Eric Salerno, Il Messaggero 23/5/2015, 23 maggio 2015
BASHAR, DITTATORE SOTTO ASSEDIO «SE CADO IO RESTA SOLO IL CAOS»
Bashar al-Assad non studiò da dittatore. Ed è chiaro a tutti, ormai, il risultato del suo sforzo di adattarsi a seguire le orme del padre, considerato anche dai suoi più accesi critici come il cinico capo della diplomazia americana Henry Kissinger uno «statista eccezionale» in un mondo che attribuiva anche ai tiranni valori positivi. Il “trono” di Damasco era destinato a suo fratello maggiore, ma quando Basil morì in un incidente d’auto (Forse un complotto di palazzo), toccò, nel 2000, al giovane laureato in medicina. Un’eredità difficile. Assad padre, un po’ come Gheddafi in Libia e Mubarak in Egitto, era riuscito a mantenere la coesione di una nazione religiosamente ed etnicamente divisa e aveva contribuito, come gli altri dittatori, a una certa stabilità regionale. Bashar accettò come un principe la successione che suo padre aveva destinato alla famiglia e al loro gruppo religioso alawita, una branca dello sciismo. Senza riforme, era destinato a fallire ma non ebbe il coraggio o non gli fu permesso dai duri del regime e dalla forte casta dei burocrati di attuare tutte quelle che lui stesso, nel succedere al padre, aveva promesso.
LE PRIMAVERE ARABE
La Siria, nel gennaio 2011 era matura per l’esplosione arrivata sulla scia dei cambiamenti di regime in Tunisia, Egitto e Libia. Le proteste popolari di chi chiedeva riforme politiche, diritti civili e la fine dello stato d’emergenza si allargarono. E molti paesi, in quel clima di speranza della cosiddetta "primavera araba", chiesero le dimissioni di Assad.
A quasi quattro anni dall’inizio della primavera siriana, quelle stesse cancellerie che offrivano come soluzione ottimale la fine del regime di Assad hanno fatto un passo indietro. Bashar in una recente intervista alla Bbc si è difeso affermando di essere il vero bastione contro l’avanzata dal califfato islamico. Kissinger, ancora sulla breccia, sostiene che Assad deve restare fino a quando non sarà trovata una soluzione che, dice, deve passare attraverso un accordo con Mosca e senza dimenticare l’Iran, nazione guida del mondo sciita che insieme agli hezbollah del Libano hanno consentito al regime di Damasco e al suo esercito, sempre più debole e demoralizzato di sopravvivere. Washington agisce militarmente contro l’Isis in Siria, indirettamente aiutando Assad mentre il dittatore fa finta di criticare l’intervento americano.
PALMIRA
Il successo dell’Isis a Palmira è un colpo duro al regime ma il dittatore conta su ciò che gli rimane delle armi, sulle contraddizioni regionali dove vede vecchie alleanze come quella tra Arabia Saudita e Stati Uniti tentennare di fronte alle preoccupazioni di Riad per gli accordi sul nucleare con Teheran e, soprattutto, sulla consapevolezza che prima di abbattere il suo regime il presidente Obama e quasi tutti gli europei sono sempre più convinti che sia necessario trovare una formula per il futuro della Siria. Rispondendo recentemente alle domande di un giornalista di Paris Match, che gli chiedeva se la sua cacciata poteva essere una soluzione, Bashar al Assad non poteva non appellarsi alla recente storia. «Nessun presidente può essere deposto attraverso il caos. La prova tangibile è il risultato della politica francese quando attaccarono Gheddafi. Quale fu il risultato? Il caos. Le cose sono migliorate? La Libia è diventata una democrazia?».