Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 23/5/2015, 23 maggio 2015
LO STATO DEL CALIFFO È QUASI UNA REALTÀ
Una piana arida e ventosa si distende tra le regioni della Siria nord-occidentale e quelle dell’Iraq nord-orientale. Per attraversarla da un capo all’altro non c’è più bisogno di un visto, né di sottoporsi ai controlli della dogana. Semplicemente perché qui non esistono più frontiere. Questo è il regno dell’Isis, un territorio esteso quanto la Gran Bretagna dove il “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi ha creato un embrione di Stato in cui vivono, distribuiti in diverse città, almeno otto milioni di persone.
Se sulla mappa il Califfato aveva prima le sembianze di un territorio frammentato, a macchie di leopardo, le cose ora stanno cambiando. Quasi che il “califfo” abbia deciso di voler dare continuità territoriale al suo “Stato”, che ormai copre oltre la metà della Siria e un terzo dell’Iraq. Operazione che al-Baghdadi sta portando avanti con successo nonostante i martellanti raid aerei della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti.
L’ultimo successo risale a ieri: dopo la conquista del sito archeologico di Palmira in Siria, e della strategica città irachena di Ramadi, i jihadisti hanno preso il controllo di al-Tanaf, l’ultimo valico di confine tra Siria e Iraq ancora in mano alle forze di Damasco. Una conquista che consente loro di avanzare nella Siria centro-orientale e collegarsi alla provincia irachena di al-Anbar.
Come è potuto avvenire tutto ciò? Chi punta il dito sulla disorganizzazione dell’esercito iracheno non ha certamente torto. Così come chi evidenzia le diverse anime del fronte anti Isis - peshmerga curdi, milizie sciite iraniane, alcune tribù sunnite - gruppi con interessi divergenti e poco coordinati. Ma ancora una volta la battaglia che si deve vincere si gioca su un altro campo: quello del counter-insurgency. Portare dalla propria parte i sunniti iracheni. Senza di loro l’Isis non può essere vinto. Discriminati dal Governo sciita di Baghdad per anni, i sunniti avevano già mostrato la loro insofferenza sollevandosi in diverse aree del Paese. L’avanzata dello Stato islamico è arrivata come una sorta di rivincita.
E oggi agli occhi di non pochi di loro accettare l’idea di vivere sotto il gioco delle leggi oscurantiste dell’Isis è preferibile che vivere in balia delle discriminazioni e delle ritorsioni delle milizie sciite filoiraniane (Hashid Shaabi). Le feroci rappresaglie contro i civili compiute in marzo dalle Hashid Shaabi dopo la riconquista di Tikrit sono state l’ultimo segnale della sete di vendetta che anima la componente più oltranzista degli sciiti iracheni. Pur non condividendo né l’ideologia né i mezzi brutali dell’Isis, diverse tribù sunnite, obtorto collo, vedono ora nell’Isis il loro esercito.
La bandiera nera dello Stato islamico rischia dunque di essere il male minore.La soluzione ci sarebbe. Mostrare ai sunniti che il Governo di Baghdad è davvero interessato a concedere loro più poteri e autonomia. E procedere all’addestramento militare e alla consegna di armi a quelle tribù sunnite che ancora vedono nell’Isis la minaccia peggiore.
Ma il tempo stringe. Al di là delle promesse, anche il neo-premier iracheno Haydar al-Abadi ha fatto davvero poco. Potrebbe esser perfino troppo tardi. Ma bisogna provare. Se l’Isis sottoporrà ancora per qualche anno le menti malleabili di milioni di giovani al suo fanatico “lavaggio” riuscirà ad avere a disposizione un esercito di aspiranti kamikaze. Ragazzi indottrinati a tal punto da far loro il motto di Osama Bin Laden: «Noi amiamo la morte come voi amate la vita».
Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 23/5/2015