varie 28/5/2015, 28 maggio 2015
ARTICOLI SU JOSEPH BLATTER DAI GIORNALI DEL 18 MAGGIO 2015
LUCA BIANCHIN, LA GAZZETTA DELLO SPORT -
Papà Blatter era un profeta. «Non ti guadagnerai mai da vivere con il calcio», disse a Seppino, che negli anni Cinquanta deve essere stato addirittura giovane. Sì, buonasera: Sepp nel 2002 guadagnava più di Bush e Kofi Annan, capi supremi di States e Nazioni Unite, e con gli anni ha provato addirittura a cambiare due o tre regole del nostro giochino. Ha promosso campagne per lo spray da arbitro, le espulsioni a tempo contro i simulatori, la normalizzazione dei gol in trasferta, la demonizzazione del fallo da dietro, la limitazione degli stranieri, il Mondiale ogni due anni. Non gli è riuscito proprio tutto ma insomma, è presidente da 17 anni e questo conta. I nemici hanno detto che Blatter rinuncerebbe a un milione per una carica e il senso è corretto: l’uomo è attratto dal potere più che dagli assegni. Le donne, probabilmente, stanno nel mezzo.
Sepp Blatter da Visp, Svizzera tedesca, da ragazzo faceva l’attaccante. Pare segnasse un sacco di gol ma il dettaglio l’ha aggiunto lui e in questa storia - si è capito - non è sempre chiaro quando l’invenzione dia una spinta alla realtà. Appassionato di romanzi di spionaggio e film noir americani - tante videocassette, quando c’erano - Sepp ha avuto una giovinezza movimentata. Ha raccontato di aver fatto il militare, il cronometrista, il giornalista... e di sicuro è stato sia un responsabile delle pubbliche relazioni alla Longines, gli orologi di Agassi, sia il segretario della federazione svizzera di hockey ghiaccio. Se non si fosse notato, stiamo salendo di livello. Anni Settanta: delegato della squadra svizzera alle Olimpiadi 1972 e 1976, direttore dei progetti di sviluppo alla Fifa dal 1975. Anni Ottanta: segretario generale del calcio mondiale. Anni Novanta: direttore esecutivo, poi presidentissimo dal 1998, quando costrinse Lennart Johansson a ritirarsi prima della votazione finale. In mezzo, la carica più gloriosa: presidente della «World Society of Friends of Suspenders», 120 cavalieri da 16 nazioni riuniti per lottare contro il pensionamento del reggicalze in nome del collant.
Sepp invece si è sempre vestito benissimo: inappuntabile. Con la cravatta sobria, è passato attraverso accuse e presunti scandali, Mondiali assegnati tra le polemiche alla Germania - con un delegato decisivo astenuto nel momento decisivo - alla Russia e al Qatar. Anche ieri non è stato indagato e ha parlato da accusatore, non da accusato: «L’azione è stata messa in moto quando abbiamo presentato un fascicolo alle autorità svizzere. Accogliamo con spirito di collaborazione le indagini e crediamo che questo ci aiuterà a rafforzare le misure che la Fifa ha già avviato per sradicare ogni malaffare nel calcio». E ancora, deciso: «Il Comitato Etico ha già avviato un’azione per vietare provvisoriamente agli indagati qualsiasi attività legata al calcio. Lavoreremo con forza al fine di estirpare qualsiasi cattiva condotta, per riconquistare la fiducia e garantire che il calcio in tutto il mondo sia esente da atti illeciti». Sembra di vederlo, mentre scrive nel suo ufficio: sveglia alle 7, poi giornali in cinque lingue e il caffè ristretto, un must sulla scrivania. Il lavoro è sempre stato tanto, l’autostima altrettanta. «Il calcio rifiuta di confrontarsi con la politica», disse appena eletto. In un anno mise in fila incontri con Arafat e Simon Peres, più recentemente ha visto anche il Papa. Non impressionatevi, non è detto che Sepp sia il meno potente dei quattro: ha una scuola elementare col suo nome e tende a controllare il mondo. Nel 1998 disse: «Uno Stato africano potrebbe organizzare i Mondiali nel 2006». Sbagliò di quattro anni, un po’ troppi per un cronometrista, ma la previsione era corretta.
Le sue frasi, questa e molte altre, hanno fatto discutere e litigare. I nemici gli hanno detto di tutto, il numero uno della federcalcio inglese lo ha messo nella stessa frase con don Vito Corleone ma Sepp è sempre stato coerente. Ha regolarmente fatto finta di non volersi ricandidare, poi ha sempre cambiato idea: rieletto tre volte e a breve dovrebbe arrivare il quinto mandato. Ecco, solo quella volta stupì il mondo, quando twittò un concetto che non gli è mai appartenuto: «A causa delle accuse di corruzione, il presidente si dimette». Era così strano che qualcuno controllò: gli avevano hackerato il profilo.
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FABIO MONTI, CORRIERE DELLA SERA -
Il re Sole del calcio viene da Visp, Svizzera, ha compiuto 79 anni il 10 marzo, è un ex colonnello e un ex funzionario della Longines, amante del lusso e delle belle donne. Joseph Blatter è entrato nella Fifa nel 1974 e da potentissimo segretario di Havelange ne è diventato presidente l’8 giugno 1998, quando sconfigge lo svedese Johansson, n. 1 dell’Uefa, sostenuto dall’Europa e fino alla sera prima dall’Africa, che, dopo una notte di riunioni, cambia idea e vota per Blatter. Chissà perché. A lui i Grandi del pianeta calcio non sono mai interessati. Siccome nella Fifa tutti i Paesi hanno uguale peso elettorale, da sempre corteggia le nazioni emergenti: se gli inglesi gli sono ostili, ci sono sempre le Isole Cayman, dove inaugurare uno stadio, distribuire contributi, raccogliere applausi, in cambio della vicepresidenza per Jeffrey Webb. Instancabile, Blatter viaggia per 320 giorni all’anno ed è facile capire le ragioni di tanto peregrinare.
In principio il motto Fifa era «For the good of the game». Poi è diventato (più o meno): tutto e tutti per i soldi, più soldi per tutti. Blatter ha spesso scherzato con il fuoco, e alla fine è rimasto scottato, a due giorni dal congresso che domani dovrebbe eleggerlo per la quinta volta alla guida della Fifa. Ma la pax sociale, già compromessa, è saltata in maniera definitiva: l’Europa lo aveva abbandonato da gennaio e aveva annunciato che avrebbe votato per il principe giordano Alì Bin Al Hussein; ora chiede il rinvio di congresso ed elezione ed è pronta a ritirare i rappresentanti delle 53 federazioni; Platini ha accusato Blatter di immoralità e di essere un bugiardo: «Nel 2011 aveva detto che non si sarebbe candidato quattro anni dopo, invece lo ha fatto».
Il declino del presidente, che si era salvato nel 2002 dalle accuse dell’allora segretario Zen Ruffinen, è iniziato il 2 dicembre 2010, il giorno in cui l’Esecutivo aveva assegnato due edizioni del Mondiale: Russia 2018 e Qatar 2022. Reduce dal trionfo personale della Coppa del mondo in Sudafrica, il presidente aveva preteso che si decidesse la sede anche di una successiva edizione con 12 anni di anticipo. Le modalità di votazione e il valore dei Paesi battuti avevano messo Blatter nell’angolo. Per il 2018, l’Inghilterra aveva pagato l’inchiesta del Sunday Times sul pianeta Fifa e raccolto solo due voti, nonostante la mobilitazione del principe William; per il 2022, l’Australia aveva rimediato un voto e gli Stati Uniti tre. Obama aveva detto: «Il Mondiale in Qatar? Una pessima decisione». I sospetti erano cresciuti, al punto che Blatter al congresso 2011 era stato costretto a giocare in difesa (nonostante i 186 voti su 203 votanti), dopo essere riuscito a mettere fuori gioco il qatariota Mohamed Bin Hammam, lo sfidante, poi radiato per corruzione. L’ultimo episodio è legato al testo della relazione Garcia sull’assegnazione del Mondiale in Qatar, secretato per tre quarti. Il bilancio della Fifa è il punto di forza di Blatter, che, in coincidenza con il via del Mondiale 2014, aveva distribuito ricchezza a tutti, visto che i ricavi nel 2013 avevano toccato quota 1,38 miliardi di dollari, con un utile netto di 72 milioni. Ieri sera ha cercato di giocare in contropiede: «Questo è un momento difficile per il calcio, i tifosi e la Fifa; l’azione dell’ufficio del procuratore generale è stata messa in moto quando abbiamo presentato un fascicolo alle autorità svizzere alla fine del 2014». Ma Blatter ormai più che un «re Sole» è diventato un re «solo». La quinta elezione riuscirà a salvarlo dall’uscita di scena.
Fabio Monti
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PAOLO BRUSORIO, LA STAMPA -
«Ogni gioco deve avere un vincente o un perdente»: Sepp Blatter non ha mai avuto dubbi e da quando ha messo piede nella Fifa, un secolo lungo 17 anni, ha fatto della sua massima, battezzata una mattina quando alzandosi ha pensato che abolire il pareggio sarebbe stata una fantastica idea, anche l’unica applicabile alla carriera. A senso unico, ovviamente, perché lui vince sempre.
Ora però, la faccenda si fa un filo complicata e dalla suite con vista luxury del Baur au Lac hotel, dove Zurigo non si conta ma si pesa, le acque lì davanti non sembrano più così calme. Intendiamoci, uno che parla sei lingue ne ha sempre una pronta per rispondere ai sospetti non ancora diventati accuse (e potrebbe farlo anche nelle prossime settimane convocato dal Procuratore generale svizzero), ma stavolta della fortezza eretta in 17 anni di regno sono crollati i bastioni, mica i merli delle torri.
Attacco al potere
Il primo che provò l’attacco al potere fu uno dei suoi più stretti collaboratori: era il 2002 e dopo tre anni e 11 mesi di presidenza, Michel Zen Ruffinen scagliò una pietra pesante nelle acque non ancora agitate. L’allora segretario generale della Fifa denunciò la gestione piuttosto allegra del carrozzone: una pugnalata per il suo capo che da allora, infatti, iniziò a chiamarlo Bruto. Fascicolo che c’è, fascicolo che non c’è più.
Un passato da calciatore dilettante, un giro sul ghiaccio in equilibrio sui pattini dell’hockey e quel terribile piccoletto nato a Visp, nel canton Vallese, ha fatto di Zen Ruffinen il primo scheletro da mettere nell’armadio. Dove volesse arrivare è stato subito chiaro, in 23 anni ha scalato posizioni su posizioni, nel 1975 la scrivania Fifa da direttore dei programmi sviluppi, nel 1988 quella di presidente. Un caffè nero bollente tutte le mattine per cominciare la giornata e un’idea fissa in testa, come far sempre più soldi. Come aumentare il jackpot della Fifa, dove è più redditizio far rotolare la palla. Nel 2010 a chi gli chiedeva quale fosse la prossima frontiera da conquistare, lui rispose l’India. Ma era ancora troppo presto e così si è dovuto accontentare del Qatar, una scelta pagata cara, carissima dagli altri e che ora potrebbe presentare il conto anche a lui.
Ai piedi di Blatter c’è un esercito, lui che di quello svizzero è stato colonnello, di questuanti e di offerenti. Vince sempre il migliore e se non fosse che ha voluto strafare con la doppietta Russia-Qatar forse la sua gestione sarebbe uscita immacolata anche questa volta. Invece sulla giacca ecco spuntargli macchie indelebili che nemmeno tutte le onoreficenze conferitegli basteranno a coprirle. Che se ne fa uno della croce di «Cavaliere di V Classe dell’Ordine di Jaroslav il saggio» o della «Gran Croce dell’Ordine di Francisco Mirando» se intorno gli sta crollando il mondo? Vedrete, lui sarebbe capace di lucidarle e di esporle in gran parata, ma non sarà così semplice.
Le scivolate sui gay
Un conto è scivolare sui gay («credo che in Qatar dovrebbero astenersi da qualsiasi attività sessuale») o sul calcio femminile («dovrebbero vestirsi in maniera diversa») o persino negarsi alla premiazione dell’Italia campione mondiale del 2006 (primo e unico caso nella storia della Fifa) e un altro è vedersi arrestati due vice presidenti, per tacere degli altri, a 48 ore dalla votazione che lo metterà a confronto con il principe giordano Ali Bin Hussein, l’unico rivale verso il quinto mandato consecutivo. Il Gran. Lup. Mann. del pallone ha aspettato il tramonto zurighese per far sentire la propria voce, in mattinata la Fifa si era «detta parte lesa» della questione, poi è arrivata a sospendere undici dirigenti coinvolti nell’affaire e bandire da ogni attività i «magnifici 7» arrestati a Zurigo. Insomma, hanno chiuso la stalla dopo che i buoi sono scappati. Poi è arrivato herr Sepp e il suo comunicato. Che doveva dire se non «ben venga l’inchiesta americana e quella svizzera se serviranno a continuare l’opera della Fifa per eliminare ogni scandalo»? Come poteva non cospargersi il capo ammettendo che «questa vicenda non potrà non influenzare il giudizio sul nostro lavoro»? Tira avanti Sepp Blatter. In serata altra grana, l’Uefa che chiede il rinvio delle elezioni a costo di boicottarle. Una notte per studiare la strategia, poi il solito caffè. Stamattina molto più amaro del solito.
Paolo Brusorio
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FRANCESCO SAVERIO INTORCIA, LA REPUBBLICA -
I giocatori del Fussball Club Visp hanno stropicciato gli occhi, quando nell’agosto di un anno fa hanno visto un elicottero rosso adagiarsi sull’erba del loro campetto sportivo incastonato nel Canton Vallese. Dalla scaletta è sceso il brasiliano Ronaldo: aveva la pancetta, ma era pur sempre il Fenomeno, arruolato con altre vecchie glorie, tutte in blue Adidas, per celebrare il centenario del Visp. Un evento Fifa in un paesino di settemila abitanti. Perché qui è nato Sepp Blatter, il padrone del calcio mondiale. E se lui vuole, Ronaldo gioca nel suo giardino.
Si parte da qui per spiegare l’ascesa e i metodi del Grande Dittatore di un impero che ha 209 paesi, più dell’Onu, ha incassato 5,72 miliardi di dollari nell’ultimo quadriennio, distribuito premi alle nazionali per 358 milioni, accumulato riserve per 1,52 miliardi, secondo una recente inchiesta di Businessweek. Joseph Benjamin Blatter, 79 anni, figlio di un dipendente di un’industria chimica, torna a Visp due volte al mese, ha la casa sopra il negozio di ottica e tutti lo chiamano solo Sepp. Qui ha sede la Sepp Blatter Foundation, patrimonio da 1,1 milioni di franchi svizzeri: vive di donazioni, finanzia la casa di cura dove la madre di Blatter ha passato gli ultimi anni di vita. Ex colonnello dell’esercito, una laurea in Business administration and economics a Losanna, cinque lingue, tre matrimoni alle spalle, una figlia, Sepp comincia come cronista sportivo, passa alla federazione hockey ghiaccio, approda come p.r. in Longines e, da lì, all’organizzazione dei Giochi invernali del ’72 e del ’76. Intanto sposa in seconde nozze Barbara Käser: il padre, Helmut, è il segretario generale della Fifa. Blatter vi entra nel ’75, responsabile dei programmi di sviluppo. Nell’81, è già sulla poltrona del suocero. Cresce all’ombra di João Havelange, che costruisce il consenso garantendo contributi e considerazione alle federazioni emergenti dell’Africa. Sepp gli copia il metodo e lo perfeziona, esplora nuo- vi continenti, li blandisce con ricche elargizioni (330 milioni di dollari solo ai 35 paesi del Centro America). Sa che nell’urna le loro schede pesano come quelle dei grandi paesi europei.
Eccolo, il sistema Blatter. Quando punta alla presidenza, nel ‘98, è sostenuto da Asia e Oceania. Viaggia sul jet dello sceicco qatariota Mohamed bin Hammam, non ha limiti di spesa. Lo sfida Lennart Johansson, presidente Uefa, che ha l’appoggio di Europa e Africa, ma al primo voto, a Parigi, è battuto e si ritira, anche se a Sepp manca il quorum. Perché? È successo qualcosa, nella notte, al Meridien Montparnasse Hotel. Il delegato somalo, Farah Weheliye Addo, racconterà di gente in coda per incassare mazzette: 50mila dollari prima del voto, altri 50mila dopo. La scarpa destra dopo la sinistra. Anni dopo, Blatter ammetterà: «Voti comprati, ma non si sa da chi». Addo, intanto, è cacciato dalla commissione arbitri e condannato da un giudice svizzero a cessare la campagna contro Blatter. Per avere informazioni sul nemico, Sepp paga pure 25mila dollari a un ex arbitro del Niger. Soldi suoi, non della Fifa, dirà. «È sorprendente la radicata convinzione dei membri di essere al di sopra di qualsiasi biasimo o censura», scrive Michael Hershman (Trasparency International) in un rapporto sulla governance.
Nel sistema Sepp, il tiranno annienta i dissidenti. Nel 2002, vigilia del voto, il segretario Michel Zen-Ruffinen denuncia gli abusi di 11 membri dell’esecutivo e pagamenti non autorizzati dai conti Fifa. È costretto a dimettersi: lui, non Sepp. Che invece batte Issa Hayatou, capo del calcio africano: prima del voto, la claque non lo fa neanche parlare, ne fa parte anche Al-Saadi Gheddafi, particolarmente convincente. Nel 2007 non ci riprova nessuno, Sepp vince per acclamazione. Nel 2011, riecco bin Hammam: l’aveva sostenuto nel ’98, pensava fosse l’ora della successione. Ingenuo: accusato di tangenti da 40mila dollari ai delegati caraibici in un summit a Trinidad, nega, ma si ritira. Nel mirino finisce Jack Warner, ex n.2 Fifa: si dimette e ogni procedimento viene chiuso (ora, è coinvolto nel nuovo scandalo). A Trinidad possiede una cittadella per sport e congressi, costruita dalla sua impresa con i soldi della Fifa: qui, nella Sepp Blatter Hall, si celebrano anche matrimoni, non solo d’interesse. Agli arresti ora c’è pure Jeffrey Webb, n. 1 Concacaf, sponsor di Blatter e capo della task force anti- razzista che ha fatto squalificare Tavecchio.
Gaffeur di professione – alla prima elezione cadde dal palco -, Sepp ha proposto pantaloncini attillati per il calcio femminile, negato il razzismo nel calcio, sbeffeggiato Cristiano Ronaldo, consolato Zidane dopo la testata a Materazzi anziché premiare gli azzurri a Berlino. La terza moglie, Graziella Bianca, l’ha definito «uomo dalla doppia personalità, viscido come un delfino». Poi, ha ritrattato: l’hanno fraintesa. I delfini sono creature bellissime, d’intelligenza sopraffina.
Francesco Saverio Intorcia
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GIANNI DRAGONI, IL SOLE 24 ORE -
«Il calcio è più importante dell’insoddisfazione delle persone». Questa frase, che non sfigurerebbe in bocca a diversi dirigenti del calcio nostrano, Sepp Blatter l’ha pronunciata nel giugno 2013. Lo fece a proposito delle manifestazioni in Brasile contro i costi eccessivi e le condizioni di lavoro di chi stava costruendo gli stadi per i mondiali.
Seduto su una montagna di milioni di dollari, il presidente svizzero della Fifa, in carica dal 1998, ma prima per altri 17 anni era stato segretario generale - cioè numero due - della potente Federazione del calcio mondiale, fino a ieri era pronto a incassare la quinta elezione alla guida dell’organizzazione laica probabilmente più potente della terra. La Fifa ha più associati perfino dell’Onu, 209 Stati contro i 193 delle Nazioni Unite. In seguito agli arresti di ieri e alle accuse di corruzione provenienti dall’Fbi, il settantanovenne Blatter è preoccupato. Ma non ha intenzione di ritirare la candidatura alle elezioni previste per domani a Zurigo.
Blatter è sempre uscito indenne dagli scandali e polemiche in cui è finito fin dalla prima elezione, ogni volta più forte, malgrado in alcuni paesi goda di fama di impresentabile. Blatter ha dribblato anche lo scandalo per l’assegnazione dei mondiali del 2022 al Qatar, argomento che è oggetto dell’indagine dell’Fbi insieme all’assegnazione dei mondiali 2018 alla Russia.
Secondo un’inchiesta pubblicata un anno fa dal Sunday Times, l’ex vicepresidente della Fifa, ex delegato Fifa per il Qatar ed ex boss della Federazione asiatica, Mohamed Bin Hamman, avrebbe pagato mazzette per oltre 5 milioni di dollari, soprattutto ai votanti africani nella Fifa, per assegnare nel 2010 i mondiali al Qatar. Lord David Triesman ex vicepresidente della federazione calcio inglese, ha attaccato Blatter: «Ho paura che la Fifa sia guidata come una famiglia di mafiosi. Ha una lunga tradizione di bustarelle, tangenti, e corruzione». Blatter, annunciando la sua ricandidatura alla Fifa, ha affermato che sulla decisione di assegnare i mondiali al Qatar hanno influito “le pressioni” del governo francese. Un modo per scaricare la colpa sul rivale Michel Platini, amico dell’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani. Alla vigilia dell’assegnazione dei mondiali, Platini accompagnò l’emiro dal presidente Nicolas Sarkozy. E il figlio di Platini, avvocato, dal 2011 lavora per il gruppo del Qatar che è proprietario del Paris Saint Germain.
Il potere di Blatter si fonda sui soldi, sulla ricchezza che ha portato alla Fifa con il marketing sportivo e la vendita dei diritti tv, grazie al sodalizio d’affari con Horst Dassler, erede del fondatore dell’Adidas. Blatter è stato eletto segretario generale della Fifa nel 1981, sostenuto dal padrone dell’Adidas.
Nel 2001 Blatter si trovò di fronte al fallimento della Isl, la chiacchierata società (svizzera, ovviamente) che commercializzava diritti sportivi per la Fifa. Blatter evitò il buco nei conti cartolarizzando i crediti per i diritti commerciali e tv del mondiale del 2002. A prendersene carico, per il 2002 e anche per il 2006, è stata la Infront, società svizzera dall’azionariato misterioso. I conti di Blatter con i 2,1 miliardi garantiti da Infront erano salvi. Nel 2006 al vertice della Infront è arrivato Philippe Blatter, nipote del presidente Fifa.
La Infront nel 2011 è stata venduta da tre soci svizzeri al fondo britannico Bridgepoint, per 600 milioni. Tre mesi fa è stata comprata per 1,05 miliardi di euro dal gruppo cinese Wanda del miliardario Wang Jianlin. La Infront ha continuato a lavorare per la Fifa fino ai mondiali in Brasile del 2014, in Italia - guidata dall’ex Fininvest Marco Bogarelli - è l’advisor della Lega per vendere i diritti tv della serie A. Alla guida del gruppo Infront c’è sempre il nipote di Blatter. E il velo di mistero su chi fossero i veri proprietari di Infront non si è mai alzato.
Gianni Dragoni
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TONY DAMASCELLI, IL GIORNALE -
Nome: Joseph, Benjamin, Sepp. Cognome: Blatter. Nato: a Visp, Svizzera, valle del Rodano, il 16 di marzo del 1936. Altezza: un metro e sessantotto centimetri. Peso: variabile. Lingue parlate: tedesco, francese, inglese, italiano, spagnolo e qualcosa di portoghese. Titoli di studio: laurea all’università di Losanna in Scienza dell’Amministrazione ed Economia. Coniugato tre volte, Liliane Biner, Barbara Kaser, Graziella Bianca, figlia 1, Corinne, nipote 1, Serena. Attualmente single ma accompagnato da Ilona Boguska. É cattolico ma nel 2003, causa divorzio, non gli fu consentito di portare all’altare, cioè in chiesa, la terza sposa, Graziella. Hobbies: film thriller, moda femminile con annesse, sudoku e automobili veloci. Curriculm vitae: segretario dell’ente turismo vallese, responsabile della comunicazione della Longines, orologi, segretario della federazione svizzera di hockey su ghiaccio, dal ’72 al ’76 nell’organizzazione dei Giochi dell’Olimpiade, in Fifa dal 1975 e da lì non si muove più, da direttore a segretario generale a presidente. Lo chiamano mister Teflon, coefficiente bassissimo di attrito, antiaderente. Altri lo definiscono il Napoleone del football, già si odono i tamburi di Waterloo. Ad altri ancora fa venire in mente il pupazzo che ondeggia, lo spingi, sembra cadere e si rialza, l’Ercolino sempre in piedi dei bei tempi di Carosello. Sepp Blatter è un uomo che non si piega e non si spezza, figlio di un operaio di una fabbrica chimica, sin da piccolo indossava il blu, il colore della tuta di suo padre. In tenera età aveva intuito che il pallone, oltre a essere il giocattolo e il gioco preferito era anche il sol dell’avvenire, infatti spazzolava e lucidava, con lo sputo e la cera, montagne di scarpe, sandali, mocassini per racimolare i denari necessari per il primo paio di scarpe da pallone. Il Losanna gli offrì il primo contratto professionistico ma suo padre lo bloccò prima della firma: «Dove vai? Con il calcio non guadagnerai mai abbastanza per vivere». Papà Blatter non aveva capito il giro del fumo e il senso della vita di suo figlio, il quale sarebbe diventato anche colonnello dell’esercito elvetico, mai in guerra ma sempre in trincea, pronto a servire la patria Fifa. Un uomo solo al comando di una potenza che non ha uguali. Provate a chiedere chi sia Ban Ki-moon e, subito dopo, rivolgete la stessa domanda su Blatter. Il primo è il segretario generale dell’Onu e deve gestire 193 nazioni, detti stati membri, il secondo se la spassa con 209 Paesi, 16 in più del suo collega sudoreano ma con un’illustrazione e un potere che nemmeno Obama e Putin possono vantare. Perché chi comanda il calcio comanda un movimento che non riguarda soltanto i calciatori, le partite di football, arbitri e addetti: è l’uomo che decide se un torneo, piccolo o grande, vada assegnato a quel Paese, con tutti gli annessi, politici, finanziari, economici, sociali e uno spropositato ritorno di cassa.
Blatter vive di calcio da quarant’anni e non intende arrendersi. Viaggia sui 15 milioni annui di salario, tutto compreso. Ha fatto fuori colleghi, consulenti, collaboratori, ha giocato su due, tre tavoli quando era il segretario generale di Joao Havelange, ha preso in giro Cristiano Ronaldo e poi Platini, finge di amare Maradona da cui è odiato, non va d’accordo con Beckenbauer, Figo e altri cento ex campioni ma resiste, resiste, resiste, avendo negli armadi del suo ufficio a Zurigo più scheletri della morgue di Parigi. Le sue frasi celebri sono da best seller della comicità: «Il razzismo nel calcio non esiste, anzi è una sciocchezza», «Il calcio è più importante dell’insoddisfazione della gente», «La tecnologia non aiuta gli arbitri», «É il momento di introdurre la tecnologia», «Il mio sogno è che i gay non facciano l’amore», «In Qatar i gay non avranno problemi. Eviteranno di fare sesso», «Il calcio è macho, per le donne è dura». «La Fifa è più influente di tutti i paesi del mondo e di ogni religione per via delle emozioni positive che sprigiona».
Così parla un uomo vero, dunque, un gigante che non ha piedi d’argilla, al massimo sono piatti. Come quelli dei poliziotti che mercoledì all’alba hanno dato la sveglia a lui e a mezza Fifa.