Giacomo Pellicciotti, la Repubblica 23/5/2015, 23 maggio 2015
NAZIONALE - 23
maggio 2015
CERCA
46/47 di 56
R2 Inserti
Prima con i Jam. Poi con gli Style Council. E, nel frattempo, tanti amori e figli. Mentre esce “Saturn’s Pattern”, il suo album più pulsante e più duro, l’artista è in concerto alla manifestazione Luglio Suona Bene con il suo cangiante caleidoscopio di generi
Pa ul Weller Il camaleonte del british rock
GIACOMO PELLICCIOTTI
Intramontabile e più motivato che mai ritorna Paul Weller, il “Modfather” del rock inglese che, a dispetto dei suoi capelli bianchi e dei 56 anni vissuti intensamente, dopo diversi amori, tanti figli e continui cambi di scena, appare in piena forma. Anche perché si ripresenta con un nuovo album più duro e pulsante, Saturn’s Pattern, il dodicesimo della carriera solista, plasmato come sempre a casa sua nello studio del nativo Surrey, insieme a vecchi amici e più giovani allievi. Solo nove brani, con chitarre robuste, batteria tirata a lucido e più generosa tecnologia, che bastano a dimostrare che il culthero, il camaleonte della british music non ha bisogno di autocelebrarsi, non vuole essere la parodia di se stesso. Sull’onda del nuovo disco e di una rinnovata energia, Paul Weller è ora atteso il 9 luglio alla rassegna Luglio Suona Bene dell’Auditorium romano con tutto il talento e il suo cangiante caleidoscopio di post punk, vintage, soul, blues, psichedelia, krautrock, acid jazz e quant’altro, riprocessati e rimessi a nuovo negli ultimi quarant’anni.
Nato nella periferia di Woking, nel Surrey, il padre tassista e la mamma domestica a ore, cresciuto con gli idoli Beatles, Who e Small Faces, il giovane Paul piombò nei sobborghi di Londra in piena era punk con i suoi Jam fino a ipnotizzare i ragazzi con un sound particolare e a diventare l’icona del Mod-revival anni Settanta. Ma al culmine del successo, nel 1982, congeda i Jam per ripartire con i più sofisticati Style Council, che durano fino al 1989. Sei album ufficiali con i Jam e sette con gli Style Council. È dal 1990 che è Paul Weller solo, ma sempre coinvolto in nuovi progetti, tra i più variegati e spiazzanti. Fino alle solide strutture plasmate dall’anno scorso nel suo Black Barn Studio nella campagna del Surrey, per registrare Saturn’s Pattern, il seguito di Sonik Kicks del 2012. L’idea era quella di un album diverso con uno strano mix di swing e di stellare insieme. E adesso, da casa sua, Weller lo descrive così: «Non è proprio un album dance, ma pensavo a un ritmo ben preciso con un risvolto soul. E mi piace che quando l’ascolti, non riesci a stare fermo, c’è qualcosa di fisico che ti contagia. E ci sono anche le canzoni. Non lo faccio apposta, ma non riesco proprio a ripetermi. Tendo sempre a scostarmi dal mio lavoro precedente».
È un disco ottimistico che mette euforia. «È venuto fuori così, spontaneamente, ma volevo fare qualcosa di gioioso, anche perché il mondo attuale è così deprimente», commenta. Oltre a Paul Weller e a Jan Kybert, in quasi tutti i brani c’è anche il batterista Ben Gordelier dei Moons, con il quale Paul suona regolarmente in tour. Weller si scatena in diversi strumenti oltre alla chitarra, arricchen- do l’album di altre sfumature con ospiti come Andy Crofts dei Moons, i chitarristi Josh Mc-Clorey degli irlandesi Strypes e Steve Cradock, oltre al vecchio compagno di scuola e chitarrista Steve Brookes, che era nella formazione dei Jam. Per capire il momento positivo che sta vivendo Weller oggi, basterebbe ascoltarlo quando, passando da una canzone all’altra, si arriva all’ultima, These city streets, quasi nove minuti di pura psichedelia con retrogusto malinconico: «A quel punto dell’album, volevo che ci fosse un momento di tenerezza e abbiamo suonato rilassati per circa dieci minuti. È un’altra canzone d’amore, stavo certo pensando a Londra quando l’ho scritta. Credo ancora che sia la più bella città del mondo. Pensavo a tutti gli innamorati che hanno calpestato le stesse strade nel corso del tempo. Tutto questo amore si deve essere concentrato per creare qualcosa di più grande». È un Paul Weller rigenerato da uno stile di vita più sano. Sempre attivo e impaziente nel suo lavoro, ma capace anche di essere un buon marito con l’ultima moglie e padre attento di sette figli, da Natt, musicista di 27 anni, nato dal matrimonio con la vocalist Dee C. Lee, ai due gemelli, John Paul e Bowie, avuti tre anni fa con la cantante Hannah Andrews, sposata con grande sfarzo a Capri. Fuma ancora, ma mangia meglio e, soprattutto, da grande bevitore, ha smesso di bere. «Sono più di cinque anni che non tocco l’alcool. La cosa più dura è stata andare sul palco senza un drink. A volte mi mancano il caos e la follia provocati dalla bottiglia. Ma forse non sarei più qui se avessi continuato. Se sei una persona creativa, devi andare sempre avanti. Mi vengono in mente due artisti come Peter Blake, che ne ha più di 80, e David Hockney, più giovane di poco». Ma come se la cava con i sette figli avuti da compagne diverse? Non batte ciglio: «Credo che le rispettive madri direbbero la stessa cosa.
Lascio i miei ragazzi molto liberi, anche se non è facile pensare che sono i tuoi bambini. Ma non posso impedirgli di decidere cosa vogliono fare. Non sono cinico. Io credo nella famiglia, nelle persone e nella natura. Quando ti alzi la mattina e vedi il cielo blu, gli alberi fioriti, pensi: questo è un bel mondo. Poi, ovviamente, sei conscio dei problemi». Come si sente ancora sul palco? «Sono consapevole della mia età, ma non mi sento né vecchio, né giovane. Mi sento solo me stesso».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Björk tra pop e avanguardia
Dopo sette anni Björk torna a Roma per l’unica data italiana del tour: il 29 luglio è all’Auditorium per un concerto con i brani di Vulnicura , il disco uscito all’inizio dell’anno caratterizzato da un sound più “accessibile”