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 2015  maggio 23 Sabato calendario

C’È DA ESSERE OTTIMISTI?

Le prospettive economiche dell’area euro sono oggi «migliori di quanto lo siano state negli ultimi sette lunghi anni di crisi». Lo ha dichiarato il presidente della Bce, Mario Draghi, in un discorso a Sintra, in Portogallo. Una constatazione che vale in particolare per l’Italia, dove, dopo 13 trimestri consecutivi con il segno meno, nei primi tre mesi di quest’anno il pil è finalmente tornato in positivo (+0,3% rispetto al trimestre precedente).
Come ha scritto l’Istat nel Rapporto annuale 2015, nel corso dell’anno l’Italia registrerà una graduale ripresa, grazie all’azione di stimolo esercitata dalla politica monetaria, ovvero dal Qe della Bce, che prevede acquisti di bond per 60 miliardi di euro al mese almeno fino a settembre 2016, all’indebolimento dell’euro (provocato dallo stesso Qe) e al calo dei prezzi del petrolio. Il problema sta proprio nell’aggettivo «graduale». Le stime non sono esaltanti: si va dal +0,4% di Standard & Poor’s al +0,7% previsto dal governo e dal Fondo Monetario Internazionale. Come ha sottolineato Draghi a Sintra, ormai il potenziale di crescita dell’insieme dell’area euro è finito sotto l’1%. E questo in prospettiva «vuol dire che una parte significativa delle perdite subite durante la crisi diventerebbe permanente, con la disoccupazione strutturale che resterebbe sopra il 10% e la disoccupazione giovanile elevata». «Una crescita vera, sostenibile nel tempo, può esserci solo se il Paese viene radicalmente cambiato, altrimenti può durare al massimo un anno», è il parere di Franco Bruni, docente di economia internazionale all’Università Bocconi, secondo il quale «bisogna riorganizzare la pubblica amministrazione». In realtà Draghi nel suo discorso di Sintra una ricetta l’ha data: «L’esperienza vista in Germania durante la crisi», ha osservato il presidente della Bce, «suggerisce che se le riforme puntano a effettuare aggiustamenti facendo leva sui margini di intensità, in pratica ore lavorate e salari, è meno probabile che abbiano effetti negativi sul breve termine rispetto a quelle che fanno leva sui margini di ampiezza, ovvero i licenziamenti». Secondo i dati dell’Eurotower, ha rincarato la dose Draghi, durante le crisi le imprese che applicano la contrattazione aziendale «hanno ridotto gli occupati meno di quelle vincolate dalla contrattazione centralizzata». «La solita ricetta, bisogna tagliare i salari», sbotta indignato Antonio Maria Rinaldi docente di finanza aziendale presso l’Università di Pescara e stretto collaboratore dell’economista Paolo Savona. «Non è il massimo sentire una proposta del genere mentre sto leggendo i risultati di una ricerca secondo cui nel 2014 hanno chiuso i battenti quasi 8 mila esercizi commerciali, con una media di 21 al giorno». Non è indignato Bruni, che anzi approva la decentralizzazione dei contratti. Ma nota tuttavia che nella sua analisi Draghi ha dimenticato un rischio che viene proprio dalla politica monetaria adottata dalla Bce e dalle altre più importanti banche centrali mondiali. «Guerra delle valute e prezzi degli asset gonfiati», sottolinea Bruni, «sono il portato dei tassi a zero e dei vari Qe. Abbiamo ancora un po’ di tempo per evitare lo scoppio della bolla». E per riuscirci non è sufficiente che la Federal Reserve cominci a rialzare i tassi. Secondo Bruni, le più grandi banche centrali e il Fondo Monetario Internazionale devono prendere decisioni comuni di politica monetaria, cosa che finora non è stata fatta. Queste decisioni, però, passano sopra la testa dell’Italia, che al riguardo può fare ben poco. Non resta quindi che esaminare i dati statistici più recenti, alla luce dei quali si può dire che sì, le possibilità di una vera svolta ci sono (a patto che la Grecia riesca a evitare in un modo o nell’altro la bancarotta). Per esempio nel 2014 il numero di compravendite immobiliari è tornato a crescere, del 3,5%. Non accadeva da sette anni. La produzione industriale a marzo è risultata in crescita dell’1,5% su base annua, l’incremento più forte dall’agosto del 2011. I contributi maggiori a questo risultato sono venuti dal settore energetico (produzione cresciuta del 4,8%), dei beni strumentali (+1,4%) e dei beni di consumo (+3,5%).
Quest’ultimo è il dato più significativo, perché negli ultimi trimestri la grande assente dall’economia italiana era stata proprio la domanda interna, specialmente dei beni di consumo, dovuta largamente alla mancanza di potere d’acquisto. «Ma adesso, soprattutto grazie al calo del prezzo dell’energia, gli italiani hanno visto aumentare la capacità di spesa, e questo si è riflesso positivamente sulla domanda aggregata», sottolinea Anna Maria Grimaldi, responsabile dell’analisi macroeconomica sull’area euro di Intesa Sanpaolo. Significativa è anche la ripresa della domanda di beni di investimento. «Stimiamo un aumento dello 0,2% nel primo trimestre (l’Istat non ha ancora diramato il dettaglio dei componenti della crescita nel periodo, ndr). In larga misura sono investimenti di sostituzione, ma è verosimile che alcuni settori orientati all’export abbiano avuto bisogno di ampliare la capacità produttiva». Certo la domanda di beni strumentali è stata anche spinta dall’export, che resta una componente fondamentale della dinamica dell’economia italiana. «L’anno scorso le esportazioni italiane sono state pesantemente condizionate dagli eventi geopolitici, che permangono, ma adesso c’è un potente aiuto, cioè l’indebolimento dell’euro rispetto al dollaro», spiega Loredana Federico, economista sull’Italia di Unicredit, che stima per il 2015 una crescita del 3,8% delle vendite all’estero del made in Italy. Il contesto dei mercati dovrebbe favorire questo trend. Il provvedimento degli 80 euro, al di là della cifra assoluta e del limitato effetto sul reddito disponibile, ha inoltre modificato le aspettative delle famiglie italiane, contribuendo a far uscire la loro spesa dallo stato comatoso in cui si trovava fino all’anno scorso. «All’appello mancano ancora gli investimenti, che soffrono dei numerosi fattori di incertezza, interni e internazionali, che gravano sull’economia italiana. E se non si rimuovono queste incertezze, difficilmente gli investimenti si riprendono», aggiunge Federico. Ma da questo punto di vista «gioca un ruolo molto importante la stabilità politica, e quindi anche la continuità di una linea politica tesa alla riforma dell’economia», sottolinea Grimaldi.
Non a caso migliora la fiducia delle imprese. Gli ultimi indici la danno in Italia a 53,8 punti, sopra quota 50, che separa le fasi di espansione da quelle di contrazione, e soprattutto ai massimi dall’aprile del 2014. Questo è importante anche ai fini degli investimenti dall’estero. E nelle ultime settimane si sono fatti sempre più frequenti i segnali di interesse degli investitori internazionali per l’Italia. Interesse che si concentra sulla logistica, una branca del settore immobiliare strettamente legata agli andamenti dei traffici commerciali e quindi alla salute dell’economia. I volumi di compravendita di superfici adibite a questo scopo sono aumentati del 10% nel 2014, secondo Scenari Immobiliari. E proprio venerdì 22 maggio Segro, gruppo britannico specializzato negli immobili strumentali con 6 miliardi di sterline in gestione, ha acquistato Vailog, società italiana del settore. Nel frattempo investitori americani come Grove International Partners, gruppo specializzato nell’immobiliare, guardano con molto interesse a una presenza diretta in Italia, ed è sempre forte l’interesse degli investitori in private equity.
Quindi, al di là dei fattori strettamente ciclici e di natura esterna, come l’euro debole e i prezzi del petrolio bassi, sembrerebbe che anche in Italia gli operatori economici comincino ad avere più fiducia nelle prospettive dell’economia. Purtroppo al momento non ripartono i consumi: a marzo, infatti, le vendite al dettaglio hanno registrato una flessione dello 0,1% rispetto a febbraio e dello 0,2% su base annua. Mentre nella media del trimestre gennaio-marzo 2015, l’indice ha registrato una variazione nulla rispetto al trimestre precedente e un aumento dello 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2014.
La fiducia che regna in borsa dall’inizio dell’anno, corroborato dalle rassicurazioni della Fed dei giorni scorsi sul possibile incremento del Qe, per ora non si è trasmessa alle tasche del consumatore medio. Il peggio è alle spalle, ma le basi della ripresa sono ancora fragili.
Marcello Bussi e Giuliano Castagneto, MilanoFinanza 23/5/2015