Alessandra Retico, la Repubblica 21/5/2015, 21 maggio 2015
PELLEGRINI E IL CASO BELLOLI: «QUANTA IGNORANZA SULLE DONNE, NEL NUOTO ERAVAMO FANTASMI»
FINITO il tempo del maschilismo. O no?». Domanda retorica, anche in Sierra Nevada, dove Federica Pellegrini si sta allenando a 2300 metri di altitudine. La campionessa di nuoto quasi non ci crede quando sente di tale Belloli, presidente della Lega nazionale dilettanti, che pronuncia contro le ragazze del calcio femminile l’odiosa e ormai tristemente famosa sentenza (“Basta soldi a quattro lesbiche”).
«Qui sono fuori dal mondo, ma mi sembra comunque una frase assurda. E’ mai possibile?».
Cosa?
«Che ancora si ragioni in questi termini, usando questi schemi, questi pregiudizi, questo linguaggio. Possibile?».
La frase compare in un verbale, ci sono testimoni. Molti chiedono le sue dimissioni.
«Beh mi pare il minimo. Fossi in lui, mi chiedesse un consiglio, gli direi: porga le sue scuse. E abbia più fiducia nelle donne, anche in quelle del calcio».
È un problema solo loro?
«Anche noi nel nuoto abbiamo avuto i nostri problemi. Abbiamo faticato a emergere, siamo state ignorate per anni. Al tempo di Fioravanti praticamente le donne in vasca non esistevano. Invisibili. Fantasmi. Solo con me e Alessia Filippi si sono accorti che c’eravamo e che avevamo cose da dire. Anzi, che la nostra forza stava dando una nuova spinta a tutto il movimento. Siamo cresciuti tutti, abbiamo imparato, ma ci sono ancora troppe resistenze in molti ambienti. Il problema vero è che si fa ancora fatica a dare voce alle donne».
Perché?
«Perché anche nello sport siamo arrivate più tardi dei maschi e ovviamente pure i risultati si sono visti dopo quelli degli uomini. E’ così semplice ricostruire questa dinamica storica eppure molti, persino chi lo sport lo governa, non la capisce. E’ piuttosto seccante quando questa ignoranza viene espressa da chi ha il compito di organizzare e sviluppare lo sport, specie quello femminile. In più, ci si permette di criticare o dare giudizi su cosa le persone sentono di essere».
Cosa intende?
«Intendo dire che basta col sessismo, il maschilismo, l’omofobia. E’ veramente deprimente doverci ancora misurare su questi temi, doverlo fare nella vita, nella società, e anche nello sport. Che è un mondo dove conta il merito e il talento, non di chi ti innamori. Dispiace che ancora oggi si debba parlare di cose che appartengono al passato, anzi fa male. Un atleta si giudica dalle prestazioni sul campo, dalla competitività. Non da chi ama. Io sono convinta che l’amore è quello che è: un uomo e una donna, due uomini, due donne. Non vedo perché definirlo, è amore e basta».
Il calcio femminile, specie in Italia, sembra soffrire di atteggiamenti sessisti, più di altri sport.
«Tutti gli sport di squadra al femminile subiscono un po’ questo pregiudizio, tranne il volley forse. Anche perché a pallavolo le bambine ci giocano fin dalla scuola, la società la percepisce come una disciplina adatta alle femmine. Ma non ha senso parlare di attività di genere. Non ha senso mettere a confronto lo sport degli uomini con quello delle donne. Semmai bisogna ragionare sul fatto che il calcio maschile è in Italia lo sport nazionale, e che le donne sono considerate un po’ delle intruse. Relegate in una nicchia».
Ed eventualmente offese. Motivo per cui le calciatrici fanno sciopero.
«Mi pare giusto. Sacrosanto. A me e alle mie colleghe magari ci snobbavano all’inizio della carriera, ma certo non ci davano delle lesbiche. E poi dico: se anche fosse, possibile che l’omosessualità sia ancora un problema?».