Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 20/5/2015, 20 maggio 2015
DEFLAZIONE
In sé l’evento fa «notizia». La Gran Bretagna, in aprile, ha visto il costo della vita (anno su anno) andare al di sotto dello zero. Un rosso dello 0,1% che, con riferimento alle stime comparabili, non si vedeva addirittura dal 1960. Ciò detto, però, quello che interessa è capire se il calo sia un incidente di percorso oppure il segnale di qualcosa di più profondo. In generale, seppure con le ovvie eccezioni, gli esperti propendono per la prima ipotesi. «La festività di Pasqua, caduta in aprile - indica Christian Schulz di Berenger -, ha giocato un ruolo importante. Le tariffe aree e dei viaggi in nave, infatti, hanno attualmente un impatto deflattivo». Inoltre, «il rialzo del prezzo della benzina indica che la pressione al ribasso, legata al crollo del petrolio, va diminuendo». «E poi - aggiunge Luca Barillaro, trader a Piazza Affari-, il rafforzamento, negli ultimi mesi, della sterlina sull’euro ha permesso un calo dei prezzi dei beni importati». Insomma, i più suggeriscono che già nei prossimi mesi si dovrebbe vedere il ritorno dell’inflazione.
Al di là di queste valutazioni, non può però negarsi un altro aspetto. Quale? È presto detto. Ogni dato che indica il rallentamento dell’economia può costituire l’alibi (o l’opportunità) per rimandare l’exit strategy delle banche centrali dalle politiche ultra-espansive. Queste hanno innondato il mercato con immense quantità di denaro. Ritirarlo senza provocare crisi anche e, soprattutto, sul fronte della valute è difficile. Ne sa qualcosa la Federal reserve statunitense. Il suo presidente Yanet Yellen, da tempo, ha raggiunto il target fissato sul fronte della disoccupazione. Eppure, continua a rimandare la stretta. Il motivo? Ovvio: il dollaro troppo forte a causa, in particolare, del Qe della Bce. Alzare i tassi significa attirare flussi di denaro. Con il che, da una parte, il biglietto verde continuerebbe a salire. E, dall’altra, l’export Usa avrebbe ulteriori problemi. D’altro canto l’impatto, in questo momento, della strategia di Mario Draghi lo si è visto proprio ieri. Nonostante l’inflazione dell’Eurozona dia segnali di ripresa, sono bastate le parole del consigliere Benoit Coeuré per spingere all’ingiù la divisa unica. Non solo rispetto al dollaro ma anche nei confronti della stessa sterlina. Quest’ultima, in avvio, è arrivata oltre 1,398 sull’euro per ridiscendere, dopo la pubblicazione dell’inflazione, a quota 1,382. Mercato volatile, insomma! E tuttavia su valori che restano elevati.
Certo la Bank of England, con il Qe di Draghi in azione, non punta alla stretta immediata. E però, una svalutazione del «pound» in scia alla deflazione interna non è una bella strategia. Meglio avere inflazione e gestire, senza lacci e lacciuoli, il cambio.