Giancarlo De Cataldo, la Repubblica 23/5/2015, 23 maggio 2015
NAZIONALE - 23
maggio 2015
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R2 Cultura
“Ora dovete ascoltarci” La dolente ballata dei morti di mafia
Nel libro di Melati e Vitale la storia d’Italia dal Maxiprocesso alle stragi raccontata come una Spoon River alla palermitana
GIANCARLO DE CATALDO
NARRA un’antica leggenda, nota a tutti i siciliani dovunque la vita li abbia condotti, che la Sicilia si regge su quattro colonne. Tre sono di pietra inattaccabile dal tempo e dal mare. La quarta è un essere mitico, metà uomo e metà creatura marina, che risponde al nome di Colapesce: il giorno in cui Colapesce si stancherà, la Sicilia sprofonderà negli abissi. Dalla tradizione alla storia recente, con Colapesce, nell’inedita veste di cantastorie, a fare da collante fra mito e contemporaneità: questa la cornice nella quale Piero Melati e Francesco Vitale hanno ambientato Vivi da morire . Un racconto di storia patria che ha trovato un modo originale per riportare alla luce fatti noti e non della crudele stagione dei massacri mafiosi che insanguinarono Palermo fra gli anni Settanta e Novanta del secolo passato.
Sorprendente è poi il teatro che gli autori scelgono come scenario: lo stadio Renzo Barbera di Palermo. È allo stadio, fra un incontro dei rosanero raccontato in tempo reale e la memoria di eroiche disfide calcistiche di un tempo che fu, è qui, fra il gelataio e l’ultrà, che, grazie a Colapesce, le ombre delle tante vittime di mafia riprendono vita e raccontano la loro avventura umana, in una Spoon River laica dominata dalla rabbia per le vite spente dal piombo e per i corpi disciolti nell’acido e dal dolente rammarico per ciò che avrebbe potuto essere e non fu, per gli affetti bruciati, per il dolore incolpevolmente cagionato a quelli che sono rimasti vivi. Ombre, ma ombre in carne e ossa, ombre dialettiche e combattive che ancora si pongono domande alle quali stentano a trovare risposte convincenti, danno vita a un coro che si trasforma nel cantico di un’intera città: la Palermo dannata e apparentemente irredimibile che sforna sicari e poliziotti, la Palermo della mafia e dell’antimafia. Una terra anfibia, al pari di Colapesce: dove tutti gli estremi sono possibili, e la più spudorata vigliaccheria convive con il più limpido eroismo.
Melati e Vitale registrano le voci di Falcone e Borsellino, di Ninni Cassarà, del piccolo Di Matteo strangolato dopo due anni di atroce prigionia. Forti delle conoscenze di cui disponiamo dopo anni di inchieste giudiziarie e giornalistiche, gli autori affidano ai defunti gli interrogativi irrisolti che, nati al tempo dei massacri, ancora inquietano il presente, lasciando intendere che la matassa dei misteri è ben lungi dall’essere dipanata. I morti hanno le idee chiare, in proposito. C’è nella loro ostinazione a perseguire la verità un che di ossessivo. Se il nome “trattativa” non vi piace, chiamatela pure come vi pare, ma una “zona grigia”, un terreno vago di inconfessabile dialettica fra “noi” e “loro” è esistito: «Non si preoccupi, signor cantastorie, siamo noi, siamo i dimenticati, siamo gli uomini e le donne delle stragi. Siamo l’esercito dei fantasmi senza nome, ci chiamano genericamente uomini delle scorte. E a noi sta bene. Ma questa notte consentiteci per una volta di tornare a fare il nostro mestiere di sbirri, per dire al mondo dei cantastorie tutto ciò che ai nostri occhi non torna». Sì, c’è ancora troppo “che non torna”. Persino agli occhi dello spietato killer Pino Greco Scarpuzzedda (la sua evocazione è uno dei momenti più alti del racconto): «Non è che questi omicidi Riina ce li aveva fatti fare per accontentare qualcun altro? Non è che aveva fatto patti con qualcuno? » Fin qui le ombre. E, con loro, una memoria che i buoni libri, se non altro, aiutano a preservare.
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Il teatro della vicenda è lo stadio Renzo Barbera fra partite di pallone, calciatori e ricordi
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IL LIBRO
Vivi da morire
di Piero Melati e Francesco Vitale ( Bompiani pagg. 320 euro 16)