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 2015  maggio 23 Sabato calendario

L’AMORE IN ANALISI


Cosa raccontano le donne all’analista quando parlano d’amore? Sogni da decifrare, illusioni coltivate a lungo, o il bisogno di metabolizzare il dolore dell’abbandono. Storie di uomini che non le hanno capite, tradimenti, passioni improvvise, fulmini che attraversano la vita e la scardinano.
Simonetta Diena, psichiatra e psicoanalista, ha raccolto le confessioni e le sue riflessioni nel saggio appena pubblicato In psicoanalisi in ascolto dell’amore: passioni e legami, che con insoliti riferimenti al cinema, alla poesia, alla letteratura, indaga «la natura terribile e insondabile delle passioni, quel groviglio che comprende il desiderio, la necessità, la paura della solitudine, la felicità insostenibile».
Parla di fusione, di nostalgia e di assenza. Del rischio di essere innamorati dell’amore, della sua impossibilità, che scambiamo per romanticismo, e invece è una spinta distruttiva. Arriva a una conclusione spiazzante: l’amore non è sopravvalutato, anzi è sottovalutato. «Il bisogno di essere amati è il prototipo di ogni bisogno umano, altrimenti soffriamo, moriamo. Non possiamo spiegare il perché, ma il come sì. L’amore per l’altro è sempre dentro di noi, anche se è finito». Possibile? Per spiegarlo, Diena ricorre a una leggenda hassidica: «Un rabbino di molti secoli fa, in una lontana regione dell’Est, ogni volta che desiderava si verificasse un miracolo si recava in una certa località, in un certo bosco, bruciava un particolare tipo di legname, recitava una preghiera. E il miracolo si realizzava. Generazione dopo generazione tutto si perde: il nome del bosco, della regione, le parole della preghiera. Soltanto l’ultimo Rabbi, nella sua casa, ricorda che era possibile far accadere il miracolo, e il miracolo accade. Così, anche noi abbiamo perduto il luogo dove c’è stato l’amore originario, le parole, il fuoco che lo alimentava, il bosco che lo accoglieva, ma non la memoria. Se hai ricevuto amore, se ti ha fatto del bene, sarai capace di amare ancora». E succede, anche se si parte da una perdita, da una negazione.
Sono i sogni a indicare la strada, ma in che modo? «Certe donne si vedono senza un braccio o una gamba, riflesse da uno specchio deformante, con una bara nel soggiorno – e non è male, perché la morte del sentimento è stata accettata – le stanze devastate, i mobili a pezzi, i ladri entrati in casa (e la porta era sbadatamente rimasta aperta), la cassaforte svuotata. La prima reazione è l’incredulità, la negazione: non è possibile, com’è potuto succedere? Qui comincia una ricerca che può andare anche molto lontano, all’adolescenza, all’infanzia. Narrando il presente e il dolore che proviamo, facciamo i conti con un passato del quale spesso non siamo coscienti. Per esempio, l’indifferenza sofferta da certi bambini non voluti, o cresciuti da un uomo e una donna che sono rimasti insieme, detestandosi freddamente, produce danni inimmaginabili».
Ogni storia è diversa, ma tutte possono insegnarci qualcosa, per questo molte si specchieranno nel catalogo di anime ferite raccolto da Simonetta Diena. «Prendiamo Francesca: soffre perché si trova sempre a essere un intermezzo nelle vite di altri uomini, sposati, inaffidabili, distanti. Dice questa frase: “Non riuscivo a capire cosa volevano all’inizio da me, e perché non gli andavo più bene dopo”. Durante una seduta le racconto la storia del coniglio di una mia amica: lo trova sul balcone, sepolto dalla neve, quando poteva benissimo ripararsi sotto la tettoia. E Francesca si riconosce nell’animaletto incapace di trovare rifugio, paralizzato, come la madre era bloccata e impotente davanti alle accuse del padre. A poco a poco comincia a investire in persone più attente ai suoi bisogni, più in sintonia con ciò che desiderava e che poteva offrire».
Poi c’è la moglie di un boss mafioso, un periodo di analisi lungo e tormentato. «Elisabetta era bellissima», ricorda Diena, «elegante e curata, ma dormiva un paio d’ore a notte, si alzava per mangiare, aveva paura del buio, fumava dieci, venti sigarette, si svegliava terrorizzata. Il marito, che all’inizio aveva visto quasi come un eroe romantico, era stato ucciso. Era stata una passione totale, assoluta, che aveva compensato le mancanze dell’infanzia. Attraverso l’analisi Elisabetta ha riscritto la sua storia, ha accettato i deficit dei genitori e la dimensione violenta del marito». Non manca la dolorosa normalità dei legami che si spezzano logorati dal tempo. C’è una costante? «L’idea che a un certo punto non abbiamo scelta. Penso a Emma Uno, che si innamora di un uomo bellissimo, lo sposa e poi scopre di essere tradita, una due, più volte. Resiste, hanno una figlia, ma si rende conto che non può accettare quella pluralità di storie. Sente di non avere alternative quando si separa. Emma Due invece lascia il marito in nome della passione per un altro, anche se ha la sensazione di commettere un errore. Lo sposa, ha un bambino. Scopre di essersi consegnata a un uomo possessivo e bugiardo, che la svaluta, la controlla, le fa lasciare il lavoro, la rende economicamente dipendente. Non divorzia. Va a vivere vicino alla madre dalla quale era fuggita e che non era mai riuscita a separarsi dal marito traditore, si chiude ogni via d’uscita, non le sembra di averne». Invece non è così. Spesso non siamo in grado di vedere le possibilità, le occasioni.
Sull’amore ci facciamo domande eterne, invariabili. Perché non dura? Perché possiamo stabilire un legame profondo, passionale con una sola persona alla volta? Le risposte possono anche non piacerci, ma sono dentro di noi, non fuori. «Cerchiamo di rivivere il legame materno, il momento in cui siamo stati accolti, nutriti, in una fusione assoluta. Il punto di partenza è quello. E quando scegliamo le persone sbagliate, riviviamo un trauma antico di esclusione e perdita».
Contro i sentimental-pragmatici, Simonetta Diena invita a coltivare l’illusione, a proteggere il capitale emotivo, consiglia quando si può, finché si può, di non separarsi perché l’investimento non vada perduto: «Odiare è molto più facile che riconciliarsi. Con il tradimento tutto cambia. Madri che piangono tutto il giorno, mariti che fantasticano vendette terribili (quante voci nella stanza dell’analista!). Meglio mandare all’aria tutto che compiere un percorso lungo e doloroso di riflessione. Eppure, dietro quel volto che ci sembra cambiato, c’è la stessa persona che abbiamo amato e ha amato noi. Possiamo provare a riparare i danni, a rimettere insieme i pezzi». Ma con quale modello? I semidei hollywoodiani (la nidiata dei Brangelina), le icone della famiglia perfetta? «No, affatto. Nella normalità il vicino di casa conta più della star. Certo, ci sono le mogli-trofeo, le milf, le cougar e i toy boy, c’è l’imitazione dei comportamenti, ma ogni storia è speciale, eppure profondamente simile alle altre nei suoi elementi essenziali. La vita passa nell’attesa e nella promessa di un amore felice, come un fiume scorre verso il mare. Dobbiamo essere capaci di portare il peso dell’amore sulle spalle».