Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 23 Sabato calendario

GLI SCIACALLI BALLANO SULLE MACERIE DI MPS

Atto finale a Rocca Salimbeni: l’aumento di capitale da 3 miliardi deliberato dal cda giovedì è l’ultima possibilità per il Monte dei Paschi. E già volteggiano gli sciacalli su Piazza Affari tanto che il presidente di Consob, Giuseppe Vegas, ha sentito la necessità di avvisare il mercato: da lunedì, quando prenderà il via l’offerta, l’intera operazione sarà costantemente monitorata dall’organismo di vigilanza. Del resto già ieri il titolo ha registrato un andamento anomalo. Prima sospeso al ribasso, poi al rialzo. In mezzo un’altalena infinita, dopo ben cinque giorni di terreno negativo con una perdita cumulata del 18,5%. A Siena, invece, l’interesse per le sorti della banca non è più quello di un tempo. Perché per i senesi non esiste più già da un pezzo. C’era una volta il Monte. E ha travolto tutto. L’ultima pedina a cadere è stata il Palio di Siena: orgogliosamente difeso dal 1644, ora il marchio – compresi simboli e colori di tutte le 17 contrade – finirà su tazze, matite, orologi e cappellini. L’autorizzazione allo sfruttamento commerciale ha ricevuto la benedizione del Consorzio tutela Palio di Siena.
L’ennesima conseguenza del domino innescato nel gennaio 2013 dalla crisi del Monte e dall’inchiesta giudiziaria sulla gestione di Rocca Salimbeni che ha travolto gli ex vertici della banca e costretto alle dimissioni dalla guida dell’Abi l’allora presidente Giuseppe Mussari. Un domino che sembra non avere mai fine. E che ha trascinato a terra l’intera città: la blasonatissima squadra di basket Mens Sana, il Siena calcio, l’università, il polo museale. Tutto. Oltre alla galassia finanziaria collegata all’istituto di credito: società controllate finite in bancarotta, la storica Fondazione spogliata e ridotta a mera osservatrice, migliaia di dipendenti licenziati o esternalizzati.

Profumo e Viola ripresi da Bce e Consob
I vertici, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, chiamati per salvare almeno i conti dell’istituto di credito, non sono finora riusciti a bloccare le tessere. Che continuano a cadere. Dopo i 4 miliardi ricevuti attraverso i Monti bond, si è rivelato inutile l’aumento di capitale da 5 miliardi del giugno 2014: ora l’istituto si accinge a sottoscriverne un altro da 3. E la Bce, dopo aver bocciato i conti durante gli stress test di settembre, ha intimato la banca di individuare un partner per una possibile fusione. Ma l’unica prospettiva realistica è l’ingresso da parte dello Stato. Non solo. La Banca centrale ha rivelato come la drammatica situazione finanziaria sia dovuta per lo più ai crediti deteriorati e non, come si è sempre lasciato intendere, alle conseguenze dei derivati Alexandria e Santorini sottoscritti da Mussari. Dopo l’intervento di Francoforte, Mps ha riportato nel bilancio 2014 il dato delle perdite su crediti: 7,8 miliardi. Contro i 2,7 del 2013, i 2,6 del 2012 e l’1,3 del 2011. Non è finita qui. Nella relazione trimestrale appena approvata si legge una breve annotazione: “Alla luce delle indagini in corso a opera della Procura di Milano, la Consob sta approfondendo le modalità di contabilizzazione delle operazioni di long term structured repo”. Tradotto: Mps nei resoconti finanziari ha finora calcolato le due operazioni non come derivati. L’organismo di vigilanza potrebbe invece stabilire che questa modalità è erronea e costringere quindi la banca a riscrivere i bilanci degli ultimi anni.

Le ingerenze politiche, una pratica mai interrotta
Un domino che non ha fine. Spinto anche dalla politica, come ha certificato la magistratura. La politica decideva chi nominare nel cda della banca e della Fondazione, cassaforte attraverso cui poi distribuire milioni di euro ad amici ed enti di amici. Emblematica l’intercettazione di Giuliano Amato, oggi giudice della Corte costituzionale, che chiede a Giuseppe Mussari, all’epoca guida di Mps, i soldi per il circolo del tennis di Orbetello di cui è tuttora presidente onorario. “Mi hanno fatto sapere che il Monte vorrebbe scendere da 150 a 125 mila euro, ma siamo già sull’osso”, si lamenta Amato. L’amico Giuseppe lo rassicura.
A certificare le ingerenze politiche ci sono anche verbali di interrogatorio. Gabriello Mancini, ex presidente della fondazione, ai magistrati racconta della spartizione di poltrone tra centrosinistra e centrodestra. Non solo Pd, dunque. Dichiara ai magistrati senesi il 24 luglio 2012: “La mia nomina, come quella dell’avvocato Mussari alla guida della banca, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale e condivisa dai vertici della politica nazionale”. Per la mia nomina, prosegue, lo sponsor principale, Alberto Monaci (nel 2006 Margherita ora Pd), attuale presidente del Consiglio regionale della Toscana, gli riferisce “che era stato trovato un accordo con i Ds”. Mentre per il via libera ad Andrea Pisaneschi quale espressione del Pdl nel Cda di Mps e di Carlo Querci come “espressione dei soci privati”, Gianni Letta telefona a Silvio Berlusconi e poi richiama Mancini dicendogli che “il presidente aveva dato il suo assenso”, precisando che Pisaneschi “era persona vicina all’onorevole Gianni Letta”. Dopo pochi mesi emerge un documento con la spartizione tra Pdl e Pd non solo delle nomine in Mps, ma anche delle amministrazioni locali – province e comuni – con in calce i nomi di Denis Verdini e Franco Ceccuzzi all’epoca sindaco di Siena.
La politica sdegnata scopre di avere le mani sporche. L’allora rottamatore Matteo Renzi grida alla necessità di cambiare registro. “Mai più ingerenze”, tuona. Al Comune, commissariato dopo le dimissioni di Ceccuzzi (presentate proprio a seguito di dissidi nella maggioranza su chi nominare nel cda nel maggio 2012), viene eletto Bruno Valentini, secondo molti pilotato dallo stesso Ceccuzzi. Il nuovo sindaco Pd nel corso della campagna elettorale aveva garantito che la politica avrebbe smesso di soffocare Rocca Salimbeni. Pochi mesi dopo, nel giugno 2013, manda un sms a Renzi: “Allora procedo così su Mps?”. Risposta: “Valentino ma io che c’entro con le nomine del Monte?”. Ancora a marzo 2015, lo stesso Valentini ha indicato i nomi da inserire in fondazione. Pubblicamente.

Il nuovo sindaco Pd indagato per falso e omissione
Per la composizione della lista della Fondazione Mps in vista del rinnovo del cda di aprile il sindaco ha sponsorizzato Fiorella Bianchi, direttore commerciale della Conad Tirreno. Si è opposto il presidente dell’ente senese Marcello Clarich, messo comunque in minoranza durante le votazioni. Clarich ha ottenuto una piccola rivincita nei giorni scorsi quando il cda del Monte ha ritenuto che la Bianchi sia indipendente ai sensi del Tuf (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), ma non ai sensi del Codice di autodisciplina, “per la significatività di rapporti creditizi in essere tra Mps e le società facenti capo al gruppo in cui il consigliere riveste l’incarico di direttore generale”. In base all’ultimo bilancio disponibile, quello del 2013, la Conad del Tirreno risulta esposta con la controllata del Monte, Mps Capital Services per un finanziamento residuo di 56,3 milioni con scadenza 2021 più un residuo di 3,2 milioni con scadenza 2028 per un mutuo ipotecario. Ma Bianchi è riuscita a fare il suo ingresso, come desiderato da Valentini.
Il sindaco vive una stagione già vissuta dal suo predecessore Ceccuzzi anche per i guai con la giustizia. Se l’ex primo cittadino durante il suo mandato era stato indagato per il pastificio Amato e per questo poi rinviato a giudizio con l’accusa di concorso in bancarotta fraudolenta assieme a Mussari, l’attuale sindaco da venerdì scorso è iscritto nel registro degli indagati per falso in atto pubblico e omissione d’ufficio. La vicenda risale al 2010, quando Valentini guidava il Comune di Monteriggioni, ed è legata a presunti abuso edilizi. Se ne occupa la procura di Siena. “Dichiaro la mia totale estraneità dai fatti”, ha ovviamente commentato Valentini. Ma a Siena molti ne invocano le dimissioni.

I conti ancora disastrati e i passivi occultati per anni
Vittima principale è ancora oggi l’ormai esanime banca. Infettata dal virus Antonveneta di mussariana memoria e ancora in coma dopo ben tre anni di nuova gestione da parte del tandem Profumo-Viola. Tanto che solo l’arrivo di un cavaliere bianco (magari straniero e dalle tasche gonfie di quattrini) potrebbe riuscire a risvegliarla. Certo, la dote non è delle più attraenti.
Nella primavera del 2012, Profumo eredita un bilancio 2011 chiuso con una maxi-perdita da 4,69 miliardi di euro, di cui 4,47 per rettifiche di valore dell’avviamento e degli intangibili. La raccolta complessiva ha registrato una flessione del 7,2% a 281 miliardi, i crediti verso la clientela sono scesi a 147 miliardi (-5,6%), mentre lo stock del portafoglio titoli e derivati si è mantenuto stabile a 38 miliardi. “Il piano di breve e lungo termine prevede la banca in un’ottica stand-alone, così com’è successo fino a oggi”, promette l’allora neo amministratore delegato Fabrizio Viola. Promessa azzardata. Il 2012, quello che avrebbe dovuto essere il bilancio della svolta e il primo firmato dal tandem Viola-Profumo, viene infatti archiviato con 3,17 miliardi di perdite, gli analisti si aspettavano un rosso da 2,3 miliardi. Colpa delle rettifiche su crediti che, anche su pressing della Banca d’Italia, sono salite a 2,67 miliardi e di 700 milioni di perdite scatenati dalla finanza allegra dei precedenti vertici che si riassumono con le tre operazioni in strumenti derivati Alexandria, Santorini e Nota Italia. L’esposizione del portafoglio finanza ammonta a 38,4 miliardi, di cui 26,4 verso titoli di Stato italiani. Per far fronte a questa situazione, sono stati sottoscritti aiuti di stato (Monti bond) per oltre 4 miliardi (di cui 1,9 miliardi gli ex Tremonti Bond emessi nel 2009). Viene inoltre prevista la chiusura di 200 filiali e l’uscita anticipata di 1.000 dei 1.660 dipendenti. La cura però non funziona.
Il bilancio 2014, l’ultimo firmato da Profumo che di fatto è dimissionario, è stato chiuso con l’ennesima perdita record: 5,34 miliardi contro 1,4 miliardi nel 2013. I vertici danno la colpa alle rettifiche per circa 5,7 miliardi a seguito dell’asset quality review della Bce e degli stress test che hanno fatto emergere un gap di 2,1 miliardi nel capitale della banca senese. Ma a crescere è anche l’esposizione netta dei crediti deteriorati in aumento del 10% a 23,1 miliardi rispetto al 2013. I crediti verso la clientela sono invece calati dell’8,4% a 120 miliardi, mentre la raccolta diretta è risultata stabile a 126 miliardi. L’unica certezza è che il Monte è costretto a varare un nuovo aumento di capitale fino a 3 miliardi, superiore ai 2,5 miliardi inizialmente previsti. I conti non sono migliorati nell’ultima trimestrale nonostante questa abbia fatto registrato (dopo tre anni) un ritorno all’utile per 72,6 milioni di euro (grazie alle operazioni di trading).

Sette miliardi di crediti persi e l’attesa del cavaliere bianco
Su 1,3 miliardi di flussi di nuovi crediti problematici, il principale punto di debolezza del gruppo, circa 400 milioni sono dovuti all’esposizione verso l’amministrazione pubblica. L’obiettivo di utile netto 2018 a 880 milioni di euro è considerato troppo aggressivo dagli analisti.
Quanto alle filiali, che nel 2007 – anno dell’acquisto di Antonveneta – erano 2.000 (poi diventate 3.000), nel 2018 diventeranno 1.800 visto che nei prossimi tre anni è prevista la chiusura di altri 350 sportelli, mentre 700 saranno ristrutturati, per risparmiare 23 milioni. Ultimo dato: nel 2007 il Monte capitalizzava 12,6 miliardi. Oggi 2,7.
Tutta colpa degli errori del passato? Certo, gli strascichi dell’era Mussari pesano ancora sul bilancio: dall’onere straordinario di 22 milioni sulle imposte sul reddito lasciato dal Fresh 2008 (la controversa emissione che servi’ per pagare parte dell’acquisto di Antonveneta) alle scorie dei derivati sottoscritti con Deutsche Bank e Nomura. Ma se il malato non si è ancora ripreso e, anzi, continua ad accusare gli stessi sintomi, la responsabilità è anche del nuovo management. Tanto che anche i soci sudamericani Btg Pactual e Fintech avrebbero manifestato perplessità per alcune scelte del management chiedendosi perché non sia stata fatta una svalutazione totale delle perdite fin da subito dopo l’approvazione dell’ultimo bilancio della gestione Mussari.
Rimane l’ultimo atto: l’aumento di capitale che prenderà il via lunedì. Monitorato da Consob. Un passaggio delicatissimo che preoccupa i vertici. Non la città. C’era una volta il Monte dei Paschi di Siena.