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 2015  maggio 20 Mercoledì calendario

ARTICOLI SUL CALCIOSCOMMESSE DAI GIORNALI DI MARTEDI’ 20 MAGGIO 2015


CARLO MACRI’ E GIUSEPPE TOTI, CORRIERE DELLA SERA -
C’è il calcio professionistico e dilettantistico «corrotto» e «combinato» dietro l’ennesima inchiesta sulle gare truccate, sviluppata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Cinquanta le persone arrestate tra dirigenti, calciatori, allenatori, imprenditori. Settantasette il numero totale degli indagati, per 28 partite ritenute truccate, tra Lega Pro e Dilettanti, 33 squadre coinvolte. È il bilancio dell’inchiesta condotta dalla polizia e dalla Procura distrettuale di Catanzaro, che scrive nel provvedimento di fermo: «È ai ragazzi che si affacciano al mondo del calcio (...) che gli attori protagonisti di questo nuovo romanzo criminale arrecano il maggior danno (...)». E ancora: «Alcuni dirigenti, presidenti e manager ormai concepiscono la gestione delle proprie società o di quelle da acquisire di volta in volta, esclusivamente come una “fonte di reddito” derivante dalle scommesse che essi stessi piazzano e fanno piazzare sulle partite che sono stati in grado di truccare».
Dalle diecimila intercettazioni telefoniche emergono gli interessi degli scommettitori su alcune gare di Lega Pro come Barletta-Catanzaro, Cremonese-Pro Patria, Monza-Torres, L’Aquila-Tuttocuoio e molte altre ancora. I finanziatori esteri, soprattutto serbi, agivano su input della «cupola» criminale al cui vertice c’erano il boss della ‘ndrangheta Pietro Iannazzo, Mario Moxedano, ex presidente del Napoli e oggi patron del Neapolis (serie D) e Antonio Ciccarone, direttore sportivo dello stesso club. Agli investitori chiedevano di puntare anche su partite del campionato di serie B e Coppa Italia come Crotone-Catania, Livorno-Brescia e Sassuolo-Pescara.
L’obiettivo del gruppo, riassumono gli inquirenti, era «conseguire vincite in scommesse per milioni di euro, che venivano effettuate prevalentemente su siti esteri, dopo aver utilizzato lo strumento della corruzione di calciatori e dirigenti sportivi». Agli atti dell’inchiesta è finita anche una telefonata intercettata il 15 gennaio scorso tra Vittorio Galigani, già d.s. di molte società di calcio, anche di A e B, ed Ercole Di Nicola, d.s. dell’Aquila, in cui si parla di Claudio Lotito, presidente della Lazio. Dice Di Nicola a Galigani: «Hai attaccato Lotito a tutto andare». La conversazione tra i due prosegue sottolineando che in Federcalcio è il 17% dei voti proveniente dai club di Lega Pro che garantisce la presidenza a Tavecchio e che senza questa fetta di consenso l’intero vertice rischia di saltare. Tavecchio e Macalli vengono definiti «in mano a Lotito, che li ricatta».
Il dialogo tra Galigani e Di Nicola si sofferma ancora sul presidente della Lazio, in particolare sul fatto che Lotito è proprietario di fatto, oltre che del club capitolino anche di Salernitana e Bari; e che grazie alla società Infront riconducibile ad Adriano Galliani, sempre secondo i due, Lotito controllerebbe anche il Brescia.
Il premier Matteo Renzi è fra l’incredulo e l’arrabbiato: «Con la Juve in finale di Champions e Napoli e Fiorentina in semifinale di Europa League il calcio italiano non può fare queste figuracce». E l’Osservatore Romano chiosa: «viene voglia di dire basta al calcio schiavo del business».
Carlo Macrì
Giuseppe Toti

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ROBERTO GALULLO, IL SOLE 24 ORE -
Due presunti gruppi criminali con lo stesso intento: fare soldi con una palla che gonfia o meno la rete seguendo l’onda delle scommesse su partite truccate.
La maxi indagine Dirty soccer (Calcio sporco) condotta ieri dalla squadra mobile di Catanzaro e dal Servizio centrale operativo della Polizia su delega del pm Elio Romano della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, è l’ultimo coperchio sollevato sul pentolone marcio dello sport più amato in Italia.
I risultati di 28 match recenti (da settembre 2014 in poi) di serie B e D, Lega Pro, Coppe Italia, oltre a incontri di basket e tennis, sarebbero stati alterati in nome del dio denaro. Decine di giocatori, ex calciatori, procuratori, presidenti, direttori sportivi e agenti avrebbero fatto parte della rete corruttiva internazionale. «Il dato più raccapricciante – scrive Romano a pagina 22 del decreto con il quale sono state fermate 50 persone mentre gli indagati a vario titolo per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva e alla truffa sono quasi 80 – è quello consistente nell’amara quanto palese constatazione di cosa sia diventato lo sport calcistico gestito dagli indagati, in cui emergono palesemente le condotte di tali direttori sportivi, presidenti e manager calcistici che ormai concepiscono la gestione delle proprie società calcistiche o di quelle da acquisire di volta in volta come una fonte di reddito derivante dalle scommesse che essi stessi piazzano e fanno piazzare sulle partite che sono stati in grado di truccare».
In questa operazione, per la Procura di Catanzaro, la ‘ndrangheta entra con Pietro Iannazzo, ritenuto «esponente di spicco dell’omonima cosca di Sambiase, consulente di mercato di Neapolis», squadra dilettantistica di serie D, girone I. Secondo l’accusa Iannazzo, con Mario Moxedano e Antonio Ciccarone (presidente e ds del Neapolis, compagine di Mugnano di Napoli), avvalendosi della collaborazione di dirigenti sportivi, calciatori di altre squadre del campionato di serie D, affaristi senza scrupoli, ha organizzato frodi sportive per garantire la vittoria del campionato al Neapolis. Le frodi del gruppo investirebbero anche gironi diversi, per scommettere sulle gare falsate o cedere informazioni alla cerchia dei soliti amici consentendogli di scommettere sulle partite alterate.
La seconda presunta associazione criminale, il cui terreno di caccia era il campionato di Lega Pro, ruoterebbe attorno alla figura di Fabio Di Lauro, ex calciatore, che gestendo una parte marcia del calcio, secondo l’accusa guadagnava sulle partite truccate, che finanziava tramite gli stretti rapporti con i “signori” delle scommesse del calcio italiano, dell’Est Europa (Serbia, Slovenia e Russia) e del Kazakistan. «Attraverso la mediazione di dirigenti sportivi disonesti e avventurieri in cerca di facili profitti, i finanziatori stranieri – si legge a pagina 23 del decreto di fermo – irrorano le casse delle organizzazioni criminali oggetto d’indagine fornendo denaro ai criminali “nostrani”, che lo usano in primis per “corrompere” i calciatori in modo da avere partite combinate su cui scommettere e realizzare ingenti guadagni».
Nell’indagine c’è spazio per molti nomi noti, che non parlano di calcioscommesse ma di equilibri nel mondo del calcio. Intercettato il 15 gennaio 2015, Vittorio Galigani, ex ds di diverse società, afferma che il dirigente sportivo Mario Macalli e Carlo Tavecchio, presidente della Figc, sono in mano al presidente della Lazio Claudio Lotito, «che li ricatta …Lui adesso con Infront insieme a Galliani, che è un paraculo Galliani, hanno preso anche il Brescia. Infront è Galliani! Infront è Galliani!». Nessuno di loro è indagato. Mentre Tavecchio dichiara che la Figc è «parte lesa per quanto sta succedendo perché continuiamo a subire tutte le situazioni del Paese», il pm Romano, nel provvedimento, melanconicamente ricorda che quanto sta accadendo nel mondo del calcio «è la patologica conseguenza del tramonto della vecchia innocente schedina».
Roberto Galullo

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MARCO LILLO E ANTONIO MASSARI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Gli hanno sequestrato anche l’ultima scommessa. Quei 15 mila euro vinti al casinò di Sanremo, dove l’aquilano Ercole Di Nicola è stato arrestato ieri all’alba. Gli è andata comunque meglio del suo amico Ed che nel pomeriggio di un mese fa – era il 2 aprile – è stato prelevato dai suoi aguzzini.
“Lo stiamo portando in campagna… non ha un euro, ha detto che ieri ha perso di nuovo… che ha bisogno di altro tempo… poi gli ho fatto segno e l’ha sfiancato… proprio male male s’è fatto. E adesso vediamo, pezzo di merda…”. Questa è la cronaca del suo sequestro e del suo pestaggio: Ed Nerjaku viene picchiato perché non riesce a pagare il debito di gioco.
Ma non si tratta di roulette o chemin de fer. Minacce, sequestri, il timore di scontri tra bande armate: la palla rotola sempre più in basso. Lì dove di soldi ne girano pochi e criminali, invece, tanti: “Quest’anno ha deciso che vuole vincere con pochi soldi… ho capito, ma i miei dammeli subito… dice che lui non paga neanche i giocatori, e ho capito, infatti i giocatori non ti fanno vincere il campionato”.
E così ci pensava lui, a far vincere le partite, Pietro Iannazzo, nipote del “moretto”, capoclan della cosca di Lamezia Terme. Andava a braccetto con Mario Moxedano, presidente del Neapolis, offriva tra i 5 e i 7mila euro a chi di dovere, per riuscire a sconfiggere l’Hinterreggio, il 7 settembre 2014. Ma gli andò male: l’Hinterreggio vinse per 2 -0.

Dalla Serie A ai campi di periferia
E così, dopo gli scandali che hanno travolto calciatori della nazionale, del calibro di Stefano Mauri e Beppe Signori, ora è il turno dei calciatori dilettanti. Su di loro punta la ’ndrangheta, i criminali serbi, albanesi, maltesi, perfino kazaki: ecco chi gestisce veramente il pallone, nella lega nazionale dilettanti, il regno già di Carlo Tavecchio che, proprio da qui, ha spiccato il volo verso la guida dell’intera Federazione italiana giuoco calcio. Non manca nulla, in quest’ennesima pagina nera del calcio italiano, incluso il fratello di un candidato alle elezioni regionali campane – Francesco Moxedano (Idv) – fino a pochi giorni fa assessore comunale a Napoli. È proprio suo fratello Mario che briga con il capo cosca di Lamezia per truccare le partite. E non mancano i sospetti su squadre di rango: tra gli incontri incriminati ci sono anche Sassuolo-Pescara del 3 dicembre scorso, in Coppa Italia, e due partite di serie B, Livorno-Brescia del 24 gennaio 2015 e Catania-Crotone del 16 febbraio 2015. Il settore “vecchie glorie”, invece, questa volta è incarnato da Arturo Di Napoli, detto “re Artù”, un passato in Serie A con le maglie di Napoli e Inter. Oggi, da allenatore del Savona, lo accusano di vendere le sue stesse partite ai dirigenti dell’Aquila calcio. Ma torniamo per un attimo all’albanese Ed che il 15 aprile, preso dalla disperazione, chiama suo fratello e lo implora: “Telefona a nonna e dille che ti servono dei soldi…”.

Il pestaggio: “Come piangeva…”
Lo Sco della polizia di Stato – guidato da Renato Cortese – ricostruisce le ore del suo pestaggio: “È evidente – annota lo Sco – che durante il pestaggio e il sequestro i carcerieri di Nerjaku lo hanno costretto a spegnere il telefono”. Per convincerlo a pagare il debito gli sottraggono persino la carta d’identità. Con lui viene pestata anche una persona non identificata. “Se vedi come si sono messi a piangere tutti e due non ci credi!… sembravano due bambini di dieci anni…”. Gli agenti pedinano gli uomini del gruppo, li fotografano a Bellaria, a “l’altro mondo caffè”, e prima di identificarli sono anche costretti a un breve inseguimento. Il gruppo di Mauro Ulizio cresce, inizia a scommettere su partite di Serie B, ma a sua volta non è immune da minacce ed estorsioni. I loro aguzzini sono gli uomini del gruppo di Uros Milosavljevic: il serbo scommette su Albinoleffe-Pro Patria ma perde i suoi soldi. La combine – a quanto pare inesistente, ma assicuratagli dal gruppo di Ulizio – gli è costata 60 mila euro: Uros li rivuole E questa volta è la “banda” di Ulizio a tremare, anche perché Milosavljevic conta buone conoscenze nella ’ndrangheta. E lo Sco annota: “È attuale il pericolo di scontri armati tra i due sottogruppi”.

“Se non lo paghi, lui uccide mio fratello…”
I serbi raggiungono Fabio Di Lauro, una sorta di mediatore tra i gruppi italiani e quelli dell’Est, con un vero e proprio arsenale: “Erano in otto…”, racconta Di Lauro a Ulizio, “due macchine… dentro… delle cose abbastanza grosse… io gli ho detto.. ‘qui in Italia funziona in modo diverso… parlate… si trova un accordo’…”. E Ulizio gli risponde: “Se loro vogliono fare gli scemi, facciamo gli scemi…”. Oltre i serbi e il gruppo Ulizio ci sono anche i maltesi. Come Robert Farruggia. Lo Sco il 19 aprile scopre che Farruggia e il suo socio cinese hanno perso 52mila euro su una scommessa finita male: la combine di Aversa Normanna-Barletta non è andata come previsto. E Farruggia ha un problema: “Senti – dice Farruggia a Felice Bellini – se non lo paghi, lui sta per uccidere mio fratello, domani… se non lo paghiamo… domani… mercoledì… io vengo lì per quell’allenatore…”. E l’allenatore in questione – ricostruiscono gli agenti della seconda divisione Sco, guidata da Andrea Grassi – è Ninni Corda, mister del Barletta. “Digli che io vengo per lui al campo… se qualcuno tocca mio fratello io uccido tutti… digli che domenica vengo al campo per lui… e io voglio i soldi…”. Intanto il gruppo Ulizio offre a Di Lauro di prender parte alla combine più blasonata dell’inchiesta: Sassuolo-Pescara, Coppa Italia, del 2 dicembre 2014. In cambio pretende 150mila per organizzare la frode sportiva. Il gruppo Ulizio avverte Mirosavljevic e soci ma la combine non andrà in porto. Il che, secondo l’accusa, non significa che l’incontro non fosse truccato: “Mettendo in vendita l’incontro per 150mila euro non potevano non essere forti della combine della partita che avevano di certo già imbastito”. Nelle intercettazioni, la partita veniva chiamata “macchina” o “Ferrari”. “Quanto costa la macchina nel caso?”, chiede Di Lauro. “Sui 150”, risponde Ulizio, “tieni presente che è… Ferrari… ”. Quattro minuti Di Lauro contatta la sua amica Ala Timosenco affinché ne parli con Mirosavljevic: “Se puoi chiamare Uros… domani c’è una partita… a livello di serie A proprio… questi mi hanno sparato alto, cento, centocinquanta… è una partita di Coppa Italia… gli dici: ‘questi qui ti fanno arrivare pure fino alla serie A, serie B’… in una partita del genere si riesce a scommettere tanti soldi, pure un milione di euro, pure 2 milioni di euro… se lui è nella potenzialità, va bene… se no cercheremo qualcun altro…”.

Settantamila euro per la serie cadetta
Chi sembra davvero in grado di condizionare partite di serie B, almeno in un’occasione, è Ercole Di Nicola, patron della squadra aquilana. È lui che, secondo l’accusa, offre a Ed Nerjaku di finanziare la scommessa su Livorno-Brescia, prospettandogli di puntare sulla vittoria del Livorno e su un numero di almeno 3 gol. “La gara – annotano gli investigatori – terminava con la vittoria del Livorno per 4 a 2 sul Brescia, come combinato dagli indagati”. I contatti con dirigenti e calciatori delle due squadre non sono stati provati ma le intercettazioni risultano “estremamente rilevanti”. Lo scambio di sms tra i due è esplicito: “Sabato vuoi fare una di B?”, scrive Di Nicola. “Cosa costa ?” risponde Nerjaku. “Hanno chiesto 70 ma qualcosa scendono”. “Che risultato e che quota ?”. “Vittoria… sopra a 2”. La coppia non si ferma a questo incontro: punta anche a un’altra partita di serie B, Catania-Crotone, ma la combine non riuscirà per mancanza di finanziatori. Di Nicola – scrive il gip – a febbraio contatta Nerjaku e senza giri di parole lo informa che sta “lavorando” sulla prossima partita del Catania. Quando l’albanese gli chiede il costo dell’affare, Di Nicola gli risponde “60mila euro” per la vittoria della squadra di casa e “100mila” se associata ad almeno 3 gol. Gli amici di Ed vogliono garanzie: “Non fano niente senza garanzie – scrive nel suo italiano sgrammaticato – ti dano 100. Ma se non esce ne vogliono 200. Senza garanzie loro non li interesa niente. Non dipende da me”. Le garanzie non arrivano, il finanziamento degli amici neanche, ma Nerjaku – memore della vincita su Livorno-Brescia – decide di scommettere comunque 21mila euro. E li perde. Così, quando si lamenta con Di Nicola, riceve questa risposta: “Che cazzo giocate se non l’abbiamo fatta?”

Re Artù e l’intramontabile arbitro De Santis
Negli atti d’indagine compare l’ex arbitro di serie A Massimo De Santis, unico condannato in Calciopoli, oggi collaboratore di Di Nicola nell’Aquila calcio. Non risulta tra gli indagati, a differenza del presidente aquilano, ma gli investigatori annotano più di un episodio che lo riguarda. Durante la partita Santarcangelo-L’Aquila, De Santis fa visita all’arbitro, negli spogliatoi, intrattenendosi circa mezz’ora e facendo infuriare i tifosi avversari. E al telefono con Di Nicola commenta: “Ma ci sta una normativa che vieta a uno che è tesserato di una squadra andare dentro lo spogliatoio per salutarlo? Io al processo me la sono fatta tutta su sto fatto degli spogliatoi eh…”. Tra gli indagati c’è anche la vecchia gloria, Arturo di Napoli, detto “re Artù”, ex di Inter e Napoli, oggi allenatore del Savona. Organizza con Di Nicola, per gli inquirenti, la sconfitta del Savona e lavora ad altre combine, inclusa Grosseto-Santarcangelo, che saranno entrambe segnalate a Di Lauro il quale, a sua volta, le segnalerà al serbo Milosavlievic. È lo stesso Uros del gruppo dei serbi che, di lì a poco andrà a caccia, armato, del gruppo di Ulizio, il quale, a sua volta, sequestrerà a scopo di estorsione, Ed l’albanese, picchiandolo per ore e raccontando: “Piangeva come un bambino…”.

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FABIO TONACCI E FRANCESCO VIVIANO, LA REPUBBLICA -
Due campionati di calcio falsati, quelli in corso di Lega Pro e della Lega Dilettanti. L’ombra della combine che si allunga anche sulla Serie B, con un paio di partite sospette. Calciatori che si fanno autogol o si fanno espellere apposta, dirigenti che truccano le partite, magazzinieri che si vendono le prestazioni dei giocatori. Finanziatori stranieri del Kazakhstan, della Serbia, della Russia. La mano della ‘ndrangheta.
Minacce di morte, pistole e kalashinikov, pure il sequestro di un albanese, Nerjaku Edmond, per un “debito” da 160mila euro dovuto a una partita finita come non doveva. C’è tutto il brutto dello sport più amato d’Italia, in quest’ultimo capitolo sul calcioscommesse, svelato dall’inchiesta della procura distrettuale di Catanzaro. E il pm che ha firmato il provvedimento di fermo per 50 persone, Elio Romano, scrive: «Siamo di fronte a un nuovo romanzo criminale. Urge una riforma radicale della normativa che regolamenta tali tipologie di scommesse». “Dirty soccer”, si chiama l’indagine. E di sporcizia, i poliziotti della squadra mobile di Catanzaro e dello Sco diretto da Renato Cortese, ne hanno ascoltata parecchia in sei mesi di intercettazioni. Sono finiti in galera in cinquanta, tra presidenti di società (Mario Moxedano del Neapolis, Antonio e Giorgio Flora del Brindisi), dirigenti sportivi (11), allenatori (2), calciatori (12), faccendieri e finanziatori. Sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva, alcuni con l’aggravante mafiosa perché favorivano la cosca Iannazzo di Sambiase-Lamezia Terme. Gli indagati sono una settantina e le partite truccate 28, di cui 17 di Lega Pro e 11 di serie D. Le squadre coinvolte sono 33: dalla Pro Patria al Monza, dalla Torres all’Aquila, dalla Juve Stabia alla Cremonese. Il procuratore della Figc Stefano Palazzi, che ha già preso contatti con il capo della Dda di Catanzaro Vincenzo Lombardo, dovrà intervenire per riscrivere le classifiche, con i play off e i play out in corso.
Un terremoto, dunque. Scoperto grazie a una telefonata tra il boss della ‘ndrangheta Pietro Iannazzo e il presidente del Neapolis (milita nel girone I della Serie D) Mario Moxedano. Da lì gli investigatori sono arrivati a scoprire due distinte organizzazioni criminali che agivano, una sulla serie D e una sulla Lega Pro, per truccare gli incontri.
Comprare una partita di Lega Pro costava tra i 40 e i 50mila euro, ma a volte ne bastavano 5mila per avere la disponibilità dei calciatori.
La prima ruotava attorno alle figure di Moxedano, Antonio Ciccarone, ds del Neapolis, e Iannazzo. I tre, con la collaborazione di dirigenti, organizzano le frodi per portare il Neapolis alla promozione. La stessa cosa, ma in un altro girone, facevano i dirigenti del Brindisi. La seconda associazione aveva invece al vertice Fabio Di Lauro, ex calciatore e faccendiere, e i due soci occulti della Pro Patria Mauro Ulizio e Massimiliano Carluccio. Di Lauro era il referente unico dei «signori delle scommesse dell’est Europa», serbi e sloveni soprattutto, ma anche russi ancora da identificare, che tiravano fuori i soldi per corrompere i calciatori, prima, e scommettere sulle combine, poi.

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GIOVANNI BIANCONI, CORRIERE DELLA SERA -
Pietro Iannazzo — già in carcere per ‘ndrangheta, considerato uno dei capi della «cosca imprenditoriale» di Lamezia Terme, il padre ucciso in un agguato di stampo mafioso — l’ha spiegato in maniera molto chiara, in una telefonata intercettata, parlando di Mario Moxedano, presidente del Neapolis che ha conquistato la qualificazione ai play off: «Quest’anno ha deciso che vuole vincere con pochi soldi. Io gli ho detto “va bene, ma i miei dammeli prima”... Ha detto che lui prima non paga neanche i giocatori, e infatti i giocatori non ti fanno vincere il campionato». Iannazzo invece sì. O almeno ci prova. Comprando e vendendo partite, utili a guadagnare posizioni in classifica e molti soldi con il calcio scommesse. Ché altrimenti Moxedano non avrebbe saputo che fare «con la squadra di babbi che ha», laddove babbi sta per stupidi, sprovveduti.
Ecco come la ‘ndrangheta imprenditrice entra, secondo l’accusa, nel dirty soccer , il calcio sporco scoperchiato dalle indagini della Squadra mobile di Catanzaro e dal Servizio centrale operativo della polizia. Un malaffare aggravato — stando al capo d’imputazione — dall’aver favorito uno dei clan emergenti della criminalità organizzata calabrese. Loro, Iannazzo e i presunti complici, si muovevano nel mondo della Lega Pro, mentre l’altro gruppo di scommettitori e truccatori di gare si occupava dei Dilettanti; anche lì c’è il sospetto di relazioni con la malavita locale, per aumentare il peso della corruzione.
«Sono amici, mostra rispetto»
Ne fa un cenno — sottinteso — l’indagato Fabio Di Lauro, quarantenne ex calciatore, originario della provincia di Cosenza, definito dal pubblico ministero che l’ha arrestato «faccendiere che approfitta della parte marcia dell’ambiente del calcio professionistico, traendo cospicui guadagni dalle scommesse sulle partite oggetto di frode sportiva». In un sms inviato al direttore sportivo de L’Aquila calcio Ercole Di Nicola, finito anche lui in carcere, scriveva, a proposito di soci scommettitori stranieri di cui temevano reazioni un po’ troppo decise se gli affari non fossero andati a buon fine: «Loro sono amici miei, non pensare che fanno senza di me, c’è una amicizia di persone della Calabria vicine a loro, mostra rispetto...». Traduzione degli inquirenti: Di Lauro «intimava il complice a “mostrare rispetto” nei confronti dei complici stranieri che venivano ricollegati, per amicizia e vicinanza, a personaggi della ‘ndrangheta». Il riferimento è allo sloveno Uros Milosavljevic, 33 anni ancora da compiere ma molto attivo nel settore delle scommesse in mezzo mondo.
Di Nicola è colui che «offriva al complice albanese Edmond Nerjaku il finanziamento della scommessa sulla gara Livorno-Brescia, valevole per il campionato di serie B»; costo dell’operazione 70.000 euro, come si evince da uno scambio di sms piuttosto eloquente — utilizzando apparecchi intestati a nomi inesistenti di un tunisino e un birmano — avvenuto a gennaio scorso, tre giorni prima della partita: «Sabato vuoi fare una di B?», «Cosa costa?», «Hanno chiesto 70 ma qualcosa scendono», «Che risultato e che quota?», «Vittoria... sopra a 2», cioè vincita oltre il doppio della puntata. «Esce sicuro», garantiva Di Nicola, e l’albanese: «Ok... è un canale importante, non facciamo cazzate». La partita finì 4 a 2 per il Livorno «come combinato dagli indagati», nota il pubblico ministero, pur sottolineando la mancanza di prove «di contatti specifici con dirigenti e/o calciatori delle due squadre interessate». Tuttavia la vicenda «evidenzia la sicurezza degli indagati sulla ritenuta possibilità di espandere le proprie mire illecite agli incontri calcistici di categoria superiore».
«Hanno sparato alto, 100, 150...»
Dalla serie B alla Coppa Italia il passo è breve, e secondo l’accusa il gruppo degli scommettitori aveva messo gli occhi anche su Sassuolo-Pescara giocata il 2 dicembre 2014: «Di Lauro prendeva contatti con il duo Ulizio - Carluccio apprendendo che questi avevano messo in vendita l’incontro al miglior offerente, e non perdeva occasione per avvertirne i “compari” stranieri, Uros Mirosavljevic e soci». Mauro Ulizio e Massimiliano Carluccio, inseriti a pieno titolo nell’organizzazione che gestiva le partire della Lega Pro, vengono definiti «soci occulti e dirigenti “di fatto” della Pro Patria»; Di Lauro avrebbe venduto l’informazione ad Ala Timosenco, la donna del gruppo, considerata l’intermediaria e la traduttrice per il gruppo dei serbi. A caro prezzo però, fino a 150.000 euro: «Questo mi hanno sparato alto, 100, 150, ok… È una partita di coppa Italia, poi ti mando il messaggio».
L’affare però sfuma, e allora «il duo Ulizio - Carluccio» prova con un’altra partita: Cremonese-Pro Patria del 15 dicembre scorso, nella quale — accusa la procura di Catanzaro — potevano contare anche sulla collaborazione dell’allenatore e di tre calciatori della Pro Patria, tra i quali il figlio di Ulizio, Andrea. La ricostruzione di questa partita, vinta 3 a 1 dalla Cremonese grazie a episodi che rivisti in tv paiono grotteschi, sembra quasi un paradigma di come funzionava il sistema. Il gruppo recupera finanziamenti dagli stranieri per pagare i giocatori e poi scommette forte sul risultato di cui sono certi. Al punto che Carluccio telefona al padre: «Dì alla mamma poi, di andare alla banca... al conto suo e di ritirare tutto quello che c’è, poi quando vieni ti dico». Secondo gli inquirenti la somma era «certamente da impiegare per scommettere sulla partita che stavano combinando».
Ai calciatori coinvolti — il portiere che garantisce una papera, un difensore che goffamente lo mette in difficoltà e il centrocampista che si fa espellere (Ulizio jr) — sarebbero toccati 5.000 euro a testa; poi l’allenatore nello spogliatoio ha fatto la ramanzina ai calciatori sbagliati (e Ulizio sr si congratula via sms «mio figlio dice che sei il numero 1»); infine il padre si adopera perché il figlio espulso venga squalificato per un solo turno. E i commenti del dopopartita suonano incredibili, se non si pensa alla frode riuscita. Al telefono con un’amica Ulizio esulta per la sconfitta della sua squadra: «Stiamo rientrando, è finita la partita!... 3 a 1 per la Cremonese! Tutto bene, tutto a posto... Oh, siamo felici!», e ride.
«Una strizzatina la dobbiamo dare»
Non ha invece voglia di ridere, Ulizio, quando vende una partita a Uros Milosavljevic che investe 60.000 euro e li perde, e lui deve restituire la somma; per i magistrati è una vera e propria estorsione da parte dello sloveno, mentre è un sequestro di persona quello realizzato ai danni dell’albanese Nerjaku, che non si decideva a onorare un debito. Carluccio ne parla al telefono con Ulizio: «Ne ha prese, ma tante ne ha prese da Massimo, adesso lo stiamo portando in campagna… non ha un euro, ha detto che ieri ha perso di nuovo… che ha bisogno di altro tempo… poi gli ho fatto segno e l’ha sfiancato proprio… proprio male male si è fatto… adesso vediamo… una strizzatina la dobbiamo dare, altrimenti questo la porta sempre alla lunga». Tra gli scommettitori ci sono pure dei maltesi, e l’evocazione della violenza compare non appena si creano problemi di soldi persi o da restituire. Come quando il finanziatore Robert Farrugia spiega al calabrese Felice Bellini, già dirigente del Gudja United di Malta passato alla Vigor Lamezia, che un suo socio pretende indietro il denaro: «Se non lo paghi lui sta per uccidere mio fratello… domani…».

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GUIDO RUOTOLO, LA STAMPA -
Questa è la storia di una colossale frode sportiva. Dove ’ndrangheta, calciatori, società, dirigenti sportivi, scommettitori hanno fatto «sistema», truccato le partite, alterato l’esito dei campionati, per vivere la grande illusione di dare una svolta alla propria vita. Di arricchirsi. E di far sopravvivere le stesse società a secco di liquidità.
Verso scenari inediti
Cinquanta fermi, settantasette indagati, ventotto partite truccate, 15 di Lega Pro e 13 di Lega nazionale dilettanti. Partite dei campionati appena conclusosi, mentre sono in corso i gironi di promozione e retrocessione. In tutto le squadre coinvolte sono 33. In discussione i campionati di Lega Pro (gironi A,B,C) e Lega nazionale dilettanti (gironi H e I). Le indagini della squadra Mobile di Catanzaro e dello Sco centrale hanno riguardato solo l’arco temporale di questo campionato in corso. Figuriamoci cosa avrebbero scoperto se le indagini fossero iniziate molto prima. Se adesso i fermati, o gruppi di loro, dovessero decidere di collaborare, si potrebbero aprire scenari inediti.
Indagando su una cosca di ’ndrangheta di Lamezia Terme (cosca Iannazzo), dalle attività di intercettazioni ambientali e telefoniche è emerso un impressionante spaccato di corruzione e frode sportiva. Nelle antiche e recenti inchieste sul calcio scommesse ci trovavamo di fronte ad alcuni giocatori, anche famosi, coinvolti nel meccanismo delle partite truccate. Qui siamo, invece, a un «sistema». A una rete di complicità talmente diffusa e trasversale che non basta una semplice operazione chirurgica con la quale recidere la parte malata: cinquanta fermi, settantasette indagati per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, sequestro di persona, estorsione, corruzione. Il tutto con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa.
Rete internazionale
Giocatori, dirigenti sportivi, presidenti di società, scommettitori slavi, maltesi, albanesi. E soprattutto - è questa la novità sconvolgente - la ’Ndrangheta. E poi c’è l’aggravante della transnazionalitá con gli investitori maltesi, serbi e albanese che portano cash da giocare su piattaforme estere. Truccate le partite dei campionati appena finiti, mentre sono in corso i gironi di promozione e retrocessione. Gli investigatori hanno registrato «andamenti anomali nei flussi delle giocate». E le partite truccate hanno riguardato anche quelle quotate ufficialmente (e dunque la pena prevista è ancora più pesante).
Personaggi chiave
Non si può quindi parlare di «mele marce» ma di un sistema capace di condizionare i risultati delle partite. Personaggi appartenenti a due distinte organizzazioni criminali. Il personaggi chiave del gruppo che promuove le combine di serie D sono Mario Moxedano, Antonio Ciccarone e Pietro Iannazzo. Il primo, presidente, l’altro direttore sportivo del Neapolis (girone I del campionato Lega nazionale dilettanti). Iannazzo, arrestato la settimana scorsa per associazione mafiosa, è stato direttore sportivo in passato.
Le squadre che hanno beneficiato degli imbrogli di questo gruppo sono il Neapolis e il Brindisi, protagoniste dei prossimi play-off. Il secondo gruppo criminale che si è occupato di truccare le partite della Lega Pro vede come personaggi principali Ercole Di Nicola, Fabio Di Lauro, Mauro e Andrea Ulizio, Daniele Ciardi e altri ancora. Tutti dirigenti sportivi ed ex calciatori.

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GIULIANO FOSCHINI, LA REPUBBLICA -
Un campionato governato da «Lotito, che ricatta il presidente della Figc, Tavecchio e quello della Lega Pro, Macalli», con gruppi criminali, italiani e stranieri, che si spartiscono gare venendole al miglior offerente. Giocatori che mettono all’asta lo sport, padri allenatori che costringono figli giocatori a vendere partite, padri che pagano per fare scendere in campo calciatori ancora bambini. Assomigliano a un ingorgo di malavita le serie minori del calcio italiano, raccontate nelle duemila pagine di fermo nella quali la procura di Catanzaro ha messo una accanto all’altro storie, soldi, nomi e cognomi.
SPUNTA IL NOME DI GALLIANI
Primo punto: chi comanda in Lega Pro? Per i magistrati alcuni gruppi criminali, italiani e stranieri. Ma alcuni dei protagonisti di questa storia, intercettati dai poliziotti dello Sco e della Mobile di Catanzaro, sostengono che c’è dell’altro. La procura nel decreto di fermo, ritenendola penalmente rilevante, cita per esempio una conversazione tra un ex direttore sportivo di lungo corso, Vittorio Galigani, che non è indagato, con uno degli arrestati nel blitz di ieri, il direttore sportivo dell’Aquila, Ercole Di Nicola. «Galigani lamentava una diffusa quanto generale atmosfera di prevaricazione e malaffare imperante in seno agli organi di potere della Lega Pro». A che faceva riferimento? «Lotito — dice Galigani — ha rotto. Macalli e Tavecchio sono in mano a lui che li ricatta (...) Ora con Infront insieme a Galliani hanno preso anche il Brescia. Infront è Galliani». «Quindi — chiosa Di Nicola — ha Lazio, Salernitana, Brescia e Bari».
LA COMPRAVENDITA NEI RITIRI
Né Lotito né Galliani sono indagati. Anche perché alla procura non interessa chi sono i padroni. Ma chi commette reati. Perché qui nessuno scherza. Per dire, per i ritiri dei campionati minori giravano maltesi, slavi che propone- vano compravendite di partite. Ed erano bravi nel mestiere. In una delle gare sotto inchiesta, Juve Stabia-Lupa Roma, per esempio, le cose non sembrano mettersi come devono. E allora quel Fabio Di Lauro, ex calciatore, considerato dagli investigatori il «signore delle scommesse », spiega chiaramente a Di Nicola come stanno le cose: «Loro sono amici miei, non pensare che fanno senza di me, c’è una amicizia di persone della Calabria vicine a e loro, mostra rispetto ».
Non scherzavano nemmeno i maltesi vicini a Robert Farrugia. Malta è capitale del calcioscommesse, perché hanno sede legale alcune dei bookmakers più importanti e i campionati locali sono considerati scuole di “match fixing”. Farrugia sale sino a Barletta, Puglia, dove la squadra di Lega Pro si è a sorpresa salvata con buon anticipo. E altrettanto a sorpresa esonera l’allenatore. Sulla panchina arriva Ninni Corda, contestato per un passato discusso, che compie un miracolo: tre mesi e tre partite truccate. In una però non fa quello che gli viene chiesto da Farrugia e rischia, tanto che la polizia compie di corsa gli arresti anche per la sua incolumità. Farrugia spiega a una persona che il complice cinese che aveva scommesso con lui sulla partita sulla quale Corda ha tirato il pacco gli ha sequestrato uno dei suoi fratelli: «Se non lo paghiamo lo uccide... Quindi io vengo lì per quell’allenatore ». Corda offrirà come risarcimento l’alterazione, questa volta riuscita, di un’altra gara.
Ha rischiato tanto anche Edmond Nerjaku, secondo la procura finanziatore di combine per conto di uno dei gruppi: non aveva saldato il debito e allora fu sequestrato e seviziato.
ESPULSIONI E AUTOGOL FANTOZZIANI
Se dunque è chiaro come si alterano le partite e con che soldi, non è stato ancora definito esattamente quali sono i giocatori che partecipano alle combine. E questo perché l’indagine è appena cominciata. Ci sono i tradizionali autogol volontari, le espulsioni fantozziane, le papere dei portieri (imperdibile quella del numero uno del San Severo), gli allenatori che criticano gli onesti (mister Tosi dopo Cremonese-Pro Patria giustifica la «papera » del portiere Melillo, il rigore procurato da Gerolino e l’espulsione inconsulta che si era guadagnato Ulizio) ma manca molto per chiudere il cerchio: tutti i calciatori. Per esempio, è chiaro che l’organizzazione criminale si muovesse in Lega Pro e in serie B. Se Catania-Crotone alla fine sfuma, agli atti risulta anche che il solito Di Nicola chiedeva «a un complice albanese 50mila euro in cambio dell’informazione su Livorno Brescia del 24 gennaio 2015: vittoria del Livorno ». Ed effettivamente la partita finì 4-2 per i toscani che ora si apprestano a giocare i play off per la A. Non solo: «Il 2 dicembre 2014 — si legge nel provvedimento di fermo — si disputava la partita di Coppa Italia, tra il Sassuolo, squadra di A, e il Pescara, compagine di B». Due scommettitori dicono a Di Napoli che «avevano messo in vendita l’incontro al miglior offerente a un prezzo di 150.000 euro: avevano di certo già imbastito promettendo lauti compensi a qualcuno dei partecipanti all’evento sportivo, che fosse del Sassuolo o del Pescara».
PADRI CORRUTTORI E FIGLI
In Pro Patria-Pavia c’è invece l’incredibile storia della famiglia Ulizio, dove il padre, Mauro, di fatto costringe il figlio, Andrea, a truccare la partita. Il primo è infatti «direttore occulto della società», il secondo invece è un calciatore: la partita finisce 2-3 come prevista dal gruppo. Negli atti ci sono poi altri tipo di padri. Quelli, scrive la Dda di Catanzaro, che «offrivano denaro a dirigenti calcistici compiacenti per averne in cambio la promessa della convocazione in squadra dei loro ragazzi». Le tangenti per una maglia juniores.

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STEFANO CAPPELLINI, IL MESSAGGERO -
Appena due giorni fa la Federazione Italiana Giuoco Calcio ha diffuso un report, realizzato con la collaborazione di Arel e Pwc, dal quale si ricava la notizia che il calcio italiano è tra le prime 10 aziende del Paese: giro d’affari di 13 miliardi di euro, valore della produzione a 2,7 miliardi. Sulla passione disinteressata di milioni di italiani si fonda un’industria che muove posti di lavoro, ricchezza, investimenti, entrate fiscali. Della salute di questo mondo ci si dovrebbe dunque preoccupare non solo per ragioni che riguardano classifiche e titoli – giustamente in cima ai pensieri dei tifosi ben più di cifre e bilanci – ma anche per le potenzialità che l’industria del pallone può esprimere, non diversamente da come si ragionerebbe per settori tradizionali come la siderurgia o il tessile. E ragioni di preoccupazione non mancano da tempo, né le cronache si incaricano di dissiparle, anzi. La conferma viene da due storie diversissime, esplose nello stesso giorno a minare la credibilità di un settore già povero di referenze positive.
L’ultima puntuale ondata di arresti per calcioscommesse introduce il definitivo sospetto che il business delle partite truccate sia ormai un’attività stabilmente controllata dalla malavita organizzata, specie in quelle aree del Paese dove le mafie controllano altre fette di economia legale. Nel caso del calcio, per giunta, questa infiltrazione è usata, oltre che come mezzo per ricavare profitti illeciti, anche per ottenere consenso sul territorio.
Dai tempi ruspanti del Totonero di trent’anni fa il calcio è abissalmente cambiato, ma finanza e professionismo esasperati non hanno estirpato la malapianta della corruzione. Al contrario, il fenomeno è diventato endemico, non risparmia il calcio in vetrina della serie A e imperversa nelle serie minori dove la crisi economica ha esposto al rischio bancarotta un numero elevato di società e reso ancora più permeabile alle tentazioni il sottobosco di calciatori, procuratori e presidenti di provincia. È una sconfitta culturale del calcio italiano e della sua malferma giustizia che ogni volta parte con intenti di pulizia radicale e spesso arriva con sentenze ambigue, sconti progressivi di pena con l’avanzare dei gradi di giudizio e colpi di spugna. Si assiste così periodicamente al paradosso di una giustizia sportiva che, a differenza di quella ordinaria, addebita all’indagato l’onere di dimostrare la propria innocenza – in teoria un presupposto di severità giustizialista – e che però da decenni produce soprattutto impunità, omertà, lassismo.
Si sbaglierebbe a dedurre da quest’ultima inchiesta che il problema principale sia la vigilanza sui campi mal illuminati di provincia. L’ispezione di ieri dell’Antitrust nelle sedi di Lega calcio, Sky e Mediaset è il secondo tempo di una vicenda, quella della vendita dei diritti tv dei campionati 2015-18, già finita lo scorso giugno all’attenzione dei media per i suoi bizantinismi. L’asta che avrebbe dovuto premiare le offerte migliori, e favorire la concorrenza nel settore, si chiuse con un accordo ex post e un annullamento di fatto della gara. Una soluzione all’italiana, discutibile a prescindere dall’esito degli accertamenti che le autorità stanno svolgendo, favorita dalla disponibilità della Lega, la Confindustria del calcio, a incassare meno di quanto avrebbe potuto.
Il calcio, proprio come il Paese che ne resta innamorato a dispetto dei fatti, soffre di una cronica allergia alla certezza delle regole: i cori razzisti si interpretano, le bombe carta sui tifosi si condonano, le sanzioni si improvvisano. Un quadro figlio di una strutturale mancanza di programmazione e di una crisi di governance, dato che alcuni dei dirigenti chiamati a fronteggiare questi mali sono gli stessi impegnati a giustificarsi per le loro dichiarazioni sui giocatori neri o sugli orientamenti sessuali delle giocatrici. E c’è poco da dare colpe alla politica o alla malasorte se il calcio numero uno al mondo fino a vent’anni fa è oggi la terza se non la quarta scelta degli investitori esteri, se persino i club di serie A sono terreno di razzìa per oscuri raider, se gli stadi delle nostre città sono insieme i più fatiscenti e i più deserti d’Europa e, in compenso, neppure i meno cari.
Stefano Cappellini

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FABIO MONTI, CORRIERE DELLA SERA -
I campionati di serie C (ben prima che nascesse la Lega Pro) non sono mai stati esempio di alta moralità applicata al pallone. Già le 90 società di un tempo (ora sono state ridotte a 60 divise in tre gironi, fine di C1 e C2, studiate in tempi di ricchezza a partire dal 1978-1979) hanno riassunto vizi e virtù del Paese: club modello insieme ad altri gestiti con criteri al di sotto di ogni sospetto. La crisi economica, che ha avuto pesanti riflessi anche sul pallone, ha aggravato la situazione, nonostante la forte diminuzione del numero delle società. La Lega Pro, in realtà, è un consorzio di entità che vivono con risorse economiche prossime allo zero. I tagli operati dal Coni nei confronti della Figc hanno ridotto drasticamente i contributi federali; i soldi derivanti dai diritti tv (legge Melandri) sono pochissimi; gli ingaggi dei giocatori sono in maggioranza quelli previsti dal minimo sindacale. In più la guerra in atto da un anno fra il presidente Macalli (ora squalificato per sei mesi) e i suoi oppositori ha intossicato l’ambiente, spaccando la Lega non in due partiti, ma in più fazioni, che si confrontano senza esclusione di colpi. La possibilità di scommettere legalmente su partite che non vengono vivisezionate in tv come quelle di A e B avvicina qualsiasi tentazione. Così non sorprende che abbiano trovato spazio personaggi di dubbia moralità, uniti da una caratteristica: la propensione a entrare in campo, annunciando grandi investimenti, trarre qualche provvisorio e personale vantaggio, prima di scomparire per qualche tempo e di ripresentarsi alla guida di un’altra società. E non soltanto al Sud. Il club fallisce in corso d’opera; i soldi spariscono e c’è chi per sopravvivere o per arricchirsi punta tutto sulle scommesse «sicure». Servirebbero, come un tempo, i presidenti-mecenati, pronti a investire nei club soldi soltanto per passione. L’idea di trasformare la Lega Pro in un laboratorio di idee e di innovazioni tecniche non decolla. E intorno ai giocatori crescono gli episodi di violenza e di intimidazione, che creano un sordido clima di ricatti. Altro che sport, è quasi una guerra.

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GUGLIELMO BUCCHERI, LA STAMPA -
Negli uffici di via Campania a Roma, sede del palazzo di giustizia del pallone, non c’è più spazio. Sul tavolo del procuratore federale Stefano Palazzi, a breve, finiranno anche gli atti dell’inchiesta che, la notte scorsa, ha preso in ostaggio il campionato di Lega Pro e quello dei Dilettanti (nelle stesse ore arriveranno le carte dell’inchiesta di Cremona sulle combine in serie A): il pm del calcio, ieri, ha riunito i suoi più stretti collaboratori e si è messo in contatto con la procura della Repubblica di Catanzaro. Quali saranno le ricadute sportive del nuovo caos scommesse? La stagione arrivata ai play off terminerà regolarmente, poi, in piena estate, via ai processi e alle eventuali sanzioni che potrebbero riscrivere le classifiche dei gironi di Lega Pro e dei Dilettanti, con ripescaggi o esclusioni. Diverse delle partite incriminate erano, in realtà, già oggetto di indagine da parte degli 007 della Figc, così come sotto la lente degli uomini di Palazzi ci sono altri incontri di Lega Pro non inclusi fra le gare combinate per la procura di Catanzaro.
Il via libera alle puntate
A rischiare, per la giustizia sportiva, potrebbero essere tutti quei tesserati che sapevano e non hanno denunciato, come l’allenatore del Monza Pea, non indagato a Catanzaro. «L’aver dato il via libera alle scommesse on line anche sulla serie D può contribuire ad ampliare il fenomeno...», è la riflessione che arriva dagli uffici federali. Il tema della possibilità dell’apertura delle scommesse sportive anche ai campionati dilettanti fu molto discusso e dibattuto. Poi, nell’ottobre scorso, la svolta e la concessione anche per i bookmakers italiani.

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