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 2015  maggio 28 Giovedì calendario

ARTICOLI SULLO SCANDALO FIFA DAI GIORNALI DI GIOVEDI’ 28 MAGGIO 2015


MASSIMO GAGGI, CORRIERE DELLA SERA -
Sette arresti, 14 dirigenti della Fifa (di cui due vicepresidenti) e manager di imprese impegnate nel business dello sport incriminati per reati gravi, dal racket al riciclaggio di denaro sporco, dalla corruzione alla frode (per circa 150 milioni di dollari): crimini per i quali rischiano fino a 20 anni di prigione. Per tutti è stata richiesta l’estradizione negli Stati Uniti e nel mirino è finita anche l’assegnazione dei Mondiali di calcio 2010 al Sudafrica.
Il tutto illustrato dagli investigatori americani con un linguaggio durissimo, in genere riservato alla lotta contro la mafia o i cartelli sudamericani della droga. Alcuni dei personaggi coinvolti sono già rei confessi e stanno collaborando con la giustizia americana che ieri ha ordinato la retata eseguita a Zurigo dalla magistratura svizzera.
La Federazione calcistica internazionale è per la prima volta davvero alle corde e il regno di Sepp Blatter, che dovrebbe essere riconfermato domani al vertice, ora sembra sul punto di crollare, anche se il presidente della Fifa non è tirato direttamente in ballo dall’inchiesta americana (né lo è Michel Platini). Il procedimento giudiziario formalizzato ieri e illustrato in una conferenza stampa dal ministro della Giustizia Usa Loretta Lynch, dal capo dell’Fbi James Comey e dal procuratore distrettuale Kelly Currie, fa emergere uno schema di corruzione sistematica, pervasiva e continuata che dura da almeno 24 anni. L’indagine non si concentra sull’assegnazione dei Mondiali 2018 alla Russia e 2022 al Qatar, per i quali sospetti di corruzione sono emersi più volte in passato.
Incontrando la stampa nella corte federale di Brooklyn, la Lynch (era stata lei ad avviare l’indagine prima di essere nominata ministro da Barack Obama) e gli investigatori hanno spiegato che non tocca a loro esprimere giudizi sulla conferma di Blatter o la scelta delle sedi per i prossimi campionati. Ma hanno anche detto che il loro lavoro investigativo dimostra che la Fifa dev’essere totalmente rifondata visto che è fonte di scandali gravissimi da almeno un quarto di secolo. C’entrano anche i mondiali italiani del ‘90? Gli investigatori hanno detto che l’inchiesta si riferisce a un periodo successivo e non hanno elementi in proposito.
Ma il messaggio vero della Lynch e di Comey è che i provvedimenti annunciati ieri sono solo l’inizio dell’inchiesta, non la conclusione. Come dire che d’ora in poi la Fifa avrà il fiato sul collo della magistratura Usa (che ha già chiesto l’estradizione dei sette arrestati), ma anche quello di altre polizie a cominciare da quella Svizzera che ha avviato una sua indagine sull’ipotesi di corruzione per l’assegnazione dei Mondiali a Russia e Qatar. E mentre Lynch loda «i colleghi investigatori elvetici» per la collaborazione, insorge la Russia che ora teme di perdere la manifestazione sportiva: «Un altro caso di applicazione illegale delle leggi americane al di fuori dei confini Usa» sostiene in un comunicato il portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Alexander Lukashevich.
Ma gli americani, che lavorano sul caso da anni, hanno incriminato solo personaggi che hanno violato le leggi federali: racketeering commesso negli Usa o ai danni di interessi statunitensi, violazione delle leggi bancarie riciclaggio, evasione fiscale.

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GIANNI SANTUCCI, CORRIERE DELLA SERA -
Non è per pietà che gli hanno concesso un lenzuolo bianco e protettivo, ma per privacy. Che in Svizzera è riconosciuta come diritto supremo. Anche a quei feudatari del calcio mondiale che due giorni fa sono calati a bordo lago con una sfilata da apparato, Mercedes nere e vetri oscurati, trolley col logo Fifa e valigie Vuitton davanti alla reception, codazzo deferente e suite da 3 mila franchi, inchini e willkommen. Dall’hotel che è una magione ottocentesca nel cuore di Zurigo, sono usciti ieri come galeotti, lo sguardo schiacciato a terra dal disonore e l’implorazione sussurrata agli investigatori: «Per cortesia, mi fate passare da un ingresso posteriore? Per evitare i fotografi». Così un cameriere e un autista tengono su il lenzuolo bianco, a schermare il breve percorso tra l’uscita e lo sportello spalancato dell’auto della polizia. Sgattaiolano sul marciapiede i baroni del pallone e delle mazzette. Tre passi e via. Nella scena finale, il contegno elvetico impone che nessuno pronunci l’auf wiedersehen, arrivederci. All’incrocio della Talstrasse risuona solo l’urlo di un ragazzo che passa in bicicletta: «Fuck Fifa», fottetevi ladroni.
Non è (solo) un albergo, l’hotel Baur au Lac, il più lussuoso di Zurigo, facciata vista lago e fianco sul canale, un pavillon tutto vetri che si allunga nel giardino tra rose e ortensie. Se la città è sede della Fifa, e la Fifa è il regno di Sepp Blatter, il Baur au Lac è il palazzo reale dove alloggia la corte del sovrano. Tra paramenti e vasi cinesi dei corridoi, qui si sono affaticate negli anni le lobby a caccia di voti per assegnare i Mondiali (ora sotto inchiesta) del 2018 e del 2022. E per questo sono sbarcati di nuovo tutti qui, i dirigenti Fifa, a baciare ancora la pantofola del 79enne sultano Blatter, pronto a incassare il suo quinto mandato da presidente con la votazione di domani. Un plebiscito adulante, si prevedeva. Di certo, mancheranno i sette dirigenti finiti in carcere.
All’alba di ieri i poliziotti in borghese si presentano alla reception e chiedono le chiavi delle stanze dei signori Jeffrey Webb, Eugenio Figueredo, Eduardo Li (presidente della federazione del Costa Rica, sfilato dietro il lenzuolo), Julio Rocha, Costas Takkas, Rafael Esquivel, Jose Maria Marin. Le operazioni d’arresto seguono una fredda burocrazia che non lascia spazio a strepiti o baccano. Non sono previste manette, ma solo telefonate alle 6 del mattino con il concierge che ripete sempre la stessa frase: «Signore, è necessario che vada subito ad aprire la porta, altrimenti sarà buttata giù. Poi le verrà lasciato il tempo di vestirsi». La retata si conclude dopo le 8. Da quel momento, cala un’atmosfera che un reporter del New York Times descriverà riferendo il dialogo tra altri due funzionari della Federazione: « Como estas? ». « Nervioso ».
Il resto della giornata è un susseguirsi di commenti che girano intorno al concetto di «giustizia a orologeria»: perché proprio alla vigilia del congresso? «Semplici esigenze operative», spiega la polizia. Invece che coordinare arresti sparpagliati in mezzo mondo, più adeguato venire qui dove tutti s’erano riuniti per officiare il rito dell’incoronazione.
Il pomeriggio, mentre Blatter annulla un paio di incontri in altri alberghi della città, nella hall del Baur au Lac alcune mogli rimaste sole e spaesate stanno fisse davanti alla Tv. Si abbracciano. Qualche lacrima. Per i loro mariti, i fratelli-mazzetta del futbol , si scatena la corsa all’avvocato più affidabile. Obiettivo comune: evitare l’estradizione. Stare alla larga da New York e dai gringos, che non sanno niente di calcio, ma pretendono di bonificarlo.

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MASSIMO GAGGI, CORRIERE DELLA SERA -
« C’è in giro qualcuno che vuole sentirsi più pio di noi. Beh, amici, se volete essere pii, aprite una chiesa: per me gli affari sono affari». La battuta contro chi mostrava qualche imbarazzo davanti alla distribuzione sistematica di «mazzette», è di Jack Warner, uno degli ex dirigenti Fifa incriminati dalla magistratura Usa. Parole che illustrano, meglio delle tante prove di colpevolezza contenute nei documenti dell’inchiesta, il clima di diffusa corruzione che domina da anni nella Federazione calcistica internazionale. Per coglierlo bisogna immergersi nel ponderoso raccoglitore pieno di atti dell’inchiesta distribuito ieri ai giornalisti dal tribunale federale di Brooklyn subito prima della conferenza stampa di Loretta Lynch, del capo dell’Fbi e degli investigatori.
Il ministro della Giustizia Usa è stato attento a non arrivare a conclusioni affrettate e a non esprimere giudizi che vanno oltre la giurisdizione americana. Ma la verità è che i documenti dell’inchiesta, pur limitati a reati che coinvolgono direttamente gli Stati Uniti (o per i quali sono state usate banche e strutture informatiche americane), offre un quadro devastante dell’intera organizzazione calcistica internazionale. Così, dopo molte dichiarazioni caute dei capi, spunta sul podio Richard Weber, capo dell’Irs, il Fisco americano, che annuncia raggiante: «Questa è diventata la Coppa del Mondo delle frodi e noi oggi abbiamo mostrato il cartellino rosso alla Fifa».
L’indagine, in corso da anni e basata anche sulle testimonianze di «pentiti», è concentrata soprattutto sulle manifestazioni calcistiche americane, dalla Coppa America alla Coppa Libertadores alla Gold Cup per le quali è documentata in modo estremamente accurato la corruzione capillare, con le società di marketing sportivo costrette a versare tangenti per i diritti televisivi e la partecipazioni pubblicitaria a ogni manifestazione, con tariffari differenziati per i tornei veri e propri e per le fasi eliminatore. Corruzione come realtà quotidiana diffusa ovunque: il modo di operare di un’organizzazione sportiva solo di nome perché, come dice Warner, «gli affari sono affari».
L’episodio che tira in ballo l’ex capo della federazione di Trinidad e Tobago (oggi parlamentare del suo Paese) risale al 2011 quando un dirigente del calcio asiatico, menzionato nelle carte processuali come «co-cospiratore numero 7», pensò di candidarsi alla presidenza della Fifa e chiese l’appoggio delle federazioni americane. Le carte processuali ripercorrono tutto il lavoro fatto da Warner per mettere insieme una coalizione. L’impossibilità di organizzare incontri a New York per problemi di visti d’ingresso negli Usa e il summit finale all’Hyatt Regency di Trinidad e Tobago dove i rappresentanti delle federazioni furono invitati a entrare nella sala delle conferenze uno alla volta, lasciando fuori il personale dello staff. Separati di una manciata di secondi per non creare troppi imbarazzi visto che a ogni dirigente che andava a registrarsi veniva consegnata una busta contenente 40 mila dollari in contanti.
Qualcuno un certo imbarazzo, però, deve averlo provato e — pur guardandosi bene dallo sporgere denuncia — aveva parlato dei pagamenti ad altri dirigenti. Provocando la reazione irata di Warner che poi, ormai troppo «chiacchierato», fu costretto a dimettersi.
Di episodi nelle carte dell’inchiesta ne vengono raccontati tanti altri che vanno anche al di là del continente americano, come la battaglia a colpi di assegni milionari passati sottobanco per l’assegnazione della Coppa del Mondo 2010. Alla fine la spunterà il Sud Africa su Marocco, Egitto e altri concorrenti. Con la Coppa America per la prima volta assegnata agli Usa, la preoccupazione degli investigatori sembra soprattutto quella di bloccare il contagio della corruzione prima di finire nel gorgo delle mazzette: ma il capo dell’Fbi James Comey, oltre a promettere che la corruzione Fifa sarà estirpata, annuncia minacciosamente che i documenti pubblicati ieri rappresentano solo l’inizio dell’indagine federale. Ci saranno altre incriminazioni e si spera che emergeranno altri collaboratori. Intanto qualcuno nota maliziosamente che le carte del tribunale di Brooklyn ricostruiscono pagamenti illeciti transitati, oltre che da banche svizzere e istituti americani come Citibank e Bank of America, anche dalla Doha Bank del Qatar.

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ALBERTO FLORES D’ARCAIS, LA REPUBBLICA -
«Questo è solo l’inizio». Una lista impressionante di reati (nel dettaglio sono 47 per 12 tipi differenti di accuse) che variano dalla corruzione al pagamento di tangenti per decine di milioni di dollari, dal riciclaggio di denaro all’evasione fiscale. Sette alti funzionari della Fifa (tra cui due vice-presidenti) arrestati nel più lussuoso albergo di Zurigo e indagati insieme ad altre due dozzine di persone per “pratiche criminali”. A 48 ore dal Congresso che domani dovrebbe rieleggere (per la quinta volta) Sepp Blatter alla guida della Fifa, da un tribunale federale degli Stati Uniti un ciclone giudiziario si abbatte sul governo del football mondiale.
«Questa inchiesta riguarda reati gravissimi, ci sono persone che hanno corrotto il business del calcio in tutto il mondo per arricchirsi personalmente e noi siamo determinati a far terminare questo tipo di pratiche illegali. Vogliamo che il calcio rimanga uno sport aperto, trasparente e libero per tutti». Quando alle 10 e 30 di ieri mattina Loretta Lynch, da un mese U.S. Attorney General (ministro della Giustizia), ha preso la parola nella piccola sala dell’Eastern District of New York (il tribunale federale con sede a Brooklyn), si è capito che l’indagine sulla corruzione alla Fifa sarà lunga, ma è destinata a fare cadere molte teste. È del resto rarissimo che il ministro della Giustizia convochi una conferenza stampa di lì a poche ore con la presenza (oltre alla sua) del direttore del Fbi e del capo della sezione crimini dell’Irs (l’agenzia delle tasse).
Hanno usato parole e frasi che vengono in genere riservate ai grandi crimini di mafia o a quelli dei cartelli della droga. «Questo è solo l’inizio del nostro lavoro, vogliamo continuare a operare per estirpare il male della corruzione nel calcio. Le persone coinvolte nell’indagine hanno corrotto il sistema ed il suo normale funzio- namento. Le tangenti venivano gestite da intermediari e utilizzavano banche statunitensi per portare avanti i loro affari e questo è un crimine federale. Il calcio è uno sport per tutti, non importa da dove arrivi, se sei ricco o povero, ci sono milioni di persone che si godono questo spettacolo ». (James Comey, Fbi). «Questo deve essere considerato un giorno felice per i tifosi del calcio. Giocatori, tifosi e sponsor non devono preoccuparsi, continueremo la lotta al riciclaggio, al sistema delle tangenti e alla corruzione che attacca il loro sport. Questa è la Coppa del Mondo della fro- de e noi oggi mostriamo alla Fifa un cartellino rosso. Negli Stati Uniti nessuno è al di sopra della legge» (Richard Weber, Irs).
Due anni di indagini per reati che risalgono anche a 24 anni fa, perché è dal 1991 che due generazioni di dirigenti Fifa si sono resi colpevoli “anno dopo anno, torneo dopo torneo” di corruzioni e tangenti (dai voti comprati per l’assegnazione dei Mondiali fino a quelli per l’elezione nel 2011 del presidente Fifa), reati gravissimi per le leggi degli Stati Uniti. Presi singolarmente possono far condannare gli eventuali imputati fino a venti anni di carcere, sommati possono diventare facilmente un ergastolo. Come in ogni indagine di tipo ‘mafioso’ non manca un pentito da cui parte tutto (Chuck Blazer, che in segreto si dichiarò colpevole, restituendo due milioni di dollari in un tribunale federale nel 2013, per poi registrare i colloqui coi boss del calcio con una microspia nel taschino) e un procuratore senza macchia e senza paura. Si tratta di Michael Garcia, incaricato dalla stessa Fifa di indagare sull’assegnazione dei Mondiali del 2018 e del 2022 (a Russia e Qatar) il cui rapporto conclusivo non venne mai reso pubblico. La Fifa si limitò a dire che non aveva rivelato “alcuna irregolarità” ma Garcia (dimettendosi polemicamente) sostenne che del suo rapporto era stata fatta una lettura ’erronea e incompleta”.
Grazie agli ultimi accordi in materia fiscale tra Stati Uniti e Svizzera e al fatto che per le leggi Usa chiunque usi conti correnti di banche americane (ma anche Internet) può essere indagato per reati di natura finanziaria (o fiscale), l’Fbi ha ottenuto una grande collaborazione dagli agenti svizzeri. Che ieri mattina all’alba hanno fatto una pacata irruzione al Baur Au Lac (l’hotel a cinque stelle di Zurigo) per arrestare i due vice-presidenti Fifa Jeffrey Webb ed Eugenio Figueredo ed altri cinque alti funzionari tra cui il brasiliano José Maria Marin. Ma si parla anche di una tangente da 10 milioni di dollari per l’ex vicepresidente Jack Warner per l’assegnazione dei Mondiali in Sudafrica: arrestato a Trinidad Warner è stato poi rilasciato su cauzione. Per il portavoce Fifa, Blatter è invece estraneo all’indagine e sarà confermato, così come saranno confermati i mondiali 2018 e 2022. Per la giustizia Usa “siamo solo all’inizio”.

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ANDREA SORRENTINO, LA REPUBBLICA -
Davanti al numero 20 di Fifa-Strasse i reporter improvvisano dirette televisive, mentre gli obiettivi inquadrano la fortezza protetta dal fogliame. L’assedio prende vita. «È una giornata difficile, ma per voi… La Fifa è tranquilla, lasciateci lavorare», butta lì un dirigente, il vestito blu stirato di fresco e il logo della Fifa trionfante sul petto, prima di inforcare il monopattino e perdersi nel bosco. È una giornata normale, certo. Anche se la magnifica fortezza è assediata, e la Fifa barcolla. Anche se fuori da questa Xanadu, che Sepp Blatter ha eretto per celebrare se stesso e il suo trentennale potere, il mondo si fa un sacco di domande e non riceve risposte. Da una poltrona della sua Xanadu, avvolto da quella nube di profumo francese che è uno dei suoi tratti distintivi, giusto nove anni fa Blatter sussurrava ieratico ai giornalisti italiani, gli occhi socchiusi: «Calciopoli è il più grande scandalo della storia del calcio, che peccato…». Mai avrebbe pensato che 40 giorni dopo gli sarebbe toccato premiare l’Italia campione del mondo a Berlino, infatti si guardò bene dal farlo. Né poteva immaginare che uno scandalo ben peggiore avrebbe travolto lui e la Fifa alla vigilia della sua quinta elezione a capo del calcio mondiale.
Ma il colonnello di Visp ha l’improntitudine e il pelo sullo stomaco di chi ha navigato i sette mari. Non è arrivato a 79 anni coperto di cariche, gloria e scandali per niente. Quindi anche con due inchieste internazionali sul tavolo e gli arresti intorno a lui, il suo obiettivo è resistere, e farsi rieleggere domani dal Congresso Fifa. Trincerato nel suo nido d’aquila, Blatter fa prima dire al portavoce Walter Di Gregorio che delle inchieste la Fifa addirittura è ben felice («Abbiamo accolto favorevolmente il procedimento, siamo la parte lesa e stiamo cooperando. Il presidente della Fifa e il segretario generale non sono coinvolti nelle accuse»), poi interviene lui stesso, belando la sua preoccupazione per il brutto mondo in cui gli capita di vivere: «È un momento difficile per il calcio, per i tifosi e per la Fifa...». In realtà, in queste ore convulse, a Blatter preme la rielezione sopra ogni cosa. Raccogliendo i frutti delle sue decennali manovre politiche, il presidente uscente nonostante tutto ha un cospicuo vantaggio sullo sfidante, il principe giordano Ali bin Al Hussein, mentre gli altri candidati si sono ritirati, convinti che fosse inutile immolarsi: Blatter ha dalla sua circa 150 voti sui 209 totali. I continenti più grandi e popolosi sono con lui, mentre l’Europa è divisa, anche se il blocco dell’Est voterà Blatter. Lo sfidante Al Hussein, dopo qualche ora di esitazione, prova a dare una spallata, chissà con quanta convinzione: «È un triste giorno per il calcio. È necessario trovare una nuova leadership che ripristini la fiducia di centinaia di milioni di sportivi: non si può andare avanti così». E nel centro di Zurigo, protetto dall’anonimato perché non si sa mai, un dirigente centramericano confida: «La Concacaf ha sempre sostenuto Blatter, però questi arresti sono terribili. È un danno di immagine enorme per la Fifa, considerato il livello delle accuse e il fatto che arrivino dal procuratore de- gli Stati Uniti. Non vorrei che nel segreto dell’urna qualche nazione ripensasse il suo voto, a sorpresa. Anche se è un po’ tardi».
Ma per la Fifa gli arresti riguarderebbero solo personaggi marginali, mariuoli, brontosauri di apparato, che facevano affari illeciti con i diritti tv e il marketing. Dirigenti già chiacchierati da tempo, come il sulfureo Jack Warner da Trinidad, arrestato nella notte nel suo Paese e subito rilasciato dietro una cauzione di 2,5 milioni di dollari (era uscito dalla Fifa nel 2011 dopo enormi accuse di corruzione). O il brasiliano Marin, «uno dei più grandi ladri nel mondo dello sport», come lo definisce da sempre Romario, anche se il successore di Marin, Del Nero, fa spallucce: «Ero all’oscuro di tutto». Jeffrey Webb, delle Cayman, aveva iniziato una campagna moralizzatrice nella Fifa, antirazzismo e anticorruzione: invece hanno arrestato pure lui, insieme agli altri sei. Tutti sorpresi all’alba nel loro letto, nelle suite dell’hotel Baur au Lac, cinque stelle con vista sul lago e sui picchi alpini, una dimora da principi, infatti ospita i grandi elettori della Fifa. Gli agenti del Bureau si sono fatti dare i numeri delle stanze dal concierge poi sono saliti di persona, hanno bussato, li hanno portati via. Chi protetto da un lenzuolo, chi da un’uscita sul retro. Sei di loro si oppongono subito all’estradizione negli Stati Uniti. Altri sette dirigenti hanno ricevuto mandati di cattura, tra cui l’ineffabile paraguaiano Nicolas Leoz, 86 anni, dirigente della federazione sudamericana per 27 anni, eppure ai mondiali di Italia ’90 fu beccato a rivendere i biglietti della sua dotazione ai bagarini. Anche questo è stata la Fifa nel trentennio lungo di Sepp Blatter, direttore tecnico nel 1981, poi segretario generale, poi presidente per quattro mandati, quasi cinque. Ora fronteggia l’ultimo scandalo, eppure è sicuro di farla franca. Magari domani sera, al momento della proclamazione, farà come nel 2007, quando dopo lo scrosciante applauso dell’uditorio che sancì la sua elezione a presidente, si sciolse in un pianto. Lacrime da coccodrillo, anzi da caimano.

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EMANUELA AUDISIO, LA REPUBBLICA -
House of Sports. Era l’ultima casta degli Intoccabili. Non a caso con sede in Svizzera. I padroni dello sport mondiale abitano qui. Pallone e Cinque Cerchi. Fifa a Zurigo e Cio a Losanna. Sedi private, giuridicamente impenetrabili, con poca trasparenza e nessun sistema di controllo. Dove le decisioni vengono prese da un piccolo vertice, senza dibattiti o spiegazioni. In modo del tutto bizantino, stipendi compresi. E dove un sistema medioevale di omertà, complicità e ricatti regna sovrano. Tanto è sport, diverte la massa, e non mancano i miliardi (con tangenti) da spartirsi. Stavolta tocca al calcio. Rendere conto delle sue malefatte e della sua presunzione di poter essere al di sopra di tutto e di tutti. Anche se gli Usa sono molto attenti alle accuse quando dall’altra parte c’è il sistema elvetico. Infatti si è mossa l’Fbi. La gola profonda è Chuck Blazer, americano, ex dirigente dell’esecutivo Fifa, già sotto inchiesta dell’Fbi nel 2011, ora gravemente malato di tumore, che due anni fa ha patteggiato con la giustizia americana.
È lui che ha permesso di iniziare a scardinare il sistema. Il trattato bilaterale tra i due paesi dà alla Svizzera il potere di rifiutare l’estradizione per reati fiscali. Ma questa volta si tratta di riciclaggio e di frode (150 milioni di dollari). Anche se la corruzione, viene definita in maniera particolare dal codice penale elvetico, che permette l’estradizione solo se questa è avvenuta nell’ambito dei media (diritti tv) e pubblicità. E di nuovo non è un caso che gli avvocati degli arrestati stiano studiando il caso del regista Polanski, che l’America voleva in carcere per un reato di stupro. Lo sanno tutti: l’assegnazione di Mondiali e Olimpiadi è tutto tranne che sportiva. E se c’è qualche peccatore come in ogni sistema mafioso viene eliminato dall’organizzazione in modo da poter dire al mondo: vedete come siamo bravi?
Indagare su Sport Pulito è complicato. Per la ramificazione e la frammentazione di contratti con società e sponsor. Nel ‘99 toccò all’allora presidente del Cio, lo spagnolo Juan Antonio Samaranch fare un po’ di pulizia nella sua sacra famiglia con il congresso straordinario numero 108. Per il voto venduto a Salt Lake City 2002. A Losanna il lago sonnecchiava, ma all’hotel Palace si votò l’espulsione di sei membri Cio, colpevoli di aver tradito la carta olimpica. I sei (Ganga, Arroyo, Abdel Gadir, Lamine Keita, Mukora e Santander) protestarono: cosa avevano fatto di male? Si erano fatti pagare una buona università per i figli, un buon dottore per la madre, degli ottimi pezzi di ricambio per le loro auto scassate, dei viaggi in prima classe, avevano accettato un po’ di cash per le loro finanze. Uno srotolò perfino il conto della sua carta di credito. Il congolese Ganga andò a protestare alla tv svizzera: «Se la prendono con me, scambiano un vecchio frigo per una macchina di lusso. A me che ho fatto parte della commissione marketing nessuno ha mai chiesto un parere sui contratti firmati del Cio, né me li hanno mostrati prima di approvarli. Loro guadagnavano e io dovevo stare a guardare. Loro sono santi, e io sono un bandito ».
Aveva solo venduto il suo voto a chi si era fatto avanti per comprarlo. Briciole, rispetto ai guadagni miliardari del Cio, dove sedeva gente, non sempre politicamente corretta: il generale nigeriano dalle mani sporche, l’amico di Idi Amin Dada, l’ex capo della sicurezza alla frontiera indo-pakistana, un alto dirigente della Samsung, quel Kun Hee Lee, multimilionario coreano che a Vancouver nel 2010 verrà riammesso nell’élite olimpica, nonostante la condanna in patria di evasione fiscale per 100 milioni di dollari. E pazienza se Lee aveva violato «i principi etici della Carta olimpica » e nel suo paese era stato condannato a 3 anni di carcere con la condizionale. Per il Cio solo un membro che sbaglia: «Ha ricevuto due delle tre sanzioni più dure che potevamo imporre ». Volevate mica espellerlo? Altri si erano dimessi prima: il membro libico Bashir Mohammad Attarabulsi, di professione insegnante di ginnastica, la finlandese Pirjo Haeggman, rea di aver venduto il suo voto in cambio di un lavoro al marito Bjarne.
C’era chi esigeva il pagamento di costose cure mediche, chi voleva per i suoi ragazzi borse di studio all’estero, chi pretendeva che la figlia, artista mediocre, venisse accompagnata da prestigiose orchestre filarmoniche, chi chiedeva terreni, donazioni, contributi per campagne elettorali, lavori per i parenti, cash, lobbies e agenzie pubblicitarie che esigevano miliardi per pacchetti di voti. Una piccola mafia olimpica che si arrangiava, sempre più aggressiva, che alzava il suo tariffario, e pretendeva sempre di più. Folklore a Cinque Cerchi in salsa svizzera. Dietro alle ultime decisioni Fifa e assegnazione dei Mondiali di calcio c’è invece una corruzione più sistematica e organizzata. Non qualche bandito, ma una malavita del pallone.

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PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA -
«Questo è solo l’inizio». È l’avvertimento che lanciano le autorità americane, nel giorno in cui un’inchiesta partita da Brooklyn mette in ginocchio la Fifa: sette persone arrestate all’alba in un albergo di lusso a Zurigo, come si farebbe con i boss mafiosi, e quattordici incriminati a New York. Una macchina della corruzione che travolgeva tutto, dall’assegnazione dei Mondiali di calcio, alla distribuzione dei diritti televisivi, e veniva ripagata con tangenti e favori, inclusa la costruzione di una piscina nella casa di uno dei capi. Non è finita, l’inchiesta, perché i magistrati svizzeri stanno indagando ora sull’assegnazione dei prossimi Mondiali in Russia e Qatar, e i colleghi americani non escludono di toccare Sepp Blatter, il presidente della Fifa che insegue il quinto mandato.
L’attacco di Mosca
Mosca ha criticato l’inchiesta definendola «un altro caso di uso extraterritoriale delle leggi americane». Washington però risponde che sta perseguendo crimini avvenuti sul suo territorio. La dietrologia sospetta che l’indagine sia la vendetta degli Stati Uniti, dopo la sconfitta con il Qatar per ospitare la Coppa del Mondo del 2022, ma secondo il dipartimento alla Giustizia e l’Fbi la storia è un’altra. Dopo le polemiche sulla manipolazione dei voti per la rielezione di Blatter nel 2011, e soprattutto quelle sull’assegnazione dei Mondiali a Russia e Qatar, la Fifa aveva fatto il bel gesto di nominare una commissione d’inchiesta indipendente, affidandola all’ex procuratore del Southern District di New York Michael Garcia. Lui aveva lavorato per 19 mesi, consegnando un rapporto di 350 pagine, ma a novembre scorso il governo planetario del calcio si era autoassolto, pubblicando solo un riassunto di 42 fogli. Garcia allora aveva passato le informazioni al capo dell’Fbi James Comey, suo predecessore al Southern District, per verificare se erano stati commessi reati in territorio o con strutture americane. Insieme alle carte, aveva dato anche il nome di Chuck Blazer, ex numero due della Concacaf, cioè la Federazione del Nordamerica e Caraibi, che aveva sede a New York e poi Miami. Blazer non pagava le tasse da anni, oltre 10 milioni di frode, e per salvarsi aveva accettato di collaborare. Così si è scoperto lo schema della corruzione.
Il meccanismo
Il primo passaggio riguardava i diritti televisivi e di marketing, il 70% dei 5,7 miliardi di ricavi incassati dalla Fifa tra il 2011 e il 2014. Secondo l’accusa i dirigenti li vendevano a compagnie private come la Traffic (nomen omen), che in cambio pagavano tangenti. In totale oltre 150 milioni di dollari, che transitavano su banche Usa come JP Morgan, Citibank, Delta National Bank, e altre.
Poi c’erano le tresche per assegnare i Mondiali. Ad esempio Jack Warner, presidente della Concacaf e vice presidente della Fifa, avrebbe mandato un suo emissario a Parigi per prelevare una valigia piena di blocchetti da 10.000 dollari in contanti, che erano il pagamento per favorire la scelta del Sudafrica nel 2010. Warner aveva preso soldi anche per influenzare le elezioni presidenziali del 2011, e ai colleghi che sollevavano dubbi aveva risposto così: «Se siete pii, andate ad aprire una chiesa, cari amici. Il nostro business è il nostro business». Invece José Maria Marin, ex capo della federazione brasiliana Cbf, si era venduto persino la sponsorizzazione della sua nazionale, lamentandosi perché le tangenti andavano al suo predecessore: «È giusto che adesso vengano un po’ da me, no?». Era «il Mondiale della corruzione», ha commentato il capo del fisco americano Irs Richard Weber, annunciando le incriminazioni insieme al ministro della Giustizia Loretta Lynch e al direttore dell’Fbi James Comey. «Noi siamo le vittime di questi traffici», ha risposto la Fifa.
Tre anni di indagini
L’inchiesta è durata tre anni e ha scoperto illeciti che risalgono al 1990. Secondo il procuratore Kelly Currie «l’organizzazione del mondiale in Italia non ne fa parte», ma non ha commentato sulla possibilità che rientri nel futuro dell’indagine. I sette arrestati all’hotel Baur au Lac di Zurigo - che rischiano fino a 20 anni di prigione - sono il capo della Concacaf Jeffrey Webb, quello della federazione costaricense Eduardo Li, Julio Rocha, Costas Takkas, Eugenio Figueredo, Rafael Esquivel e José Maria Marin. Gli incriminati ricercati sono appunto Warner; Nicolas Leoz; gli amministratori delle società di marketing Torneos, Traffic e Full Play, cioè Alejandro Burzaco, Aaron Davidson, Hugo e Mariano Jinkins; e il capo della Valente Corp José Margulies. «Se venite con la vostra corruzione negli Usa - ha avvertito Comey - vi beccheremo». E la Lynch ha aggiunto: «Avete rubato ai bambini innamorati del calcio. Ora la Fifa dovrà fare un esame di coscienza, per decidere se confermare i mondiali in Russia e Qatar, ma la nostra inchiesta è appena cominciata».

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PAOLA ZONCA, LA STAMPA -
Trovare l’uomo chiave dell’operazione Fifapulita è praticamente impossibile. Troppi soldi, troppe mazzette vere o presunte e troppi giri d’affari concentrici che prima di chiamare denaro ne producono in abbondanza. La Fifa si basa su un sistema fatto di soldi, tanti dichiarati, incalcolabili quelli in nero, non tutti e non sempre sono spesi male, anzi, ma il circolo infinito di dollari che non conosce crisi crea un vortice in stile deposito di Zio Paperone dove avidità chiama altra avidità. E non c’è pace.
Cambiare tutto
La Fifa si ritrova nelle stesse condizioni in cui stava il Comitato olimpico prima degli scandali del 2002 e ora se vuole reggere dovrà fare la stessa mossa. La rivoluzione. Nuovi nomi e altre regole ma al momento il sistema Fifa si basa proprio sull’immutabilità, sul circolo chiuso, su un potere che resta sempre nelle stesse mani, garantisce a tutti grandi introiti e visto dall’interno funziona benissimo. Ogni uomo preso con le mani nella marmellata sa che verrà abbandonato, però sa anche che fino a lì vivrà alla grande. La perdita di credibilità non è mai sembrata un problema al governo di pallone. Ogni voce considerata frottola, ogni frode un male inevitabile ed arginabile. Il pantano perpetuo.
L’inchiesta dell’Fbi parte dal 1991 e traccia una scia di bigliettoni che rimbalzano dai conti alle Cayman, girano sulle banche di Hong Kong e tornano in Svizzera. Fondi alleggeriti e pronti ad altro uso. Il mondo del pallone ha dichiarato 4,826 miliardi di dollari di incasso dall’ultimo quadriennio mondiale. Già: la parola magica che attira sponsor, apre porte, unge canali ed evidentemente fa dimenticare ogni decenza. Non è solo la manifestazione più vista al mondo a solleticare scambi illeciti, dentro il calderone della frode denunciato dall’accusa americana ci sono Confederations Cup, tornei minori, pacchetti di diritti tv e persino la Coppa America del 2016 che si gioca proprio negli Stati Uniti. Al Bureau non hanno indagato a caso.
La doppia assegnazione
Lo scandalo più evidente e cristallino resta l’assegnazione dei Mondiali 2018-2022, doppio pacco per essere sicuri di mescolare abbastanza le carte e sovrapporre gli illeciti. La confusione e la molteplicità degli interessi in ballo è sempre lo sfondo in cui si muove la Fifa. L’edizione 2018 è andata alla Russia e quella del 2022 al Qatar, voto segreto deciso da 22 persone: dovevano essere 24 ma due erano già tagliati fuori da un’inchiesta di corruzione. Tanto per capire. E qui siamo agli atti non alle speculazioni. Sempre fatti concreti escono dal rapporto Garcia, una memoria investigativa seguita alle proteste per quei Mondiali assegnati in modo così strano. I conti non tornavano a nessuno il che significa che hanno provato a farli tutti e che il famoso voto di scambio, di cui ci si preoccupava all’inizio del dicembre 2010, era davvero in atto. Doveva esserci un asse Inghilterra-Australia, uno Spagna-Portogallo-Qatar: tu muovi consensi per il 2018, io per il 2022 e siamo tutti contenti. Era già molto al limite però almeno non ancora fraudolento. Peccato che il giochino sia scoppiato perché sono intervenuti fattori esterni. Le bustarelle.
L’indagine censurata
L’indifferente Blatter ha tentato di mostrarsi magnanimo. Ha varato una commissione etica, ci ha messo dentro Michael Garcia, ex procuratore federale americano, e qui parte il labirinto. Garcia ha redatto un rapporto, mai reso noto ufficialmente, la Fifa ne ha prodotto una sintesi e ha concluso che non c’era stata manipolazione nel voto. Garcia ha rigettato la tesi e ha dato le dimissioni. Vi gira la testa? Chiaro, i nonsense si rincorrono e la trasparenza è impossibile perché la Fifa è uno statuto autonomo, risponde solo a se stessa. Non ha pubblicato gli esiti dell’indagine e la normale conseguenza è che sia trapelato un dettaglio al giorno. Ma a questo punto senza più il sigillo dell’autenticità. Il trucco è questo: pasturare all’infinito.
Si parla di più di un milione di dollari passati dal qatariota Mohamed bin Hammam al delegato caraibico Jack Warner, in auge dai primi Anni Novanta, guarda caso la data da cui parte l’inchiesta Usa. Bruciato Warner, ormai troppo chiacchierato, avanti un altro, il suo successore Jeffrey Webb tra gli arrestati di ieri, vice presidente Fifa e soprattutto dell’Internal Audit Committee, l’organismo che controlla soldi e bilanci dall’interno dell’organizzazione e lo fa dalle Cayman, il paradiso del riciclaggio. Tanto smaccato da non sembrare possibile e tanto radicato da funzionare a dispetto di arresti e sospensioni a ciclo continuo. Ognuno guadagna in proprio, ognuno paga per sé quando viene beccato. La Fifa, come la famiglia, non è mai in discussione.

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MARCO LILLO E VALERIA PACELLI, IL FATTO QUOTIDIANO -
La Coppa del mondo del 2010 è stata ospitata dal Sudafrica grazie a una mazzetta di 10 milioni di dollari che non è uscita da un conto qualsiasi ma da quello della Fifa. I soldi vanno alla Federazione del calcio dei Caraibi, la Cfu, feudo di Jack Warner, ex vicepresidente della Fifa, nativo di Trinidad e Tobago, già presidente della Confacaf, la Federazione del calcio che include 40 paesi dalle Bahamas agli USA.
Il Fatto ha consultato le 161 pagine dell’atto di accusa dell’acting attorney dell’Eastern District of New York, Kelly T Currie.
Ieri il portavoce della FIFA ha detto che il presidente Sepp Blatter non c’entra nulla ma sono tante le domande poste dall’atto di accusa di New York sulla strana assegnazione dei mondiali 2010 al Sudafrica. I paesi in lizza nel 2004 erano Egitto, Marocco e Sudafrica. Il Marocco, a detta dell’ex segretario generale della FIFA Charles Blazer (indagato con l’amico Warner e poi diventato una gola profonda dell’inchiesta) offre a Warner un milione ma il Sudafrica può dare di più: 10 milioni di dollari. Lo schema è questo: i soldi vanno alla CFU, la Federazione del Calcio caraibico controllata dallo stesso Warner che gestisce i suoi conti a Trinidad. La copertura è nobile: “supportare la diaspora africana”. Warner spiega a Blazer (il quale poi lo racconta all’FBI) che in realtà ai sudafricani interessano poco le radici comuni: pagano a una condizione, Warner, Blazer e un terzo alto funzionario Confacaf avrebbero votato in blocco per il Sudafrica. Altro che diaspora. A Blazer in cambio del suo voto sarebbe andato un milione. Il segretario generale accetta subito.
Il 15 maggio del 2004 il Sudafrica vince grazie anche ai tre voti e Blazer batte cassa. In realtà c’è un intoppo. Come Blazer spiega e si legge nell’atto di accusa: “I sudafricani non erano in grado di pagare direttamente con fondi del Governo Sudafricano e vennero presi accordi con funzionari della FIFA per avere i dieci milioni invece (che dal Governo sudafricano ndr) con un pagamento dalla FIFA alla CFU. I dieci milioni – secondo Blazer – sarebbero stati altrimenti dati dalla FIFA al Sudafrica per sostenere il campionato mondiale”. In pratica la FIFA gira 10 milioni di dollari che dovevano andare ai Mondiali del 2010 a una Federazione che non c’entra nulla. Perché? E come è possibile che nessuno abbia battuto ciglio a Zurigo? Domande che l’FBI presto potrebbe porre a Sepp Blatter.
Anche perché nel 2008 i dieci milioni partono dal conto svizzero della FIFA alla volta del conto di Trinidad della CFU e della Confacaf, nella disponibiolità di Jack Warner con quattro i bonifici firmati da “un funzionario di alto livello della FIFA”. L’ultimo è del 7 marzo 2008: 7 milioni e 787 mila dollari. Poi “una parte sostanziale” dei soldi dal conto di CFU escono “per il suo uso personale”. A Blazer vanno ‘solo’ 750 mila dollari.
In realtà l’affare della coppa del mondo del 2010 in Sudafrica per il 72enne Warner è il coronamento di una scalata al calcio mondiale iniziata trenta anni prima insieme all’alleato di mille battaglie: il ras del calcio del Paraguay, l’86enne Nicolas Leoz. Se Warner scalava il Nordamerica con la Confacaf, Leoz diventava il ras del Sudamerica con la Conmebol. Nel 1986 Leoz prende il potere e si lega a una grande impresa dei diritti tv: il Traffic Group del brasiliano Jose Hawilla: dal 1987 al 2011 la Traffic ha l’esclusiva dei diritti della Copa America. L’esplosione dell’interesse per il calcio negli Stati Uniti e l’aumento dei telespettatori e degli sponsor moltiplicano potere e mazzette per Leoz e Warner.
Secondo l’accusa, Traffic (nome sfortunato) non è sola. Una società concorrente paga mazzette per i diritti della Coppa Libertadores. E pagavano mazzette – sempre per l’accusa – anche altri colossi dei diritti tv in America come Torneos, controllata da Alejandro Burzaco, e Full Play controllata da Hugo e Mariano Jinkis. Poi gli scandali determinano la caduta del terzetto: nel maggio 2011 Warner è costretto a dimettersi. Alla fine del 2011 lascia Blazer e nell’aprile 2013 tocca a Leoz. Però, secondo l’accusa, tutto continua come prima. Nell’aprile 2014 Eugenio Figuieredo subentra alla presidenza del Conmebol al posto di Leoz. Poco dopo la Traffic, Torneos e Full Play mettono insieme le forze e creano la società Datisa: una grande alleanza per una grande mazzetta da 110 milioni di dollari in cambio dell’esclusiva della Coppa America. Nell’atto di accusa si legge che dei 317,5 milioni di dollari pagati da Datisa a Conmebol per l’esclusiva sulle edizioni 2015, 2019 e 2023 più il Centenario da disputarsi in USA l’anno prossimo, Datisa promette 110 milioni di mazzette. Quaranta milioni sono stati già pagati.
Sparite le vecchie glorie, le nuove generazioni promettono bene: Daryan Warner è il figlio maggiore di Jack. Come il padre è finito nel mirino dell’Fbi che lo accusa di aver guadagnato sulla vendita dei biglietti della World cup 2006 e 2010. Daryan è accusato di aver ottenuto biglietti dalla FIFA grazie a documentazione falsa per poi venderli a un broker che vive in Florida. Il broker li rimetteva sul mercato grazie ad agenzie di viaggio e tour operator.

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GIANNI DRAGONI, IL SOLE 24 ORE -
«Il calcio è più importante dell’insoddisfazione delle persone». Questa frase, che non sfigurerebbe in bocca a diversi dirigenti del calcio nostrano, Sepp Blatter l’ha pronunciata nel giugno 2013. Lo fece a proposito delle manifestazioni in Brasile contro i costi eccessivi e le condizioni di lavoro di chi stava costruendo gli stadi per i mondiali.
Seduto su una montagna di milioni di dollari, il presidente svizzero della Fifa, in carica dal 1998, ma prima per altri 17 anni era stato segretario generale - cioè numero due - della potente Federazione del calcio mondiale, fino a ieri era pronto a incassare la quinta elezione alla guida dell’organizzazione laica probabilmente più potente della terra. La Fifa ha più associati perfino dell’Onu, 209 Stati contro i 193 delle Nazioni Unite. In seguito agli arresti di ieri e alle accuse di corruzione provenienti dall’Fbi, il settantanovenne Blatter è preoccupato. Ma non ha intenzione di ritirare la candidatura alle elezioni previste per domani a Zurigo.
Blatter è sempre uscito indenne dagli scandali e polemiche in cui è finito fin dalla prima elezione, ogni volta più forte, malgrado in alcuni paesi goda di fama di impresentabile. Blatter ha dribblato anche lo scandalo per l’assegnazione dei mondiali del 2022 al Qatar, argomento che è oggetto dell’indagine dell’Fbi insieme all’assegnazione dei mondiali 2018 alla Russia.
Secondo un’inchiesta pubblicata un anno fa dal Sunday Times, l’ex vicepresidente della Fifa, ex delegato Fifa per il Qatar ed ex boss della Federazione asiatica, Mohamed Bin Hamman, avrebbe pagato mazzette per oltre 5 milioni di dollari, soprattutto ai votanti africani nella Fifa, per assegnare nel 2010 i mondiali al Qatar. Lord David Triesman ex vicepresidente della federazione calcio inglese, ha attaccato Blatter: «Ho paura che la Fifa sia guidata come una famiglia di mafiosi. Ha una lunga tradizione di bustarelle, tangenti, e corruzione». Blatter, annunciando la sua ricandidatura alla Fifa, ha affermato che sulla decisione di assegnare i mondiali al Qatar hanno influito “le pressioni” del governo francese. Un modo per scaricare la colpa sul rivale Michel Platini, amico dell’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani. Alla vigilia dell’assegnazione dei mondiali, Platini accompagnò l’emiro dal presidente Nicolas Sarkozy. E il figlio di Platini, avvocato, dal 2011 lavora per il gruppo del Qatar che è proprietario del Paris Saint Germain.
Il potere di Blatter si fonda sui soldi, sulla ricchezza che ha portato alla Fifa con il marketing sportivo e la vendita dei diritti tv, grazie al sodalizio d’affari con Horst Dassler, erede del fondatore dell’Adidas. Blatter è stato eletto segretario generale della Fifa nel 1981, sostenuto dal padrone dell’Adidas.
Nel 2001 Blatter si trovò di fronte al fallimento della Isl, la chiacchierata società (svizzera, ovviamente) che commercializzava diritti sportivi per la Fifa. Blatter evitò il buco nei conti cartolarizzando i crediti per i diritti commerciali e tv del mondiale del 2002. A prendersene carico, per il 2002 e anche per il 2006, è stata la Infront, società svizzera dall’azionariato misterioso. I conti di Blatter con i 2,1 miliardi garantiti da Infront erano salvi. Nel 2006 al vertice della Infront è arrivato Philippe Blatter, nipote del presidente Fifa.
La Infront nel 2011 è stata venduta da tre soci svizzeri al fondo britannico Bridgepoint, per 600 milioni. Tre mesi fa è stata comprata per 1,05 miliardi di euro dal gruppo cinese Wanda del miliardario Wang Jianlin. La Infront ha continuato a lavorare per la Fifa fino ai mondiali in Brasile del 2014, in Italia - guidata dall’ex Fininvest Marco Bogarelli - è l’advisor della Lega per vendere i diritti tv della serie A. Alla guida del gruppo Infront c’è sempre il nipote di Blatter. E il velo di mistero su chi fossero i veri proprietari di Infront non si è mai alzato.
Gianni Dragoni

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MARCO VALSANIA, IL SOLE 24 ORE -
Il calcio mondiale sale alla sbarra per rispondere di una corruzione «rampante, sistemica e radicata». Il primo grande caso fatto scattare dal nuovo segretario alla Giustizia americano, Loretta Lynch, ha scardinato l’oscuro impero multimiliardario della Fifa: Lynch e la procura federale di Brooklyn, da lei stessa guidata fino alla nomina a ministro, hanno incriminato per truffa, giri di tangenti, riciclaggio e associazione a delinquere - in tutto 47 reati che delineano una malversazione endemica e istituzionalizzata - ben 14 tra alti funzionari dell’organizzazione mondiale del pallone presieduta dal controverso Joseph Blatter ed esponenti del marketing sportivo.
L’accusa è aver intascato o pagato oltre 150 milioni di dollari di tangenti in una giostra criminale dal 1991 ad oggi - 24 anni, 17 sotto il “governo” di Blatter - nei quali sono stati messi in palio al miglior offerente sottobanco sia diritti media e sponsorizzazioni che poltrone al vertice e assegnazione di tornei, dai mondiali a qualificazioni e coppe regionali.
Le manette per i primi sette arrestati - che comprendono il vicepresidente Fifa Jeffrey Webb, responsabile dell’associazione di Nordamerica e Caraibi Concacaf - sono scattate alle sei del mattino a Zurigo, quando agenti svizzeri in borghese sono giunti al lussuoso Baur au Lac Hotel dove i vertici Fifa sono riuniti per rieleggere Blatter venerdì al suo quinto mandato dal 1998. Quel voto, anche se Blatter non è fra gli accusati, avviene ora sotto pesanti ombre. Né le indagini sono finite. Resta aperta la pista negli Stati Uniti, che hanno giurisdizione perché la corruzione è stata concepita in parte negli Usa e i pagamenti illeciti sono passati per banche americane. È inoltre coinvolto il fisco per possibili reati di evasione.
Ma una inchiesta parallela è ormai decollata in Svizzera, sulla decisione di svolgere i prossimi due campionati mondiali in Russia nel 2018 e in Qatar nel 2022, da tempo al centro di sospetti di irregolarità. Le autorità elvetiche hanno fatto sapere ieri di aver sequestrato materiali rilevanti durante una perquisizione del quartier generale della Federazione mondiale sempre a Zurigo.
Lynch, che ha chiesto l’estradizione degli incriminati nel rispetto dei trattati con la Svizzera, ha descritto con parole taglienti un j’accuse di 161 pagine contro le pratiche di un’organizzazione che controlla il più popolare sport del pianeta e vanta entrate per 5,7 miliardi negli ultimi quattro anni: «Hanno corrotto il mondo del calcio per arricchirsi - ha detto affiancata dal direttore dell’Fbi James Comey durante una conferenza stampa a Brooklyn -. Due generazioni di funzionari Fifa hanno usato la loro posizione per sollecitare, ripetutamente e per anni, tangenti».
Ha fatto esempi: «Per la Coppa America del 2016 negli Stati Uniti i pagamenti illeciti hanno raggiunto i 110 milioni, un terzo del costo del torneo. E tangenti sono state pagate per gli storici mondiali del 2010 in Sudafrica e le elezioni dei vertici Fifa nel 2011». Insomma «hanno influenzato le decisioni su chi gestisce l’organizzazione, chi ospita le partite e chi le trasmette». Ancora, più in dettaglio: Jack Warner, ex vicepresidente Fifa e presidente di Concacaf, ha stornato fondi per comprarsi casa a Miami nel 2005. Incriminati anche numerosi esponenti dell’associazione latinoamericana, Conmebol, spesso parte del comitato esecutivo Fifa.
A conti fatti finora i funzionari dell’organizzazione nel mirino sono nove, cinque i dirigenti di società di marketing o media che gestiscono poi a cascata i diritti. Quattro manager e due società di marketing hanno firmato ammissioni di colpa. L’americana Nike, sospettata di aver pagato tangenti per la sponsorizzazione del Mondiale in Brasile nel 2014 ha fatto sapere che «sta collaborando con le autorità e continuerà a farlo», precisando però di non essere sotto accusa per alcun reato.
L’inchiesta statunitense, durata 19 mesi, era partita all’indomani delle polemiche sulla scelta di Russia e Qatar per i futuri mondiali e dopo che un’indagine interna alla Fifa, affidata all’ex procuratore americano Michael Garcia, era stata archiviata. «Questo è un momento molto difficile per il calcio, i tifosi e la Fifa come organizzazione - ha dichiarato Blatter -. Accogliamo con favore le azioni e le indagini delle autorità americane e svizzere» che secondo il presidente della Fifa si sarebbero messe in moto in seguito alle sue indagini interne.
Marco Valsania

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MARCO BELLINAZZO, IL SOLE 24 ORE –
Sette dirigenti arrestati, quattordici persone messe sotto accusa e un braccio di ferro politico-economico in vista del Mondiale 2026. Lo scandalo su corruzione e riciclaggio che ha sconvolto la Fifa nell’immediata vigilia delle elezioni presidenziali (il 29 maggio) nasce anche sullo sfondo di uno scontro tra superpotenze con in palio l’edizione da assegnare dopo quelle di Russia 2018 e Qatar 2022, quest’ultima vero e proprio pomo della discordia tra Stati Uniti e Fifa. Non saranno soltanto gli Usa infatti a scendere in campo per aggiudicarsi la massima manifestazione sportiva planetaria in programma tra 11 anni: dopo aver perso la corsa al Mondiale 2022, gli americani si imbatteranno nella pericolosa concorrenza di due mercati calcistici in piena espansione come India e Cina (grandi elettori di Joseph Blatter) forti di un rilancio dei loro campionati e di investimenti su club di prima fascia.
Da un lato la Indian Super League, sostenuta dalle multinazionali indiane con l’appoggio di grandi società europee come Atletico Madrid e Manchester City, dall’altro la Chinese Super League retta dalla ferma volontà di Pechino di recitare a pieno titolo nel palcoscenico del calcio globale, come dimostrano l’ingresso del gruppo Wanda nell’Atletico Madrid e le continue voci di possibili investimenti provenienti proprio dalla Cina per il nuovo corso del Milan. Assicurarsi l’organizzazione della più importante competizione calcistica del pianeta, d’altro canto, vale un giro d’affari complessivo che oscilla tra i cinque e i sette miliardi di euro, ed in continua ascesa.
Per gli Usa è stata una beffa la sconfitta contro il Qatar per il 2022. Il comitato americano aveva addirittura ritirato la candidatura per la Coppa del Mondo del 2018, assegnata in seguito alla Russia, avendo la quasi certezza di ottenere la vittoria per il mondiale successivo. Ma alla quarta votazione fu il Qatar a spuntarla per quattordici voti a otto, dando adito sin da subito a tesi cospirazioniste su presunte tangenti versate per indirizzare il voto.
Accuse che hanno portato la Fifa a svolgere un’inchiesta interna, volta a chiarire una volta per tutte le modalità di assegnazione del Mondiale al Qatar, ma nel novembre scorso, concluse le indagini, la Fifa ha confermato le assegnazioni dei due eventi a Russia e Qatar, archiviando un rapporto di 350 pagine stilato dal capo degli inquirenti, l’americano Michael Garcia. Lo stesso Garcia, appoggiato dalla Federazione inglese e da quella tedesca, si è dissociato dalla decisione del massimo organo mondiale, definendo la lettura del fascicolo «erronea ed incompleta».
Da quel rapporto di Garcia si arriva all’inchiesta odierna, nei due filoni seguiti dall’Fbi e dalla Procura federale svizzera: le accuse mosse dalle autorità americane sono di frode, riciclaggio e corruzione per fatti risalenti agli ultimi vent’anni, mentre le indagini elvetiche puntano a scoperchiare il vaso di Pandora sulle presunte tangenti legate all’assegnazione dei Mondiali alla Russia per il 2018 e al Qatar nel 2022. Una cifra che supera i cento milioni di dollari, quella girata nel corso di questi anni ai vari rappresentanti della Fifa per ottenere voti sin da Sudafrica 2010.
Sotto inchiesta ci sono elementi di spicco della Concacaf e della Conmebol, massimi organismi rispettivamente dell’America settentrionale e del Sudamerica: tra questi sono finiti in manette Eugenio Figueredo, numero uno della Conmebol ed ex vicepresidente della Fifa, e Jeffrey Webb, vicepresidente del comitato esecutivo Fifa. Sono coinvolti inoltre manager del marketing sportivo, con accuse di corruzione legate agli accordi per i diritti tv e marketing.
Il procedimento aperto dalla Procura federale svizzera, ovvero l’inchiesta contro ignoti con l’ipotesi di riciclaggio e gestione sleale riferita alle assegnazioni dei Mondiali a Russia e Qatar, è separato da quello della Fbi.
Loretta Lynch, attorney general degli Stati Uniti, ha denunciato un’attività di corruzione che va avanti dal 1991. Un attacco diretto, che non riguarda però il presidente Joseph Blatter: «Al momento è così però siamo solo all’inizio».
Il portavoce internazionale Walter De Gregorio ha ribadito l’estraneità di Blatter e negato le voci su un possibile rinvio del Congresso (chiesto dalla Uefa): «Si andrà avanti col programma e i Mondiali del 2018 e del 2022 si svolgeranno come previsto in Russia e Qatar».
Questi scandali si uniscono alle polemiche sulle elezioni presidenziali, che si terranno nella giornata di domani. Joseph Blatter è vicino alla quinta rielezione consecutiva, essendo rimasto in corsa col solo Ali Bin Al Hussein come concorrente. Negli scorsi giorni, l’ex calciatore Luis Figo ha ritirato la propria candidatura, denunciando un «potere assoluto» di Blatter e il malaffare che circola all’interno della Fifa. Parole che, ad oggi, sembrano profetiche.
Marco Bellinazzo

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FABIO LICARI, LA GAZZETTA DELLO SPORT -
FABIO LICARIInviato a Zurigo
Se non fosse la Fifa, che con Blatter balla vertiginosamente sugli scandali e quasi se ne alimenta, protetto dal muro di gomma che si è costruito nei decenni, il doppio colpo di ieri sarebbe stato mortale. Due inchieste clamorose, esplose in contemporanea, con timing perfetto. Da un lato l’America – proprio gli Usa, nel senso del ministero della giustizia e dell’Fbi – che sbarca sulle macerie Fifa come marines in Normandia, come un reggimento nel West: arresta con un blitz all’alba sette alti dirigenti riuniti a Zurigo per il Congresso e poi, in videoconferenza mondiale, elenca una striscia squallida di accuse, di 47 reati contestati compresi corruzione, riciclaggio ed estorsione, svolti per 24 anni. Dall’altro l’inchiesta svizzera, cominciata a novembre su input della stessa Fifa, che blocca conti correnti e suggerisce quello che tutti sanno – che Russia 2018 e Qatar 2022 siano stati comprati –, minacciando di cambiare la geografia dei prossimi Mondiali. E minacciando lo stesso trono di Blatter a 48 ore dalle elezioni che ora l’Uefa chiede di rinviare. Tutto questo se non fosse la Fifa che, travolta e insanguinata dagli scandali, si dice contenta, per ordine del presidente, «perché questo aiuterà a far pulizia». Non è detto che Blatter perderà il trono, non è detto che il Mondiale cambierà sede, ma pochi giorni sono stati più neri di questo.
USA: GLI INCRIMINATI Lo scandalo scoppia all’alba. Nel lussuosissimo Baur au Lac, l’hotel che accoglie i dirigenti Fifa a Zurigo, scatta una retata segreta ordinata dall’Fbi. In totale gli arresti saranno 7, dei quali 3 membri dell’Esecutivo Fifa: Jeffrey Webb (Cayman, presidente del Nordamerica), Eduardo Li (Costa Rica), Eugenio Figueredo (Uruguay), più l’ex presidente federale del Brasile José Maria Marin, più Julio Rocha, Costas Takkas e Rafael Esquivel. Per loro, che però si oppongono, è stata chiesta l’estradizione veloce negli Usa. Ci sono poi altri 7 indagati, tra cui Jack Warner (ex presidente Nordamerica). Due su 14 avrebbero già confessato.
USA: LE ACCUSE Il quadro, illustrato da Loretta Lynch, che Obama ha da poco nominato ministro della giustizia, è rivoltante. Si tratta di un vero e proprio sistema di corruzione che va avanti da 24 anni. Dal 1991. Due generazioni di dirigenti nordamericani (Concacaf) e sudamericani (Conmebol) che «hanno abusato della loro posizione richiedendo e ottenendo tangenti da parte di società di marketing in cambio dei diritti di vari tornei calcistici. Lo hanno fatto per anni, torneo dopo torneo». Un giro di tangenti che riguarderebbe anche i Mondiali in Russia e Qatar, la Coppa America 2016 negli Usa (per oltre 110 milioni di dollari), le elezioni Fifa 2011 (quelle con l’esclusione di Bin Hammam). E altro. Tra i 47 capi d’accusa l’estorsione, il più grave, prevede pene massime di 20 anni.
USA: I RETROSCENA Mancherebbero alla lista almeno due nomi eccellenti, l’argentino Grondona (morto da poco) e il brasiliano Teixeira, ma non c’è dubbio che tutto cominci proprio con la scoperta delle tangenti che Warner, per conto di Bin Hammam, aveva pagato in Nordamerica in cambio del voto 2011. E la gola profonda è l’ex segretario nordamericano Chuck Blazer, che sa tutto di tutti (essendo stato tra i beneficiari). Gli incroci finanziari con il Sudamerica, cresciuti nel tempo, hanno portato all’allargamento del sistema nel continente. Il nome di Blatter non è mai stato fatto, non è indagato: ma per la Lynch «siamo soltanto agli inizi», e comunque per l’ennesima volta, come minimo, non ha vigilato. «Pagamenti segreti e illeciti, tangenti e mazzette sono diventate il modo di fare affari nella Fifa», ha detto il direttore dell’Fbi, James Comey. La Fifa è corrotta e l’esercito americano non è corso a salvarla.
SVIZZERA: LE ACCUSE Il secondo filone d’inchiesta, paradossalmente, è il più pericoloso. L’incrocio con il primo è il famoso rapporto indipendente Garcia con il quale l’ex pm newyorchese ha svelato le trame di corruzione Fifa. Rapporto secretato dalla stessa Fifa ma ora sarà pubblico. Una farsa. Rapporto che spiega come l’assegnazione dei Mondiali in Qatar e Russia sia stata corrotta. Il giudice ha fatto bloccare conti bancari Fifa in Svizzera e vuole interrogare Blatter, Platini, Villar, D’Hooge e altri membri dell’Esecutivo. Se fosse trovata la famosa «pistola fumante», le sedi potrebbero essere rivotate. Gli Usa furono sconfitti dal Qatar, pur avendo il miglior dossier, e Obama si infuriò. Il loro accanimento è spiegato anche così.
FIFA-UEFA: CONTRASTO Tutto questo a 48 ore dalle presidenziali che Blatter avrebbe rivinto facilmente. Blatter si difende spiegando che «l’azione del pm svizzero è partita dal fascicolo da noi presentato a novembre», che questa pulizia aiuterà la Fifa, e inoltre sospende 11 membri. Davvero una posizione non difendibile, in una situazione oltre i limiti delle dimissioni. E l’Uefa, finora abbastanza timida, quasi senza strategia elettorale, va all’assalto e propone il rinvio delle elezioni. Tra sei mesi. Saranno ore cruciali, le prossime. Platini si dice «stupito e preoccupato».
La Russia intanto fa la minacciosa affermando che la sua candidatura era «pulita» e accusando l’America di aver abusato del suo potere «imponendo illecitamente le sue leggi». Maradona si scaglia contro il «nemico» Blatter: «Avevo ragione, visto?, e mi davano del pazzo». E lo chiama «ladro». L’ex presidente Uefa Johannsson chiede che il 2018 sia spostato in Inghilterra. Un inferno. Ed è soltanto cominciato. Non è facile immaginare cosa succederà nelle prossime ore e la gravità delle altre rivelazioni. Ma, se Blatter sopravvive a questo terremoto, nessuno mai potrà più sconfiggerlo.
(ha collaborato da New York Simone Sandri)