Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 21 Giovedì calendario

IL GIRO, LA GUERRA. 1915: ORIANI, HEMINGWAY E LA BICI TRA EROISMO E MORTE

Da 9 mesi l’Europa è in fiamme, ma, nel maggio 1915, si pensa al settimo Giro d’Italia. Sei tappe. Partenza il 27 maggio. Tra gli iscritti Agostoni ha il numero 1, Galetti il 5, il campione d’Italia professionisti Girardengo l’8 e quello dilettanti Belloni il 12.
Nessuno sa che, il 26 aprile, l’Italia, legata dal 1882 a Germania e Austria-Ungheria dalla Triplice Alleanza, aveva firmato il Patto di Londra, che prevede l’entrata in guerra con la Triplice Intesa a fianco di Francia, Inghilterra e Russia entro un mese. Solo il 21 maggio «La Gazzetta dello Sport» annuncia con un titolo a una colonna «Il rinvio del Giro d’Italia». E il 24 maggio, con un titolo temerario a tutta pagina — «Per l’Italia, contro l’Austria hip hip hip, hurrà» — annuncia l’entrata in guerra.
La Grande Guerra è una carneficina orrenda. François Faber, 1.89 per 90 chili, vincitore del Tour e del Giro di Lombardia, è caduto il 9 maggio alla Ferme Bonneval, presso Carency nell’Artois. Pochi giorni prima, dalla trincea, aveva scritto col lapis una cartolina postale alla Gazzetta, piena di affetto e ottimismo, dicendo: «Non temete, vinceremo il Grande Match».
Cadono altri due vincitori del Tour. Octave Lapize, primo a vincere tre Roubaix di fila, ha dipinto sulla carlinga del suo aereo il 4, numero con cui aveva vinto il Tour del 1910. Il 14 luglio 1917 decolla, ma perde il suo secondo duello aereo e precipita a Pont-à-Mousson. Lucien Petit Breton, vincitore di due Tour e della prima Sanremo, primo straniero in testa alla classifica al Giro, a 35 anni, perde la vita in un incidente di strada al fronte, vicino a Troyes, il 20 dicembre 1917.
Nei giorni di Caporetto il bersagliere Carlo Oriani, vincitore del Giro d’Italia del 1913, protegge la ritirata dell’esercito italiano in fuga. Fatti saltare i ponti sul Tagliamento, attraversa il fiume a nuoto. Si trova nel fango tra 350mila sbandati e 400mila profughi. Finisce in un casolare privo di conoscenza. Delira, scosso dalla tosse e da brividi di febbre. I polmoni devastati, viene messo su una tradotta che lo porta al sole. All’ospedale di Caserta resiste solo tre giorni. Il 3 dicembre 1917 si spegne.
Molti girini combattono. Giovanni Cocchi — secondo dei quattro superstiti della terribile Sanremo del 1910 — sorpreso dalla guerra ad Anversa, si arruola nell’esercito belga e ottiene la croce d’argento dell’ordine di Leopoldo, massima onorificenza militare. Pierino Fiore, ferito sull’Isonzo e catturato, narra sulla Gazzetta la storia della sua evasione e della fuga attraverso la Serbia. Edoardo Cucchetti, capitano della 77ma squadriglia aeroplani, muore a 30 anni per ferite riportate in combattimento. Federico Gay, che vincerà quattro tappe nel Giro del 1924, aviatore giovane e audace, ha la medaglia d’argento. Come il pistard Germano Ruggerone, «Eros», che, solo contro 5 aerei nemici, riesce a raggiungere l’obiettivo e a bombardarlo. Invece Amedeo Polledri, che aveva sconfitto il grande Ellegaard, per i francesi «Hirondelle», «Rondinella», cade in un volo di collaudo a Taliedo.
Bersaglieri ciclisti Ottavio Bottecchia è tra i bersaglieri ciclisti, esploratori d’assalto. Viene catturato per tre volte e sempre riesce a fuggire. Prima a Cima Undici, dove evade travestito da soldato austriaco. Poi, preso durante una ricognizione notturna, riesce ad eclissarsi nella notte, senza essere colpito dalle raffiche dei suoi guardiani. Poi a Caporetto combatte nella retroguardia dell’esercito in rotta. Difende la sua terra. A Lestans, frazione di Sequals, il paese di Carnera, viene circondato e fatto prigioniero. Mentre cammina in fila indiana, portando la sua mitragliatrice su un sentiero esposto, chiede di cambiare spalla, si finge sbilanciato e si lascia cadere nel burrone. Rotola per dieci-dodici metri e fa il morto. Non lo degnano di una scarica. Nella notte rientra con l’arma. Ha la medaglia di bronzo. Entrerà nel mito, vincendo due Tour.
Il fratello Giovanni, quando il fronte retrocede sul Piave, si fa paracadutare dietro le linee, nella sua terra, raccoglie dalla sorella Maria le informazioni sui movimenti delle truppe nemiche. Le trascrive in messaggi cifrati, che invia con piccioni viaggiatori. Quando la casa di Colle Umberto viene individuata, Giovanni e Maria sono catturati. Solo la Liberazione li salva dalla condanna a morte. Giovanni riceve la medaglia d’argento, Maria nulla.
Morini e Baracca Georges Passerieu, «Le Gentil», vincitore della Roubaix, respira i gas sulla Somme: morirà nel ’28 dimenticato da tutti. Nello Ciaccheri è ferito sul Carso. Ugaglia perde un occhio come il Vate. Giuseppe Morini, bersagliere ciclista, entra nella cronaca, quando, vedetta, fulmina col moschetto il generale tedesco von Berrer. Francesco Baracca, ciclomane, finanziatore del giro di Romagna, cade il 19 giugno 1918 sul Montello: il cavallino rampante che porta sulla fusoliera sopravvivrà sulla Ferrari. Muore Enrico Toti, volontario, privo di una gamba, bersagliere ciclista: colpito a morte il 6 agosto 1916, scaglia la gruccia contro il nemico.
Addio alle armi Anche Hemingway, a 18 anni, fa la Grande Guerra. Il 27 settembre 1929 pubblicherà il romanzo «A Farewell to Arms», «Addio alle armi»”, sulla rotta di Caporetto, che non vede. Arriva l’anno dopo, come autista della Croce Rossa Americana. La sua guerra dura 40 giorni. Tre settimane a raccogliere feriti sul Pasubio. Una di licenza, con visita al bordello di Villa Rosa. Sei giorni a Fossalta di Piave, dove va in bici a portare sigarette e cioccolata ai soldati di prima linea. A mezzanotte dell’8 luglio 1918, su un isolotto del Piave viene ferito da un colpo di mortaio, poi, mentre porta sulle spalle un ferito grave, dalla mitragliatrice. In «Addio alle Armi» ci sono molti personaggi veri. Il protagonista, il tenente medico Frederic Henry, ad esempio, nasconde l’autore. In quelle pagine, come autieri, ci sono tre nomi di ciclisti: Piani, Gordini e Ajmo. Orlando Piani anche nella realtà era autiere. E Bartolomeo Aimo — all’anagrafe Aimo, non Ajmo o Aymo — era tornato nel 1916 dal Sud-America per la chiamata alle armi. Nel romanzo è l’autista del ten. Henry. L’autore, quando la sua ambulanza s’impana, gli mette in bocca una frase rivelatrice: «La bicicletta è una cosa splendida».Hemingway deve averlo incontrato nel ’18. Aimo salirà sul podio per 4 volte al Giro e per 2 al Tour. Sarà leader del Giro. Al Tour per 2 volte passerà primo sul Vars e l’Izoard, arrivando solo a Briançon. Un campione, che ha conquistato Hemingway.