Ferdinando Camon, Panorama 21/5/2015, 21 maggio 2015
LE GITE SCOLASTICHE SONO INUTILI. E DANNOSE
Tragedia in un liceo scientifico di Padova: uno studente di 19 anni, Domenico Maurantonio è morto durante una gita scolastica, cadendo dal quinto piano di un albergo di Milano. Tutti, professori, preside, studenti, genitori, ora si chiedono se c’è una colpa, se era ubriaco, se è stato spinto, se si è suicidato... Resta fuori la grande, vera domanda: ma a cosa servono le gite scolastiche?
«Non ne farò più» dice Maria Grazia Rubini la preside del liceo scientifico Ippolito Nievo, dov’era iscritto, alla classe quinta, Domenico, figlio unico. Magari l’avesse pensato un mese fa, quando programmò questo «viaggio con pernottamento», come si chiama nel linguaggio burocratico, di un paio di classi all’Expo di Milano. Le gite scolastiche sono pensate come integrazione dell’insegnamento e le famiglie che ci mandano i figli pensano: «Torneranno migliori, ne sapranno di più».
Ma non va così. Quasi mai. Perché da una parte ci sono i professori accompagnatori, che fanno un programmino (lo consegnano, anche), proponendosi di far capire ai ragazzi più cose che possono, e dall’altra ci sono i ragazzi, che si telefonano e si mettono d’accordo per divertirsi più che possono, e questo divertimento lo intendono come indipendenza, che non è ribellione ma certamente disobbedienza, fuga dal controllo dei professori e dei genitori.
La vacanza, la settimana bianca, la gita scolastica sono tutte occasioni, per i ragazzi, di crearsi uno spazio extra-famiglia, extra-scuola, per far crescere le amicizie e gli innamoramenti. E in questo spazio trionfano sempre i peggiori. Nelle ore di scuola, di lezione, d’interrogazione, di spiegazione, gli studenti-leader della classe sono i migliori, i più bravi, i più buoni. Nelle ore extra-scuola, e specialmente nelle gite, a diventare leader sono i peggiori.
Si preparano con settimane d’anticipo. Fanno scherzi pesanti. Sui compagni, le compagne, i professori. Organizzano furti. Disturbano di notte. Fanno scorribande nelle stanze delle ragazze. Se queste sono sistemate in un altro piano (di solito si fa così), gli studenti disturbatori vanno su e giù per le scale di corsa, un salto per tre gradini. Il personale dell’albergo viene su a protestare, e per definire questi scalmanati usa sempre lo stesso terribile termine. L’ho sentito in diversi alberghi, di diverse città, ed è «bisonti». Un termine che rende bene l’idea. Di solito i professori accompagnanti sono un paio e dormono uno all’inizio e uno alla fine del corridoio, e per tutta la notte, senza uscire di stanza, continuano a ripetere: «Bboni, bboni!».
Tra i ricordi più atroci delle gite scolastiche mi resta quello del ragazzo sparito nel nulla: s’era stufato, era andato in stazione, aveva preso un treno ed era tornato a casa. E la coppietta di fidanzatini, spariti insieme per un paio d’ore, in piena notte. Per loro, il sogno di una vita. Per noi, il dramma di una carriera. Per gli studenti le gite scolastiche sono inutili, per i professori accompagnanti sono faticosissime e vengono pagate zero. Se i professori non vogliono comprensibilmente andarci, spesso si ricorre all’estrazione a sorte. Come quando, nella Grande Guerra, si facevano le decimazioni: a caso. Davvero, basta con le gite scolastiche.