Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 23/5/2015, 23 maggio 2015
LA CACCIA DI PALAZZO CHIGI AL TESORO DELLA VECCHIA DITTA
Palazzo Chigi si muove: la Presidenza del Consiglio sta lavorando per mettere le mani sul patrimonio degli eredi del Pci, la cosiddetta Ditta. Ieri a Montecitorio è andata in scena l’ultima puntata della saga del “tesoro dei Ds”: l’immenso capitale di immobili (circa 2.400), palazzi di pregio e opere d’arte che i Democratici di sinistra, al momento della nascita del Partito democratico, non fecero confluire nel nuovo partito. Un tesoro, appunto, stimato in una cifra vicina al mezzo miliardo di euro.
La fusione con la Margherita e la galassia delle casseforti
Il responsabile delle finanze diessine, Ugo Sposetti, lo “preservò” dal nascente Pd, facendolo confluire in una sessantina di fondazioni locali: l’attuale partito, insomma, nacque dalla fusione di Ds e Margherita, ma senza ereditarne i patrimoni. Quello degli ex comunisti fu trattenuto in una galassia di piccole “casseforti” in ogni angolo d’Italia, gestite da amministratori locali fedeli alla storia della Ditta. Ora la Presidenza del Consiglio – ovvero il segretario del Partito democratico – si è messa in movimento per appropriarsi del malloppo.
L’ha reso noto ieri mattina il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, rispondendo a nome del governo a un’interpellanza del Movimento 5 stelle sul fallimento de l’Unità: “La Presidenza del Consiglio – ha dichiarato – è impegnata, con l’ausilio dell’avvocatura dello Stato e il supporto dell’Agenzia delle entrate, ad accertare la consistenza del patrimonio immobiliare facente capo ai Ds. In particolare quali siano, dal 2000 ad oggi, le proprietà immobiliari riconducibili ai Democratici di sinistra e al Pds, dalla cui espropriazione le banche avrebbero potuto recuperare tutto o in parte i propri crediti”.
Già, i crediti perché dentro alla vicenda del “tesoro” dei Ds c’è un’altra storia, da cui scaturisce un lungo contenzioso tra alcuni istituti bancari e la stessa Presidenza del Consiglio. Occorre un passo indietro. Nel 1999 il governo D’Alema tira fuori dal cilindro una norma “salva Unità”. Il giornale di partito (di cui D’Alema è stato direttore) è gravato da pesanti debiti con le banche. All’epoca viene salvato grazie alla manina dell’esecutivo, che istituisce una parziale garanzia pubblica su quel debito. Il risultato è un contenzioso che dura ancora oggi.
Gli istituti creditori hanno ottenuto dal tribunale di Roma l’emissione una serie di decreti ingiuntivi per riavere indietro il denaro dovuto. Palazzo Chigi, tramite l’opposizione dell’avvocatura dello Stato, ha risposto all’azione delle banche chiamando in giudizio i Democratici di sinistra, “suggerendo”, insomma, di rivalersi sul loro patrimonio immobiliare.
Per dare i soldi agli istituti potrebbe esserci poco tempo
Di più: come dichiara Dalla Vedova, la Presidenza del Consiglio sta tentando di “accertare la consistenza del patrimonio”; in poche parole, si è messa a cercare il tesoro, grazie al lavoro dell’Agenzia delle Entrate. Come spiega ancora il sottosegretario, il risultato è che “il giudice ha effettivamente autorizzato la chiamata in giudizio dei Ds e ha concesso la clausola di provvisoria esecutività ai decreti ingiuntivi delle banche, che potrebbero così esigere la liquidazione del credito nel termine di 120 giorni dal deposito della decisione.” In sostanza, i soldi chiesti dalle banche, in caso di successo dell’azione legale, dovrebbero essere restituiti entro quatto mesi. L’esame nel merito è previsto a novembre. Si tratta di un sacco di denaro: l’ingiunzione di pagamento presentata nel 2011 da Intesa San Paolo e altre banche ammonta a 109,572 milioni di euro. Si aggiungono, nel 2014, altre tre ingiunzioni di Banco Popolare, Intesa San Paolo e Bnl per altri 94 milioni.
E Palazzo Chigi quei soldi conta di prenderli dal tesoro diessino. Sarebbe un successo clamoroso per Matteo Renzi, nella doppia veste di presidente del Consiglio e segretario del Pd: è l’occasione per aprire una breccia nel muro che gli impedisce di mettere nelle casse (esangui) del Partito democratico il vecchio patrimonio della Ditta.
Il custode del malloppo se la ride ancora
Il geloso custode del malloppo si chiama Ugo Sposetti, coriaceo e rossissimo ex tesoriere, regista dell’operazione che ha trattenuto il tesoro diessino al momento della nascita del Pd. Le ultime notizie non lo scalfiscono, Sposetti se la ride: “I Ds non sono proprietari di nulla. Due o tre immobili sono pure pignorati. L’avvocatura dello Stato ci ha chiamati in giudizio? Se è la stessa avvocatura che ha perso il ricorso sulle pensioni in Consulta, dormiamo sonni tranquilli…”. Rimane un fatto sostanziale: l’azione della Presidenza del Consiglio per “dissotterrare” il tesoro. “Lei dice? – replica Sposetti, beffardo – A me la risposta di Palazzo Chigi pare ineccepibile. È una forma di resistenza alla richiesta delle banche”.
Parla in terza persona: “Sposetti è un sostenitore del principio che alle banche i soldi non si restituiscono. Palazzo Chigi sta facendo la stessa cosa: dice ‘i soldi chiedeteli a qualcun altro’. Per una volta sono d’accordo con la Presidenza del Consigio. Guardi che è un fatto epocale!”.
Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 23/5/2015