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 2015  maggio 20 Mercoledì calendario

PERISCOPIO

La sinistra radicale voleva cambiare il mondo, oggi si accontenterebbe della Liguria. Jena. La Stampa.

«Renzi ha fregato D’Alema e amici come se fossero dei bambocci. E lo hanno fatto premier e segretario del partito. Del mio partito. Su tante cose, a partire dal Jobs Act, non sono d’accordo con lui. Ma l’idea di buttarlo giù per sostenere quelli che gli hanno permesso di emergere non mi sfiora». Padre di Bobo e disegnatore premiato «per aver introdotto l’umorismo, la malinconia e la riflessione nel Partito comunista», Staino non ha più sorrisi né orizzonti da dipingere: «Più che a una seconda Bolognina, per il nostro mondo, questi giorni equivalgono al crollo del muro di Berlino». Sergio Staino, disegnatore satirico, inventore di Bobo, l’operaio Pci (Malcolm Pagani). Il Fatto.

Tutto finisce, anche Forza Italia, quindi. Io provo molta amarezza, oltre che molta gratitudine. Sono grato a Berlusconi per questi 21 anni. Sono stati a tratti esaltanti. Ho fatto il ministro. Però è anche vero che da nove anni non ho ruoli, mi limito a pigiare bottoni. Berlusconi rimane un uomo a cui voglio bene, ma... Antonio Martino, ex ministro degli esteri Fi (Mattia Feltri). La Stampa.

La verità è che abbiamo fatto il partito che sognava Berlusconi. Renzi è una versione, tra virgolette, di sinistra di Berlusconi. Massimo D’Alema (Giampiero Calapà). Il Fatto.

Quattordici anni dopo l’Unità, nel 1875, la destra può finalmente annunciare il pareggio di bilancio statale e presentarsi in Europa con i conti in ordine e una moneta forte: l’anno successivo però perde rovinosamente le elezioni. Il partito trasformista che sale al potere, per non lasciarlo mai più, è, prima di tutto, il partito della spesa pubblica. La sua base elettorale, in maggioranza centro-meridionale, vuole meno tasse e, soprattutto, chiede sussidi e finanziamenti, interventi e agevolazioni da parte dello Stato. Vuole protezioni e favori. Il deficit pubblico, com’è facile prevedere, aumentò anno dopo anno. Fabrizio Rondolino. L’Italia non esiste. Mondadori, 2011.

De Gaulle, nel gennaio 1946, abbandona bruscamente la responsabilità del governo di cui era il capo: non sopporta più gli ostacoli del Parlamento sulle sue decisioni. La Repubblica, abbandonata a se stessa, scivola in intese di sottobanco, rivalità, interessi personali, senza vere direttive, senza ambizioni. Il paese ricasca in ciò che aveva conosciuto prima della guerra, la lotta fra partiti che si oppongono, senza dibattito pubblico chiaro, nel Parlamento come nell’opinione pubblica, sulle grandi scelte da fare. Servan-Schreiber, Passions. Fixot, 1991.

È possibile, si domanda Hannah Arendt, che individui apparentemente normali e giudicati tali da esperti psichiatri, possano rivelarsi, in particolari circostanze, criminali efferati senza il minimo senso di colpa? Quanto può essere potenzialmente diffusa quest’anomalia dell’animo umano? La Arendt sosteneva che tali circostanze si possono verificare se mancano le radici, la memoria degli errori passati, il non ritornare sui propri pensieri e azioni, insomma la mancanza di un dialogo interiore con se stessi. «Gnotzi seauton» (conosci te stesso) era la massima esortazione incisa sul frontale del tempio di Apollo a Delfi; devi conoscere la tua mente per capire il mondo e le persone che ti circondano, sosteneva Platone. Sembra però che quest’indicazione si sia persa nei nostri tempi rendendo tutti meno indipendenti nelle scelte della vita, privi di capacità critica e d’immaginazione ma influenzati da un modello culturale invasivo e omologante che rende la massa una sorta di plancton in balia delle onde e del vento, incapace di guardarsi dentro. Fabrizio Pezzani, economista. Avvenire.

A chi gli domandava quale spettacolo gli avesse fatto maggior impressione nella sua vita, un famoso artista rispose: il muro di Berlino. Non muterei risposta. Irrancidito e reso grottesco da milioni di scritte che migliaia di scolari in vacanza vi hanno tracciato con le bombolette, adempie ancor meglio alla funzione di vivente allegoria. La sua forza tragica, turgida e deforme esprime la Germania dopo le due guerre mondiali più di ogni pensabile monumento. Poteva nascere soltanto qua. Oltre che simbolo del calvario d’un popolo, è un’opera d’arte spontanea, innalzata dallo Spirito del Tempo nel luogo adatto. Piero Buscaroli, Paesaggio con rovine. Camunia, 1989.

Che allegria quei pomeriggi senza vicini di casa, senza mariti, senza amanti e senza quegli eccelsi rompicoglioni dei nostri adoratissimi figli. Se il tempo era bello, facevamo un bel falò in mezzo al prato, e arrostivamo un agnello nelle vampe roventi. Ballavamo, cantavamo, ridevamo, ci tenevamo per mano schiamazzando intorno al fuoco finché calava la notte. Allora lasciavamo lo sguardo libero di rincorrere le scintille che si mescolavano alle stelle, scoppiettando. Piera Graffer, scrittrice.

Mia moglie ha voluto una casa in campagna, a 20 minuti da Roma. Quando ci devo andare mi viene l’ansia. Non amo la campagna, mi innervosiscono gli uccellini, detesto l’imbrunire, roba da orticaria. Com’è che dicono? «L’ora che ai naviganti intenerisce il core»? Beh, a me non m’intenerisce un cazzo. In città voglio stare: Roma o Milano. Maurizio Costanzo. Panorama.

Non c’era la televisione, quasi non c’era la radio. C’era il fascismo, c’era la chiesa cattolica. Vivevamo in sfere di solitudine. Si doveva inventare, scoprire tutto da soli. Nella stanzuccia dal finestrino aperto sull’abissale cortile del palazzo fui preso da una catastrofica paura quasi fosse sangue ciò che il mio corpo emetteva. Ma mi si spalancarono le porte del Paradiso. Carlo Coccioli, Tutta la verità. Rusconi, 1995.

Quante cose (mi accorgo stamattina in questa strada di un piccolo sconosciuto paese) mi ha dato mio padre, con le parole, lo sguardo, e nella trama dei geni ereditati. Mi pare, in questo silenzio, di averlo veramente accanto. Impossibile, mi dice la mia anima positivista, con cui faticosamente convivo. Davvero? Mi domanda un’altra parte di me, assorta, attenta, capace di ascoltare anche ciò che non fa rumore. E mi pare che quest’altra me, sorrida. Marina Corradi. Tempi.

La superiorità la mettiamo da parte, direbbe Totò, ma la supposta dove la mettiamo? Walter Siti, Exit strategy. Rizzoli, 2014.

Penso spesso agli altri. Soprattutto quando ne ho bisogno. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 20/5/2015