i casi dell’ex agente della Nsa Edward Snowden, e del fondatore di WikiLeaks Julian Assange, ed ha aggiunto: «Perché ricordo tutto questo? Sfortunatamente, i nostri partner americani usano questi metodi per raggiungere i loro obiettivi egoistici e perseguire illegalmente le persone. Non posso escludere che possa trattarsi dello stesso caso con la Fifa». Il capo del Cremlino teme che il prossimo obiettivo dell’inchiesta americana e svizzera sia lui, e non ha tutti i torti. È vero infatti che finora i procuratori Usa si sono limitati ai reati commessi sul loro territorio, da cittadini americani o residenti, usando strutture finanziarie degli Stati Uniti. L’indagine però è ancora aperta, e punta potenzialmente sul presidente della Fifa Blatter, l’assegnazione dei mondiali a Russia e Qatar, e forse anche le Olimpiadi. Nel calderone rischiano di finire poi diverse banche americane, aziende sponsorizzatrici tipo la Nike, e persino la Clinton Foundation, che dopo la bruciante sconfitta subita da Bill nel tentativo di ottenere i mondiali del 2022, ha ricevuto circa cinque milioni di finanziamenti dal Qatar.
L’uomo chiave
Tutto risale a Chuck Blazer, l’ex vice capo della confederazione nordamericana e caraibica Concacaf, che accettando di collaborare con l’Fbi per evitare una pesante condanna per evasione fiscale ha scoperchiato la pentola della corruzione. Nell’estate del 2012, ad esempio, Blazer era andato alle Olimpiadi di Londra su ordine degli investigatori americani. Indossava un microfono nascosto per registrare le conversazioni con i colleghi, e aveva incontrato fra gli altri amici come Alexey Sorokin, capo della campagna russa per ottenere i mondiali del 2018; Anton Baranov, segretario del leader del comitato organizzatore Vitaly Mutko; Vitaly Logvin, presidente dell’organizzazione di beneficienza “Per il futuro della Scherma”; Frank Lowy, direttore della campagna australiana per il 2022; e l’ungherese Peter Hargitay, storico consigliere di Blatter. Quello che ha raccolto lo conoscono solo i procuratori americani, ma non è difficile immaginare in quale direzione vada, anche perché Michael Garcia aveva indagato per conto della stessa Fifa proprio su Russia e Qatar. Il rischio è che magari abbia ottenuto qualcosa per allargare le indagini pure alle Olimpiadi.
Altri 25 indagati
Le carte dell’inchiesta Usa indicano 25 co-cospiratori anonimi, che sono ancora oggetto di indagini. Fra di loro c’è probabilmente la Nike, sospettata di essere coinvolta nell’episodio di corruzione per sponsorizzare la nazionale brasiliana, che è costato l’arresto all’ex capo della federazione José Maria Marin.
Anche Bill Clinton è stato trascinato nel frullatore, perché aveva fatto parte della delegazione che aveva cercato di ottenere i mondiali del 2022. Dopo la sorprendente sconfitta ad opera del Qatar, si era così arrabbiato che secondo alcuni testimoni aveva spaccato uno specchio nella sua stanza. Poco dopo però gli amici arabi avevano cercato di ricucire lo strappo, facendo arrivare finanziamenti per circa 5 milioni di dollari alla sua Foundation. Sullo sfondo, poi, ci sono le grandi banche tipo JP Morgan e Citibank, dove hanno transitato le tangenti: quanto sapevano e quanto hanno collaborato? L’inchiesta, come hanno chiarito i procuratori, «è solo all’inizio», e non è solo Putin a dover tremare.

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FABIO CAVALERA, CORRIERE DELLA SERA -
Londra Il microfono degli agenti Fbi era nel portachiavi. Il portachiavi di Chuck Blazer, un signore settantenne statunitense che di calcio non sapeva proprio niente ma che, da semplice «commerciante», era riuscito a scalare i vertici della Fifa (ora è un ex), divenendone un anello importante nei ranghi americani e caraibici. Cosa che gli avrebbe consentito, dal 1990 al 2011, di intascare 37 milioni di dollari per «commissioni» svolte a nome del governo mondiale del calcio. Era un tipo stravagante. Che girava da una festa all’altra. Che aveva due appartamenti nella Trump Tower a Manhattan, uno per sé e uno per i suoi animali. Casa alle Bahamas e Miami. Che usava la carta di credito della Fifa per regalare i migliori divertimenti ai delegati della stessa Fifa (in 7 anni spesi 29 milioni di dollari). Poteva passarla liscia? Nel 2011 gli agenti federali lo fermarono in sella a uno scooter a New York. Messo davanti all’evidenza di quei conti e di quella vita molto al di sopra delle righe, non gli restò che cominciare a collaborare, spiegando un po’ di segreti della Fifa. E pochi mesi dopo a prestarsi alla più classica delle operazioni di spionaggio. A Londra in un hotel di lusso a MayFair. Chuck Blazer accoglie alcuni invitati: ci sono in discussione i Mondiali in Qatar e in Russia. Tangenti che ballano. Appoggia il portachiavi sul tavolo davanti agli interlocutori. Nel portachiavi c’è il microfono. Tutto registrato. Chuck Blazer si è un po’ ripulito lo coscienza. Ha ammesso le sue colpe, ha restituito qualche soldo. Ed è diventato una dei testimoni chiave dello scandalo.
Fabio Cavalera

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GIANNI SANTUCCI, CORRIERE DELLA SERA -
Scena prima. Riunione riservata, meno di dieci persone. Il dialogo si restringe a due. Michel Platini, presidente Uefa: «Sepp, andiamo nell’altra stanza, vorrei che parlassimo da soli io e te». Joseph Blatter, presidente Fifa: «No Michel, se hai qualcosa di dirmi, fallo davanti agli altri». Pausa. Platini: «Sepp, non si può andare avanti, lo sai che ti sono amico e per questo ti imploro, l’immagine della Fifa è distrutta, rinuncia alla rielezione». Risposta: «Non posso, ormai è troppo tardi, tra 24 ore si vota». È Il giorno dopo gli arresti, i sequestri, la pubblicazione dei documenti sulle tangenti per oltre cento milioni incassate da alcuni tra i più alti dirigenti del calcio mondiale. E l’uomo che è stato per vent’anni alla testa di quel sistema di potere, pur se non è indagato, rifiuta l’estrema richiesta di dimissioni.
È stato lo stesso Platini, ieri pomeriggio, a raccontare il colloquio privato di qualche ora prima. Lo ha fatto durante una conferenza stampa a Zurigo. E ha aggiunto toni drammatici: «Sono disgustato, non ne posso più. Se la Fifa non sarà in grado di riformarsi in fretta, lo farà l’Fbi. E se Blatter dovesse essere rieletto, perderemmo tutti». L’invito: votare per l’altro candidato, il principe giordano Ali bin Al-Hussein.
Clima da armageddon, battaglia finale. Giornate che mescolano una storia di quattro mandati da presidente Fifa e l’aspirazione a un quinto, che Blatter affronta a 79 anni (si voterà oggi); sullo sfondo, i miliardi di euro che l’organizzazione gestisce ogni anno; ancora, i due prossimi Mondiali, assegnati a Russia e Qatar, al centro di due inchieste. Chi attacca viene allo scoperto. Ieri l’hanno fatto alcuni tra i maggior sponsor e partner commerciali della Fifa, dalla Visa («Ci aspettiamo passi decisi e immediati per costruire una nuova reputazione»), alla Coca-Cola, a McDonald’s. Il premier inglese David Cameron sollecita un «cambiamento di leadership»; quello francese Francois Hollande pretende «organizzazioni non discutibili». Silvio Berlusconi, al contrario, si professa «garantista, aspettiamo gli esiti delle indagini».
Sull’altro fronte, sotto traccia, i fedeli di Blatter gli confermano appoggio e non devono esser pochi. Si capisce a fine pomeriggio, scena conclusiva della giornata, serata di gala che apre il 65° congresso della Fifa. Dopo tre appuntamenti pubblici annullati e nessuna risposta agli attacchi, Blatter si alza da una poltrona di velluto rosso del Theater 11, sale sul palco e apre il suo monologo: «Molte persone mi ritengono responsabile di ciò che sta accadendo. Non posso sorvegliare gli atti di ogni persona. E non posso permettere che la corruzione di pochi rovini il lavoro di tutti». Alle sue spalle pendono centinaia di bandiere. Fiducia ostentata: «Comincerà una lunga e difficile strada per meritare nuovamente la fiducia». Apprensione che trapela: «Altre brutte notizie arriveranno».
Gianni Santucci

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ANDREA SORRENTINO, LA REPUBBLICA –
Come lo sposo e la sposa, Joseph Blatter e il principe Ali bin Al Hussein di Giordania scivolano tra i tavoli, non recano confetti ma un sorriso da un miliardo e mezzo di dollari: è il contenuto della cassaforte Fifa, spicciolo più spicciolo meno. In piedi, i due candidati alla presidenza conversano con gli invitati già seduti al loro posto, divisi in sei settori, uno per ogni confederazione che rappresenta il calcio mondiale. Si sentono crepitare i tappi di champagne, mentre i vini rossi sono già stappati sulle tovaglie candide, un po’ nascosti tra i fiori. C’è pure una lontana orchestrina che suona, ad accentuare l’effetto- Titanic. È la cena di gala della Fifa prima della lunga notte che precede il voto. Fuori dall’Hallenstadion c’è gente che protesta e chiede a Blatter di dimettersi («Shame! Vergognati!») oppure ci sono i palestinesi che chiedono l’espulsione di Israele dalla Fifa, oppure c’è il resto del mondo in attesa che accada qualcosa, ossia la caduta dell’Imperatore. Persino l’Onu fa sapere che potrebbe rivedere alcune sue partnership, quindi quella con la Fifa: segno evidente che tutto comincia a sbriciolarsi intorno a Sepp Blatter.
Dentro, invece, si sta in un’altra dimensione. L’ovatta della musica di sottofondo e il conforto di una cena da principi, il tintinnio di bicchieri, i fuochi che covano prima di scatenarsi nella lunga notte elettorale, quando accadrà di tutto e di più nei sei hotel che ospitano le confederazioni, perché il voto, l’elezione, il potere e i suoi rivoli, la sua spartizione, sono le uniche cose che contano. Tra un sorso di millesimato e un cosciotto si contano i voti, si commentano i fatti della giornata. Michel Platini ha dato la spallata, tardiva ma l’ha data, al termine della riunione dell’Uefa, l’Europa del calcio. Stravolto per la tensione e per il viaggio da Varsavia, sbotta: «Non ne posso più, sono disgustato. Il troppo è troppo. Blatter deve dimettersi. L’ho incontrato e gli ho chiesto di farlo, siamo amici da tanti anni: mi ha risposto che era troppo tardi. Ma l’Uefa va avanti e voterà per il principe Ali. Se Blatter sarà eletto lo stesso, ne riparleremo a Berlino, tra dieci giorni. Meditiamo risposte. Se potremmo non partecipare ai prossimi Mondiali? Valutiamo ogni possibilità».
Nella riunione dell’Europa c’è chi ha proposto il boicottaggio del voto, poi la cosa è rientrata. Ma anche la minaccia di non partecipare ai Mondiali sembra eccessiva: possibile mai che le grandi nazioni europee rinuncino a una simile vetrina per andare dietro a Platini? Improbabile. C’è chi è intervenuto e c’è chi, come i russi e gli ex sovietici, hanno taciuto, sornioni. Loro non stanno certo con Platini. C’è anche il presidente italiano Carlo Tavecchio, accompagnato da Giancarlo Abete, Michele Uva e l’avvocato Gallavotti: «Non possiamo non considerare le valutazioni di Platini, quindi ci comporteremo di conseguenza ». Sembrerebbe dunque voto italiano per il principe: poi, dato che tutto accade a scrutinio segreto, si vedrà.
Sepp Blatter arriva di gran carriera all’Hallenstadion, per nulla scosso dalla bufera. Un inglese lo insegue: «Oggi è il suo ultimo giorno, vero? Lei si dimetterà, vero? », e Blatter tira dritto dicendo solo: «How are you? How are you?», poi si dilegua. Ecco l’apertura ufficiale del Congresso Fifa, con tanto di presentatrice, la svizzera Tamara Sedmak, gli spettacolini musicali compresi i cantanti di jodel, infine Blatter parla per la prima volta dopo lo scandalo, impettito, fintamente contrito: «Cari amici… Sarete d’accordo che è un momento senza precedenti per la Fifa. Un lunga ombra grava su di noi, e temo che le cattive notizie non siano finite…». Parla di vergogna e di umiliazione, insomma un po’ si prostra, eppure: «Non potevo controllare tutto. Prometto che dopo l’elezione faremo pulizia nella Fifa». Applausi. Perché dentro la sala gremita, e più tardi alla cena di gala, e a notte fonda nelle segrete suite, la maggioranza dei 209 votanti è per Sepp Blatter, nonostante tutto. Perché qui funziona che un paese è un voto, e non contano le dimensioni o l’importanza: l’isola caraibica di Montserrat, 5000 abitanti, vale quanto il Brasile o gli Usa, e su questo principio Herr Sepp ha costruito il suo impero, elargendo favori e vendette in egual misura da 30 anni in qua. Dei 53 rappresentanti dell’Uefa forse ce ne saranno 45-46 per il principe Ali, come spera Platini (ma è tutto da dimostrare). Bene, l’Africa ha 54 nazioni, con un presidente che è in carica da 27 anni e vota tutta per Blatter, che nel 2010 portò il Mondiale in Sudafrica. Gli Usa votano contro Blatter? Beh, i centramericani no, o almeno quasi tutti, di sicuro non la Repubblica Dominicana, il cui presidente tempo fa ha paragonato Blatter a un via di mezzo tra Gesù, Nelson Mandela e Abramo Lincoln. Persino il presidente della federcalcio francese dà spettacolo: «Il candidato perfetto sarebbe Platini, ma dato che non si è presentato, allora voto Blatter: ha dato alla Francia i Mondiali femminili del 2019, non so se mi spiego». Si spiega benissimo, monsieur Noel Le Graet, la serpe in seno di Roi Michel. Del resto lo stesso principe giordano Ali Hussein, poco conosciuto negli ambienti calcistici («È troppo nuovo dell’ambiente, non ha appeal», dicono), è circondato da nemici, visto che l’Asia ha annunciato di votare compatta per Blatter.
Il presidente uscente, nel voto di oggi pomeriggio, potrebbe vincere al primo scrutinio (servono 2/3 dei votanti) oppure più probabilmente al secondo, quando basta il 51%. Ecco perché nella notte sono scattati gli ultimi tentativi, disperati. Moral o immoral suasion, fate voi. Berline nere solcano la notte di Zurigo, viaggiando da un hotel all’altro. I corridoi si riempiono di persone. Si parla a bassa voce. Si fuma. Si beve. E si fanno i conti, di tutto. Le notti prima del voto si somigliano tutte, in fondo. E oggi sarà un lunghissimo giorno.

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FABIO MONTI, CORRIERE DELLA SERA -
Soltanto un colpo di scena epocale potrebbe impedire a Joseph Blatter di essere eletto stasera alla presidenza della Fifa, per la quinta volta, 17 anni dopo la prima vittoria a Parigi (8 giugno 1998). Fra arresti e scandali non più arginabili, il trono vacilla, ma, nonostante tutto e tutti, il monarca del pallone resta in vantaggio sullo sfidante, il principe giordano Alì Bin Hussein, che aveva presentato la sua candidatura il 6 gennaio, che ha lavorato molto per consolidare il proprio programma, ma che rimane lontano dal rivale. L’unico continente che ha scelto di stare in maniera quasi compatta con Alì è l’Europa (46 voti su un totale di 53), così come l’Africa (54) è tutta con Blatter, che avrà anche i voti della maggioranza dei Paesi dell’Asia (46 voti). La Concacaf (Nord e Centroamerica, 35 voti) è divisa, con gli Stati Uniti a guidare la rivolta anti-Blatter, così come sta all’opposizione l’Oceania (Australia in testa, 11 voti), ma non il Sudamerica (10), dopoché il presidente ha fatto di tutto per portare il Mondiale in Brasile. Dal secondo scrutinio basta la maggioranza più uno (105 voti) per vincere.
Blatter ieri, aprendo il congresso, ha giocato in difesa, cercando di rivendicare una innocenza alla quale nessuno è più disposto a credere, così come non ha convinto gli oppositori il teorema: «Rieleggetemi e sistemo tutto», mentre sono tutti convinti che il presidente ha avuto ragione, sottolineando che «i prossimi mesi non saranno semplici per la Fifa; seguiranno altre cattive notizie». Il problema non è più l’elezione di Blatter, che non ha mai pensato alle dimissioni, ma quanto tempo potrà resistere sotto assedio (il mandato scade nel 2019). Difficile che possa durare un anno; forse potrebbe essere costretto ad abdicare subito dopo l’estate: sei mesi, non di più. La giornata di ieri è stata drammatica quanto quella di mercoledì, perché il fronte dell’opposizione ha raccolto non soltanto uomini di calcio all’interno del sistema, ma leader di governo (Cameron e Hollande) e sponsor, con l’Onu ha preso le distanze, tramite il portavoce Stephane Dujarric: «Dobbiamo dare uno sguardo molto attento alle partnership esistenti con la Fifa e al modo in cui la situazione si evolve». Ma è stato il presidente del Cio, Thomas Bach, a chiedere che «seguendo la via della trasparenza, voi, i guardiani del mondo del calcio, supererete queste sfide e tornerete a far splendere il vostro sport». E Blatter non ha più i requisiti per «far splendere il calcio».
Qualunque sia la conclusione delle indagini su Blatter, gli arresti di mercoledì hanno mandato in frantumi il sistema con il quale il presidente ha operato, anche da segretario di Havelange, che era stato costretto a rinunciare alla presidenza onoraria e al posto nel Cio per evitare di finire sotto inchiesta. L’elemento che renderà inevitabile l’uscita di scena di Blatter è legato al fatto che le accuse di immoralità andavano avanti da almeno cinque anni e che, dopo l’assegnazione del Mondiale 2018 alla Russia e del 2022 al Qatar, britannici, statunitensi e australiani hanno cercato in tutti i modi le prove della corruzione all’interno della Fifa.
Blatter non appare più credibile né all’interno, né all’esterno della Fifa, anche se può sempre contare su uno zoccolo duro di fedelissimi; nel 2011, al congresso che lo aveva rieletto con 186 voti, si avvertivano già i primi segnali di sfaldamento, dopoché il rivale di Blatter, il qatariota Bin Hamman, era stato messo fuori gioco per sospetta corruzione (e poi radiato). Il presidente ha resistito, cercando il colpo a sorpresa (la tv a bordo campo; tanti soldi distribuiti alle federazioni prima del Mondiale; una specie di cessate il fuoco fra le parti). Da stasera dovrà studiare una strategia di uscita. Anche per lui il tempo sta per scadere.
Fabio Monti

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GIULIA ZONCA, LA STAMPA -
Il principe Ali era destinato al ruolo di comparsa dentro un’elezione scontata e ora si ritrova ad avere uno schieramento a favore, un gruppo di lobbying e persino del tifo. In una delle sue prime interviste ha detto: «Dovrebbe arrivare il giorno in cui tutto funziona in modo così naturale e corretto che nessuno avrà bisogno di sapere come si chiama il presidente Fifa». In caso di sua improbabile vittoria quel giorno sarebbe arrivato.
Non che il principe Ali Bin Hussein non abbia titoli per la poltrona, è a capo della federazione giordana dal 1999 ed è attualmente uno dei sette vicepresidenti in carica. All’interno dell’organizzazione è considerato, nonostante i 39 anni. Grazie alla sua pressione la Fifa ha concesso alle donne arabe di giocare con lo hijab, è anche stato tra i primi a chiedere ufficialmente al Qatar di modificare la legge sul lavoro. Figlio di re Hussein di Giordania e fratello dell’attuale sovrano Abdullah II, ha deciso di candidarsi contro Blatter nel gennaio 2015 e in pochi gli hanno dato credito.
Altri concorrenti come Figo o il capo del calcio olandese si sono uniti alla corsa e poi sono spariti, il principe è rimasto lì nell’indifferenza generale. Anche se oggi in tanti lo considerano un candidato ideale e lo indicano come uomo del cambiamento fino alla settimana scorsa non sapeva neppure se era possibile passare il primo turno. Blatter aveva la maggioranza assoluta. Platini gli ha dato il suo appoggio e ieri notte era ancora a caccia di voti per lui ma l’interessamento è tardivo. Probabile che all’inizio lo considerasse un rivale per il futuro. Pure ieri Platini ha chiarito di non avere rimpianti: «Io non mi sarei mai presentato in una corsa contro Blatter, abbiamo lavorato troppo tempo insieme e non sarebbe stato corretto. Nonostante tutte le tensioni tra noi l’ho sempre considerato un amico». Insomma aspettava di avere strada libera e mettersi dalla parte di un uomo giovane e ambizioso destinato a durare non era la mossa migliore. Ora è l’unica mossa possibile per lui se vuole avere un futuro dentro la Fifa. Lo scandalo è diffuso e bisogna prendere le distanze. Così il principe oggi si presenta nel salone del voto con la corona in testa. Non quella che porta da quando è nato, ma quella di pretendente al regno di Blatter.
[g. zon.]

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MASSIMO GAGGI, CORRIERE DELLA SERA -
Sparato il loro colpo di cannone, gli investigatori americani sono tornati al lavoro sullo scandalo Fifa: inutile attendersi grandi novità a breve, a parte quelle relative alle richieste di estradizione dei sette imputati tratti in arresto giovedì. Non ci saranno interventi diretti su Blatter e sull’assegnazione dei Mondiali a Russia e Qatar. Non da parte Usa, almeno: su questo indaga ora la magistratura svizzera.
Ma l’inchiesta statunitense è comunque destinata ad andare avanti e ad allargarsi. Lo hanno detto chiaramente i magistrati Usa e l’Fbi: «Questo è solo l’inizio, non la fine delle nostre indagini: siamo davanti a un’investigazione globale su un fenomeno e un business, quelli del calcio, che sono anch’essi, ormai, globali». L’estensione, comunque, è nelle cose. Diversi degli imputati stanno già collaborando con la Giustizia Usa per evitare le pesanti pene detentive (fino a 20 anni) e sicuramente la platea dei soggetti pronti a fornire elementi utili agli investigatori è destinato a crescere con le nuove incriminazioni e, soprattutto, col coinvolgimento delle grandi imprese del business sportivo.
La scelta degli inquirenti di trattare la corruzione Fifa con la stessa severità con la quale sono stati combattuti mafia e cartelli sudamericani della droga e di fare ricorso alla Rico, la legislazione antiracket a suo tempo usata da Rudi Giuliani per sgominare le famiglie di Cosa Nostra, sottopone gli indagati a una pressione enorme. Intanto nell’inchiesta entrano anche protagonisti economici di prima grandezza come la Nike: nelle carte processuali si parla solo di un gruppo americano delle attrezzature sportive, ma il Wall Street Journal ha accertato che il contratto di una decina d’anni fa per la fornitura di maglie alla nazionale brasiliana sul quale si era concentrata l’attenzione degli inquirenti, era andato proprio al gigante sportivo dell’Oregon. La Nike non ha fornito elementi in proposito, ma ha confermato che sta collaborando con la magistratura Usa nell’ambito dell’indagine Fifa.
Intanto si agitano anche i grandi sponsor del calcio: spendono cifre da capogiro per trarre vantaggi commerciali dallo «sport più bello del mondo» e lo scandalo li fa infuriare. Ma se la Visa minaccia rotture, gli altri «big» — dalla Coca Cola a McDonald’s passando per la holding che controlla la Budweiser — per adesso si limitano a chiedere che venga fatta pulizia immediata in modo da mettersi alle spalle uno scandalo ora amplificato dall’inchiesta americana ma che cova sotto la cenere da troppi anni.
Un’indagine che il ministro della Giustizia Loretta Lynch ha giustificato con i reati commessi negli Stati Uniti, ai danni di interessi americani o utilizzando banche e sistemi informatici Usa. Ma che, secondo il New York Times , è iniziata ben quattro anni fa, partendo da un’inchiesta completamente diversa: quella condotta dalla «task force» dell’Fbi sul crimine organizzato nelle regioni dell’Eurasia. Indagini nelle quali erano emersi reati dei «racket» criminali russi che arrivavano al mondo del pallone. Insomma, prima o poi potrebbero arrivare novità investigative che toccano perfino Mosca. Anche per questo, forse, Putin ha messo le mani avanti definendo l’inchiesta americana «ingiustificata e illegale».
Infine una curiosità: perché, ci si chiede, a indagare è la Corte distrettuale di Brooklyn? Perché, banalmente, è sul suo territorio che gli imputati mettono piede quando arrivano negli Usa: all’aeroporto Kennedy, che rientra nella giurisdizione di questo tribunale.

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FAUSTO BILOSLAVO, IL GIORNALE -
Un dossier del 2013 già svelava il marcio dell’inchiesta che sta sconvolgendo il calcio internazionale. Da alloggi di lusso alle Bahamas e Miami al buco nero di un centro di eccellenza a Trinidad, fino a tangenti e addirittura soldi spariti per il terremoto di Haiti. Il gatto era Chuck Blazer l’ex segretario generale della Federazione calcistica del Nord, Centro America e Caraibi. Nel 2013 ha accettato «segretamente» una prima condanna e restituito 1,9 milioni di dollari. L’Fbi l’ha usato come «pentito» per scoperchiare il pentolone. La volpe è Jack Warner, ex vice della Fifa, uno dei pezzi grossi finito nell’inchiesta. Per oltre un decennio il gatto e la volpe si coprivano a vicenda accumulando fortune milionarie grazie ai maneggi.
Tutto scritto nero su bianco nelle 144 pagine di un comitato ad hoc nominato dalla Federazione americana per un’inchiesta interna del 18 aprile 2013. A pagina 9 si legge che nei confronti di Warner lo stesso Comitato etico della Fifa aveva scoperto prove «complete, convincenti e schiaccianti» della corruzione per la campagna di Mohamed bin Hamman, che nel 2011 puntava alla presidenza della Federazione internazionale. Il «regno» di Warner nel pallone delle Americhe durato 21 anni, è costellato di «frodi e malversazioni» secondo il dossier. Il caso più eclatante riguarda il Centro di eccellenza per il calcio costruito a Porto di Spagna nel Trinidad Tobago, dove la volpe è diventato parlamentare. La Federazione americana ha speso 25 milioni e 950mila dollari per l’enorme Centro su un terreno che in realtà è proprietà di Warner. Non solo: quasi mezzo milione di dollari arrivati dall’Australia sono finiti nelle tasche di Warner, come altri fondi della Federazione. E ancor peggio, nel 2012, la volpe si sarebbe appropriato «di centinaia di migliaia di dollari dei fondi donati dalla Fifa e dall’Associazione coreana del calcio ad Haiti per il terremoto». Warner è anche accusato di aver fatto cedere i diritti televisivi di vari tornei internazionali di calcio ad una sua società per poi rivenderli lucrandoci. L’inchiesta interna conferma pure che «è rimasto coinvolto in uno scandalo sulla rivendita di un grande numero di biglietti per la Coppa del mondo del 2006 a prezzi gonfiati». Il figlio coinvolto nel giro dei biglietti, attraverso un’agenzia viaggi di famiglia, ha pagato un milione di dollari di multa alla Fifa.
Nel dossier di due anni fa si rivela che «l’Fbi stava indagando su centinaia di migliaia di dollari di versamenti segreti dell’Unione calcistica dei Caraibi, controllati da Warner, su conti offshore alle Bahamas e le isole Cayman di Blazer», il gatto della storia di truffe e mazzette.
L’ex segretario generale per il calcio delle Americhe ne ha combinate di tutte i colori. I soldi della Federazione sono serviti a comprare un Hummer per uso personale e pagare 600 dollari al mese di parcheggio. A New York guidava il veicolo da 48mila dollari la sua fidanzata. Blazer è stato accusato di usare illecitamente i fondi del calcio per «pagare l’affitto del suo appartamento nella Torre Trump a New York», uno degli edifici più costosi della città, «l’acquisto di appartamenti al resort Atlantis alle Bahamas» e rette degli alloggi «in alberghi di lusso a Miami». La scoperta più curiosa riguarda l’utilizzo della sua carta di credito: «Dal 2004 al 2011 i versamenti della Federazione sull’American express corrispondono ad un totale di 29,5 milioni di dollari - si legge nel rapporto - Tre milioni sono stati identificati come spese personali di Blazer». Il gatto non solo rubava i soldi, ma usava la sua carta per lucrare sui punti premio.
Secondo il New York Times l’apice della corruzione scoperta dall’FBI riguarda la volpe, Warner, che nel 2004 volò in Marocco, dove gli venne offerta una tangente di un milione di dollari per l’assegnazione della Coppa del mondo. Il Sudafrica, nonostante le smentite ufficiali, aveva però un’offerta migliore: 10 milioni di dollari per il gruppo di voti controllati dalla volpe. Nel 2010 la Coppa del mondo si giocò in Sudafrica.

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MARCO MENSURATI FABIO TONACCI, LA REPUBBLICA -
Il pallone rotola su un campo di mazzette. E si ferma sotto al piede di chi offre di più. Che si tratti di diritti televisivi per le competizioni sudamericane, di biglietti per lo stadio, dell’elezione del presidente della Fifa, dello sponsor sulla maglia del Brasile, sempre lì si arriva. Alla bustarella. Questo raccontano le 280 pagine dell’ indictment act, l’atto di accusa contro la gestione del calcio mondiale degli ultimi vent’anni, firmato dal procuratore generale Loretta Lynch e dal district attorney di New York Kelly Currie. Le autorità svizzere, che stanno conducendo un’inchiesta parallela a quella dell’Fbi sull’assegnazione dei campionati del mondo 2018 e 2022 a Russia e Qatar, interrogheranno presto Sepp Blatter, il presidente Fifa cui è stato ordinato di non lasciare la Svizzera. C’è molto da chiarire e da spiegare. A cominciare dal vero motivo per cui i mondiali del 2010 si sono giocati in Sudafrica.
LA DIASPORA AFRICANA
Nel 2004 la Fifa ha sul tavolo le candidature di Marocco, Sudafrica e Egitto per l’edizione 2010 della Coppa del mondo. Due componenti del comitato esecutivo fanno un viaggio in Marocco: sono Charles Blazer (segretario generale della Concacaf, Confederazione americana e caraibica di calcio) e Jack Warner, vicepresidente della Fifa. «Il comitato organizzatore del Marocco offre loro un milione di dollari per pilotare il voto segreto», scrive l’Fbi. C’è un miglior offerente, però. Il governo sudafricano e il comitato organizzatore sono pronti a pagare 10 milioni di dollari alla confederazione da loro controllata, con questa curiosa giustificazione: «Sostegno alla diaspora africana». Blazer capisce, la diaspora ovviamente non c’entra niente. È la grande torta — di cui a lui spetterà la fetta da un milione — per votare, insieme a Warner e un terzo soggetto del comitato, a favore del Sudafrica. E così accade: il 15 maggio 2004 a Zurigo dalle urne Fifa vengono fuori 14 voti per il Sudafrica, contro i 10 del Marocco (nessuno votò per l’Egitto, terzo candidato). I dieci milioni «per la diaspora» arrivarono nei mesi successivi, prelevati dal fondo che la Fifa aveva predisposto per l’organizzazione di quei mondiali. Tre bonifici finiscono sul conto del famelico Blazer: uno da 298.000 dollari, il secondo da 205.000, il terzo da 250.000. Soldi che gli serviranno poi a pagare l’affitto nella Trump Tower di New York dell’appartamento occupato dai suoi gatti.
AFFARI DI FAMIGLIA (BLATTER)
L’orizzonte dell’inchiesta al momento è ignoto. Quell’»è solo l’inizio » pronunciato dagli investigatori autorizza i pensieri più funesti. Uno dei temi più promettenti — appena sfiorato nelle carte sin qui conosciute — è quello del super bagarinaggio, di cui l’Fbi accusa esplicitamente Blazer. «Ha usato la propria posizione» dentro la Fifa «per fare soldi nei più svariati modi» compreso quello di rivendere «a prezzi maggiorati» i biglietti per i mondiali. La delicatezza del tema diventa lampante se si considera che l’inchiesta ha accolto le risultanze di una indagine parallela condotta dalla procura di Rio de Janeiro, al centro della quale c’è un nome pesantissimo: quello di Philippe Blatter, nipote di Sepp. Blatter Junior è il presidente della multinazionale svizzera dello sport marketing Infront. Infront controlla la Match Services, società che gestisce tra l’altro l’hospitality vip per conto della Fifa. Durante i mondiali brasiliani del 2014, il direttore della Match Services venne arrestato con l’accusa di essere parte di una banda che rivendeva i big lietti della Fifa a prezzi maggiorati e che solo in quell’evento aveva avuto un giro d’affari di 90 milioni di dollari. A imbarazzare ulteriormente i due Blatter alcune telefonate intercettate tra un esponente della banda, Mohamadu Lamine Fofana e un funzionario Fifa. Durante la chiamata — dal Brasile direttamente al numero interno negli uffici di Zurigo — Fofana chiedeva 700 biglietti.
I DIRITTI TV
Ma soldi e tangenti giravano dentro il ventre della Fifa, anche attraverso canali, per così dire, più tradizionali, come quello sempre ricco dei diritti tv, che rischia di essere il vero epicentro di questo scandalo: buona parte dei 25 coconspirator ( gli indagati coperti da “omissis”) operavano o avevano interessi proprio in questo settore.
È significativa la storia dell’acquisizione da parte di Traffic — una delle multinazionali dello “sport marketing” sotto indagine — dei diritti per la trasmissione delle partite di qualificazione ai mondiali sudafricani delle squadre della Federazione caraibica. Traffic Usa, per aggiudicarsi quella gara, versò una tangente da 3 milioni di dollari a Jeffrey Webb, allora neo presidente della Concacaf. Di quella tangente se ne fece carico per metà una società europea (coperta dal massimo riserbo, sotto la dicitura anonima Sports Marketing Company C) con cui la Traffic Usa aveva appena avviato una partnership.
TANGENTI VERDEORO
Gli atti dell’Fbi raccontano poi in maniera analitica la “tangente esemplare” versata nel 1996 in occasione del cambio di sponsor della nazionale brasiliana. «L’azienda americana di abbigliamento sportivo A” — scrive l’Fbi lasciando anonimo il brand — contattò un rappresentante della federazione brasiliana chiedendo se fosse interessata a cambiare sponsor tecnico». A quel punto entra in campo un alto dirigente della federazione (uno dei papaveri Fifa arrestati ieri) che, insieme con un rappresentante della Traffic Brasil, avvia le trattative. Al termine delle quali si raggiunge un accordo su base decennale dal valore di 160 milioni di dollari. Subito dopo su un conto corrente svizzero la Traffic riceve un bonifico dalla “Compagnia A” di 40 milioni di dollari. Secondo quanto risulta agli investigatori, inoltre, il rappresentante della Traffic «successivamente retrocedette parte degli introiti incassati» al papavero federale, «sotto forma di tangente».
IL MALATO IMMAGINARIO
Mazzette ovunque. Anche per eleggere il presidente della Fifa. Nel 2011 Bin Hamman, allora a capo della Federazione asiatica, puntava a togliere la poltrona a Blatter, comprandosi i voti dei caraibici, con la complicità del solito Jack Warner. Organizzarono un congresso della Cfu, la Caribbean Football Union, allo Hyatt Regency Hotel di Trinidad e Tobago. «Durante il pomeriggio del 10 maggio i partecipanti furono invitati a entrare in una stanza, uno dopo l’altro. Dentro, lo staff della Cfu consegnava loro una busta con 40.000 dollari ciascuno». E Jack Warner in quel momento non era uno qualunque, era il vicepresidente della Fifa. Lo stesso ruolo ricoperto oggi da Eugenio Figueredo, uno degli arrestati della retata di due giorni fa a Zurigo. È uruguayano e vive dal 1997 in California. Quando chiese la green card per la cittadinanza, nel 2004, dichiarò all’ufficio immigrazione statunitense di essere esente dall’obbligo di conoscere la lingua inglese perché malato. E produsse un documento medico falso. C’era scritto che era affetto da “ severe dementia”.

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GIULIA ZONCA, LA STAMPA -
Non sono i voti a preoccupare Blatter, quelli li sa ancora gestire ma c’è un fronte che non ha modo di combattere perché si muove su un terreno che il Supremo non conosce e soprattutto non controlla. Fuori dalle sale vellutate dei grandi alberghi e dentro una rete sfuggente. Il nemico si chiama Guerrilla marketing. È il regno dell’antilogo, dove la creatività trasforma il messaggio delle pubblicità in graffiante accusa e per Blatter è praticamente l’anticristo perché decontestualizzare il marchio significa cancellare l’assegno. I Mondiali sono l’evento più visto e più pagato al mondo, ma nessun concentrato di interesse può valere la svalutazione che rischiano oggi gli sponsor legati alla Fifa.
Contropubblicità
Anche i marchi nel loro enorme potere si incavolano, e qui siamo alla minaccia di tagliare i contratti, alla rivolta anche se ancora foderata di parole attente, però tutte a doppio taglio, piene di imperativi travestiti da mansueti condizionali: «Se la Fifa non recupera la reputazione ce ne andiamo». È la minaccia più esplicita, firmata Visa uno dei partner Fifa, tra otto nomi che hanno diritto esclusivo in ogni manifestazione. Il panel è a numero chiuso, di solito chi riesce ad entrarci vuole solo mantenere la posizione ed è disposto a rialzare l’offerta di frequente pur di restare nel gruppo. L’esclusiva di questi tempi non è più così ambita, un conto è reggere l’urto di inchieste scomode e assegnazioni discutibili, un altro è essere associati a un’organizzazione corrotta.
La Guerrilla marketing punta sui diritti umani, mantiene gli slogan però ridisegna lo spot in modo che il coinvolgimento appaia subito diretto. Le contropubblicità c’erano anche prima, solo che l’inchiesta sulla corruzione ha funzionato da detonatore. Negli ultimi due giorni i marchi Fifa sono diventati bersaglio: parodiati, beffeggiati e molto contrariati. Persino la potentissima Coca Cola, che accompagna la Coppa del Mondo dal 1950 e riesce ad abbinare il proprio jingle addirittura a Babbo Natale, ha ammesso di essere «preoccupata» e soprattutto di essersi «lamentata più volte». Siamo oltre il primo avviso.
Blatter ieri non era confuso perché improvvisamente ha scoperto la coscienza, ha perso il sonno perché riceve telefonate furenti da chi di fatto gli permette di stare in una suite da 900 euro a notte. Addirittura prima di trovarsi in un’improbabile minoranza potrebbe scoprire che esiste chi può licenziarlo.
Tre hanno già salutato
Il cartello degli sponsor porta alla Fifa più del 30 per cento degli incassi, pagano e occupano il perimetro mondiale dove non si può bere bibita al di fuori da quella scelta dall’organizzazione e non si può mangiare panino che non sia stato approvato. Birra unica al Fan Fest e carta di credito obbligatoria. È una copertura a tappeto eppure hanno già calcolato il costo della rinuncia. Significa che davvero i marchi temono il crollo del gradimento.
Chiunque sia legato alla Fifa si porta dietro le parole corruzione, sfiducia, frode. Tutto quello da cui la pubblicità scappa e ovviamente la guerriglia approfitta del momento di debolezza per intensificare gli attacchi. C’è chi già prima dell’ultima inchiesta aveva tagliato i rapporti: Castrol, Continental e Johnson & Johnson hanno deciso di cambiare aria. La Adidas pensa seriamente ad altri investimenti: «La reputazione della Fifa sta diventando un rischio per il brand». In casa Fifa non si respira e stavolta pure Blatter ha il fiato corto. Teme che possa arrivargli il conto della suite.

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UGO TRAMBALLI, IL SOLE 24 ORE -
Solo la teoria della cospirazione potrebbe far pensare che usando l’inchiesta sulla Fifa gli americani vogliano far naufragare il Mondiale di calcio di Putin, come l’Ucraina aveva messo in difficoltà le sue Olimpiadi invernali, l’anno scorso. Lo stesso sospetto varrebbe per il Qatar. Quando aveva avuto la nomination 2022, l’intero mondo arabo aveva gioito per la sua prima coppa di calcio, anche lì lo sport più popolare: oggi il Qatar che sostiene i Fratelli musulmani, è il più detestato dei paesi arabi e detestato dagli stessi arabi.
Ma il mondo è pieno di chi costruisce e crede alle teorie cospirative. E se non è un complotto, obiettivamente è uno scherzo del destino che dei giudici americani abbiano avviato un’inchiesta sulla Fifa il cui primo risultato sarà di far saltare in Russia un mondiale di calcio: una manifestazione sulla quale, come tutti gli autocrati vecchi e nuovi, Vladimir Putin conta molto per la sua immagine e quella del suo neoimperialismo.
Forse è per questo - per evitare lo sconfinamento del calcio nello scontro sull’Ucraina, nelle diversità di opinione sul regime siriano, nella concorrenza sul mercato mondiale delle armi e su quello promettente della Cina –che i giudici americani hanno passato agli svizzeri la richiesta d’interrogare il ministro russo dello Sport: uno degli eventuali corruttori. La geopolitica mondiale, compresa la trattativa sul nucleare iraniano nella quale Usa e Russia giocano dalla stessa parte, non avrebbe sopportato dei giudici di New York che mettono sotto torchio un ministro del governo di Vladimir Putin. Anche la geopolitica del pallone ha i suoi tabù.
Ma non è detto che Vladimir Putin rinunci al suo Mundial e accetti lo scherzo del destino di perderlo causa corruzione. In fondo è difficile immaginare che solo russi, qatarini e sudafricani infangando la memoria di Nelson Mandela, abbiano pagato per averlo. Che non avessero distribuito mazzette anche tutti gli altri organizzatori dei mondiali: europei, americani del Nord e del Sud, coreani e giapponesi. Come l’olimpiade, un mondiale di calcio non serve solo agli autocrati: segnala al mondo il successo di una nazione, certifica il suo passaggio dalla povertà alla ricchezza, dalla dittatura alla democrazia, dalla marginalità al peso internazionale.
Probabilmente non avrebbe voluto questa nuova tegola il giovane emiro Tamim al-Thani del Qatar, che aveva ereditato il Mundial dal padre Hamad, dalla madre sheikha Mozah -fotografati felici con la coppa d’oro il giorno dell’assegnazione, all’apice del loro presunto regno riformatore - e dal cugino Hamad presidente della federazione calcio dell’emirato. Forse oggi il giovane al-Thani considera un delitto di hubris aver preteso che un paese da 250mila abitanti vincesse un torneo di quel peso, costringendo il calcio internazionale a rivoluzionare i calendari dei suoi campionati per giocare il mondiale a Natale: mentre il Qatar è ingolfato nella guerra civile siriana e libica, e ha a che fare con il sempre più suscettibile re saudita, un lontano cugino.
L’emiro del Qatar non avrà molti arabi dalla sua parte, in difesa dei mondiali di Doha. A Putin le solidarietà importano poco: gli basta il consenso dei russi. Se l’obiettivo recondito di Sepp Blatter non era trovare facili frontiere per le mazzette della Fifa, la sua politica era giusta: allargava i confini del calcio al nuovo mondo non solo sportivo ma anche economico e politico. Sudafrica, Brasile e Russia sono tre dei cinque Brics. E prima che il mondo arabo implodesse in una catena di guerre civili, non era sbagliato offrire a uno dei suoi paesi la vetrina di un mondiale.
Ora, mentre David Cameron, sentitosi defraudato di un mondiale inglese, chiede le dimissioni di Blatter, Putin fa capire che il presidente della Fifa è un amico della Russia: dunque non c’è ragione di cacciarlo. «Dobbiamo dividere la politica dallo sport»: l’esortazione di ieri del presidente russo ricordava le bugie raccontate al mondo durante la guerra nell’Ucraina orientale. La geopolitica del pallone è già geopolitica e basta. Forse lo è sempre stata.
Ugo Tramballi