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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

IL PARASSITA DEI SOGNI

«Per caso sei stato punto dalla mosca tse-tse?». Fino a poco tempo fa ancora lo si sentiva dire. Una domanda dal tono piccato, che veniva posta quando, in modo ironico ma efficace, si voleva far notare a qualcuno di essere particolarmente irritabile, scontroso e di cattivo umore. Ma l’origine di questo modo di dire ormai dimenticato è tutt’altro che casuale.
Il riferimento alla mosca tse-tse, infatti, è legato alla trasmissione di una malattia piuttosto grave e ancora poco conosciuta in Occidente. Le turbe neuropsichiche che scatena, associate al modo di dire, possono essere confuse con una varietà di sindromi psichiatriche, in particolare quelle che riguardano i repentini cambiamenti di personalità, il disturbo bipolare, i comportamenti psicotici, paranoici e depressivi. Ma non solo. Una leggera apatia, qualche calo di attenzione e un problema nel prendere sonno sono i sintomi comuni di una malattia che nei casi più gravi può progredire fino a mimare i disordini neurologici del Parkinson, per poi giungere al coma e persino alla morte.
Nel linguaggio medico è nota come tripanosomiasi africana, una sindrome parassitaria che mette a rischio 70 milioni di persone nel mondo e che fino a pochi anni fa contava oltre 2 milioni di individui infetti concentrati soprattutto in Africa centrale, con focolai endemici dal deserto del Sahara fino a quello del Kalahari. Nei fitti boschi che seguono i percorsi dei fiumi, Glossina palpalis, più comunemente nota come mosca tse-tse, trova la vittima che diventerà l’ospite definitivo del parassita Trypanosoma brucei, responsabile della malattia. Giunto a maturazione nelle ghiandole salivari della mosca tse-tse, attraverso una puntura il parassita entra nella circolazione sanguigna dell’uomo, dove si moltiplica in modo frenetico durante la fase acuta della sindrome. Dal sangue il tripanosoma si sposta al cervello e scatena il grave stadio meningoencefalitico che dà origine alla fase cronica della tripanosomiasi africana.
La cefalea si aggrava, l’irritabilità è continua, e quando il parassita raggiunge il nucleo soprachiasmatico del cervello, il nostro orologio biologico, avviene l’alterazione dei ritmi circadiani, e quindi dei cicli sonno-veglia. L’insonnia è infatti il sintomo tipico della malattia.
Tutte queste manifestazioni rientrano nel nome comune di «malattia del sonno», una sindrome grave, difficile da curare e ancora senza un vaccino in grado di bloccarne la diffusione.
Una storia ricorrente
Angèle è una ragazza di vent’anni, sposata e già mamma di tre figli. Insieme al marito si occupa di un piccolo appezzamento nel cuore della Repubblica Democratica del Congo, un terreno povero che produce più che altro manioca, ma che è comunque sufficiente a sfamare la famiglia. Nonostante la vita nel villaggio di Musenge non sia delle più facili, Angèle gode di ottima salute, e ogni giorno cammina per chilometri per recarsi al fiume Lukula, un lungo corso d’acqua cinto dalla lussureggiante foresta equatoriale. Angèle non lo sa, ma questo è il terreno di caccia della mosca tse-tse e il luogo d’origine dei suoi disturbi. La storia è quella di un male trascurato che le verrà diagnosticato solamente sei mesi dopo dalla DNDi, la Drugs for Neglected Diseases initiative, un’organizzazione no-profit per la cura e la prevenzione delle malattie infettive tropicali.
Nel luglio 2014 la sleeping sickness mobile unit della DNDi, composta da un team di medici e infermieri che si sposta da un villaggio all’altro dell’Africa subsahariana per monitorare i luoghi più colpiti dalla tripanosomiasi, diagnostica ad Angèle uno stadio tardivo della malattia. Il marito, malato di malaria, un’altra parassitosi endemica nella zona, non può occuparsi di Angèle, che ha bisogno di curarsi in un centro attrezzato. Nonostante si senta male, e alterni momenti in cui mostra irascibilità e paranoia a fasi di depressione e stanchezza, Angèle è costretta a fare 60 chilometri a piedi per raggiungere il Reference Hospital di Masi Manimba.
Arrivata al centro di cura dopo due giorni di viaggio, le viene comunicato che non può ancora cominciare il trattamento contro la tripanosomiasi africana. Angèle scopre infatti di essere in attesa del quarto figlio, e i medici non possono trattarla con i farmaci prima del quarto mese di gravidanza, per l’alto rischio di provocare danni al bambino. Dovrà attendere altri due mesi mentre il parassita continua a moltiplicarsi nell’organismo invadendo nuove aree del suo cervello. Nel frattempo la donna racconta ai medici la sua esperienza: «Ho terribili emicranie, il mio umore è a pezzi e la notte sono insonne e ho i brividi, ogni notte, da sei mesi. Quando la DNDi è arrivata nel mio villaggio ho finalmente scoperto che cosa non andava. Nella mia comunità ci sono molti casi di malattia del sonno. Mia nonna l’ha contratta, e anche mio padre. Per fortuna entrambi sono stati curati con successo».
Due mesi dopo Angèle può cominciare il trattamento con la NECT (Nifurtimox-Eflornithine Combination Therapy), una terapia farmacologica innovativa che sta gradualmente sostituendo il melarsoprolo, farmaco d’elezione usato da anni per combattere lo stadio meningoencefalitico ma che a causa della sua tossicità dovuta all’alto contenuto di arsenico uccide in media il 20 per cento dei pazienti trattati.
La NECT ha un effetto quasi immediato, e Angèle, pochi giorni dopo l’inizio della cura, accoglie entusiasta i medici dell’unità mobile che continuano a monitorare il suo villaggio. Le sue emicranie sono quasi scomparse, gli sbalzi di umore diminuiti, e la notte può dormire serena, senza più brividi e insonnia.
Casi come quello di Angèle sono piuttosto comuni nei paesi in via di sviluppo che si trovano lontani da un centro di cura attrezzato. Qui chi soffre di un male che non compromette la sua attività quotidiana tende a trascurarlo anche per lunghi periodi, aggravando così le condizioni di salute e favorendo la diffusione della malattia.
Il parassita e la psicosi
Come lei stessa ha raccontato, Angèle era preoccupata più che altro per i brividi e l’insonnia che la tormentavano ogni notte. Per i medici della DNDi è stato l’indizio che li ha condotti a diagnosticare la seconda fase della malattia del sonno, quella più grave, quando il parassita passa dai vasi sanguigni ai neuroni del cervello.
Nello stadio meningoencefalitico i sintomi variano in maniera piuttosto ampia, e nelle prime settimane, nonostante i nuovi disturbi, negli individui infetti non appaiono ancora tracce del parassita nel liquor che avvolge l’encefalo. Ma gli infettivologi possono riconoscere facilmente l’impronta della malattia anche da altri sintomi tipici come il mal di testa continuo, gli sbalzi di umore e il comportamento antisociale. Il paziente è consapevole della sua irritabilità, diventa apatico e tende a isolarsi. Nell’infezione da Trypanosoma brucei rhodesiense, diffuso in Africa orientale, i disturbi psichici emergono sempre nelle prime settimane, mentre in caso di infezione da Trypanosoma brucei gambiense, presente a ovest della Rift Valley che spacca in due il continente africano, i sintomi possono apparire anche diversi anni dopo la puntura della mosca.
Allegro, poi triste e apatico, poi di nuovo felice ed eccitato: nell’arco di pochi minuti i cambiamenti di personalità si susseguono, e non a caso ora il parassita compare anche nel liquor che viene estratto dalla spina dorsale. È il segno che l’invasione è ormai completa e che la malattia si trova nella sua fase tardiva, dove le turbe neuropsichiche diventano progressivamente più marcate e l’umore è talmente instabile che può portare al suicidio. Il parassita attacca direttamente la mielina, la guaina che riveste i neuroni del cervello, del cervelletto e dei nervi periferici, e questo è causa dei disordini mentali e dei tremori descritti da Angèle, che sembrano mimare i sintomi del Parkinson.
Il decorso a questo punto è segnato, ed è difficile da curare persino con i trattamenti più aggressivi. L’alterazione dei ritmi circadiani con sonnolenza diurna e agitazione notturna, e quindi insonnia, si tramuta in difficoltà a svegliarsi appena preso sonno. Difficoltà che poco dopo fa cadere in coma e precede la morte. E tutto nasce dalla puntura di un insetto.
Scovare il responsabile
Il termine tse-tse deriva dalla lingua del popolo degli Tswana, che vive tra Sudafrica e Botswana, e significa semplicemente «mosca», ma in tutta l’Africa meridionale risuona più che altro come un grido d’allarme. Sia i maschi che le femmine dell’insetto, infatti, sono ematofagi, e si nutrono del sangue di diversi mammiferi. L’uomo è sicuramente la sorgente principale di infezione per il parassita, e di nutrimento per la mosca tse-tse, ma il maiale sembra svolgere un ruolo importante come ulteriore serbatoio della malattia. Attaccando gran parte del bestiame, poi, rende l’allevamento pressoché impossibile in alcune aree, con gravi conseguenze economiche. Ma in gergo parassitologico, a causa del ruolo centrale dell’uomo come vittima prescelta dal tripanosoma, viene definita un’antropozoonosi prevalente.
Ma qual è il ruolo dell’insetto ritenuto spesso il principale responsabile di una condizione clinica devastante non solo per gli effetti che provoca a livello mentale? La mosca tse-tse è «solo» un vettore, un corriere che trasmette il parassita Trypansoma brucei da un corpo a un altro, permettendogli di completare il suo ciclo vitale e di diffondere così la malattia.
Ambienti umidi tra la vegetazione delle rive di laghi e corsi d’acqua, nelle piantagioni di caffè e cacao vicino ai villaggi: la malattia del sonno è strettamente legata ai luoghi dove la mosca tse-tse vive, si nutre, cresce e si riproduce. Non a caso le grandi epidemie sono sempre state collegate a migrazioni umane lungo corsi d’acqua e alla costruzione di nuove strade vicino ad ambienti umidi. Come nel caso di Angèle, infatti, l’infezione si contrae principalmente durante la pesca o il rifornimento d’acqua. Per cercare di contenere la malattia del sonno sono state studiate a lungo le caratteristiche della mosca tse-tse, scoprendo tra l’altro bizzarre similitudini con i mammiferi. Le femmine dell’insetto, infatti, danno vita a un’unica larva alla volta, nutrita all’interno del ventre con un latte simile a quello dei mammiferi; una singola larva che, una volta uscita dalla madre, è lunga quasi quanto l’insetto adulto.
Inoltre, durante l’intero ciclo vitale di G. palpalis una femmina produce non più di 8-10 larve, mentre una zanzara vettore di malaria ne produce circa un migliaio. «Basta eliminare una femmina perché questo abbia effetto su un’intera popolazione», racconta Serap Aksoy, docente di epidemiologia alla Yale School of Public Health di New Haven, in Connecticut.
La decodificazione del genoma della mosca tse-tse, sequenziato lo scorso anno e i cui risultati sono apparsi su «Science», sta già fornendo nuovi mezzi per combattere la malattia: per esempio è stato scoperto che la produzione del latte della mosca è regolata da una sola proteina che, una volta bloccata con inibitori chimici, potrebbe impedire lo sviluppo delle larve.
Il successo evolutivo
Dalla scoperta della modalità di trasmissione della malattia, e del ruolo della mosca tse-tse, sono stati compiuti enormi sforzi per limitare la diffusione della tripanosomiasi. All’incirca dal 1930 in poi, da quando cioè i programmi di controllo, come quello della DNDi, sono divenuti prioritari in molti paesi africani, si è sperato in un’eradicazione della malattia. Ma le possibilità di successo sono ancora piuttosto scarse.
Come ogni parassita infatti, il tripanosoma ha tra le sue carte vincenti una caratteristica che lo rende estremamente difficile da eliminare: la sua eccezionale capacità di adattamento all’ambiente, agli ospiti che infetta, alla competizione. Le capacità di sopravvivenza dei parassiti sono tra le forme più evolute di adattamento di un organismo, e i loro complessi cicli vitali lo dimostrano. Il tripanosoma vive libero all’esterno delle cellule, sia nel sangue che nel fluido cerebrospinale, mentre nelle cavità del cervello, nei plessi coroidei dei ventricoli, si insinua all’interno dei neuroni e della glia producendo i danni più gravi, che sono poi gli stessi alla base dei disordini psichiatrici.
Inoltre cambia forma di continuo a seconda dell’ambiente in cui si muove e dello stadio in cui si trova il suo ciclo vitale. Nel sangue, per esempio, può assumere due forme: una snella e agile, o una tozza e poco mobile. Quando è nella sua forma snella, il tripanosoma ha un’incessante attività riproduttiva e di trasformazione della propria struttura antigenica di superficie: molecole che sono il biglietto da visita con cui si presenta ai globuli bianchi del nostro organismo.
Questa caratteristica gli consente di evadere facilmente le difese del sistema immunitario, che cerca di attaccarlo senza successo, scatenando ondate di parassiti in frenetica attività che causano febbre alta e intermittente.
La forma tozza è invece quella di resistenza alla risposta immunitaria dell’ospite, ed è l’unica forma infettante per la mosca tse-tse, che si trova a banchettare con sangue ricco di tripanosomi pronti a invadere prima il suo intestino e poi le sue ghiandole salivari. Nuova puntura, nuova vittima, e il ciclo del parassita è completo.
Una lotta senza fine
Nei primi del Novecento, quando la causa della malattia del sonno era pressoché sconosciuta, le persone infette venivano isolate in appositi spazi confinati, veri e propri lazzaretti. Oppure, durante le epidemie più gravi, come soluzione di emergenza adottata in Stati come Uganda e Zaire, intere popolazioni venivano spostate dai loro villaggi d’origine sulle rive dei fiumi verso luoghi più salubri. Ma si rivelò una strategia temporanea e di scarso successo, perché nelle zone disabitate le mosche tse-tse crebbero addirittura in numero sfruttando serbatoi animali come i maiali selvatici.
Con l’uso del DDT a partire dagli anni quaranta, che veniva impiegato anche per combattere la malaria, arriva la prima forma di guerra chimica alla mosca tse-tse, e indirettamente al tripanosoma. Ma anche in questo caso il successo fu limitato.
Più di recente, e precisamente dalla fine degli anni novanta, i governi africani hanno attuato un programma internazionale di controllo (PAAT, Programme Against African Trypanosomosis) basato sulla previsione della diffusione di G. palpalis attraverso l’analisi satellitare della variazione di vegetazione in luoghi a rischio. Incendi, estirpazione della vegetazione e disinfestazione con insetticidi sono i principali mezzi di lotta nelle foreste scelte dall’insetto per riprodursi. Nei villaggi vengono anche usate ingegnose trappole fatte di reti di tessuto blu o nero impregnate di urina di maiale, un irresistibile attrattore per la mosche tse-tse.
Oggi la bonifica e la coltivazione di ampi terreni, o soluzioni più estreme come la distruzione di intere mandrie di animali, sono i metodi più diffusi per combattere la malattia del sonno. Ma il controllo sulla popolazione rimane al momento il mezzo più efficace, e sono organizzazioni come la DNDi che stanno facendo i passi più importanti per limitare la diffusione della sindrome tra i villaggi dell’Africa centrale.