Varie, 19 maggio 2015
Storia del sigaro
Sigaro per Sette - Il sigaro toscano compie duecento anni. Firenze, 1815: ammassato nel cortile della Manifattura Tabacchi, un mucchio di tabacco Kentucky si inzuppa di pioggia. Il giorno dopo, il sole lo fa fermentare. Per non gettare il tabacco andato a male, il direttore decide di usarlo come ripieno per sigari da vendere a infimo prezzo. L’accoglienza è entusiasta, i sigari vanno a ruba e vengono battezzati “Toscani”. Leopoldo II, Granduca di Toscana, soprannominato “Canapone” per l’alta statura e i capelli biondi, durante i suoi incontri con i sudditi distribuiva sigari toscani. Nel 1851 emanò una legge rigorosa sul monopolio del tabacco. Nel 1859, costretto ad abbandonare Firenze, dalla carrozza che lo conduce all’esilio, urla: «Me ne vado, ma ve ne pentirete; i toscani che fumavate quando io c’ero non li fumerete più!». «Nome di sigaro forte italiano – toscano in origine – che suole fumarsi spezzandolo in mezzo. Fa orrore alle dame. I fiorentini ricordano anche oggi il sigaro toscano dei tempi del Granduca, come gli Dei spodestati dell’Olimpo ricordano l’ambrosia bevuta alla tavola di Giove» (Carlo Collodi). Renzi a Raúl Castro in visita in Italia ha donato una scatola di sigari toscani. Il toscano (anche detto «stortignaccolo») nel 1818 entra regolarmente in produzione e per quasi 130 anni la fabbricazione si svolge prevalentemente a Firenze. Alla fine della Seconda guerra mondiale la produzione dello si sposta nelle manifatture di Lucca e Cava dei Tirreni. La realizzazione del sigaro toscano, stando agli atti della commissione d’inchiesta sui tabacchi del 1881, «esige l’opera intelligente dell’operaio e l’azione del tatto». Prima dell’assunzione venivano toccate, pesate e valutate le mani dell’aspirante operaio, che dovevano essere elastiche. Nell’Ottocento solo gli uomini fumavano il sigaro toscano, ma a lavorare il tabacco erano le donne. Una sigaraia confezionava circa 550 pezzi al giorno. «Una brava sigaraia si distingue dalla sensibilità manuale e dalla capacità di scegliere il giusto quantitativo di tabacco, i filamenti, che teniamo in piccoli sacchi, da avvolgere nella foglia, che poi va stesa, tirata e intagliata con delicatezza» (una sigaraia). A Roma, Pio IX fece costruire la prima manifattura di tabacco a Piazza Mastai: tredicimila metri quadrati, centosessantotto metri di facciata, tre milioni di costo. Scopo dell’iniziativa: dare un lavoro alle tante giovani costrette dalla miseria a prostituirsi. Risultato: le sigaraie, posto fisso e salario sicuro, si sposavano giovanissime, sedotte dai bulli in cerca di un buon partito. Tutte le fasi (dalla semina alla produzione) della lavorazione del sigaro toscano sono realizzate in Italia. I tabacchicoltori sono circa 200, concentrati in Toscana, Lazio, Umbria, Campania e Veneto. Addetti: 1.800. Un centro di ricevimento, perizia e sviluppo tabacco (Foiano della Chiana) e due manifatture (Lucca e Cava dei Tirreni). Mst (Manifatture Sigaro Toscano) assorbe il 90% della produzione nazionale di Kentucky e arriva al 100% nel caso della foglia da fascia. Il sigaro toscano è distribuito in oltre 40 Paesi (Europa, Giappone, Canada, Australia, Israele, Libano, Turchia, Russia e Argentina). L’export e il duty free con i 13 milioni di pezzi venduti (nel 2006 erano 4,5 milioni) contribuiscono per il 5,7% al fatturato (90 milioni nel 2013). Il sigaro si diffuse in Europa solo molto tardi: fino alla fine del Settecento non se ne ha notizia. In Asia e in India era invece già conosciuto alla fine del Cinquecento. Nel 1867 esistevano solo due tipi di toscani: il “fermentato superiore”, da sette centesimi, e il “fermentato comune” da cinque centesimi. A Bologna nell’Ottocento un sigaro toscano costava otto centesimi. La moneta corrente era il Carlino (dieci centesimi). Il 21 marzo 1885 esce il primo quotidiano venduto in tabaccheria, prezzo: due centesimi, distribuito come resto a chi comprava un sigaro. Nome del giornale: Il resto del Carlino. Vari tipi di toscano: toscano originale, antico toscano, extravecchio, garibaldi e toscanelli. È stato venduto all’asta per 4.500 sterline un avanzo di sigaro fumato da Churchill. Churchill: «Io bevo molto, dormo poco e fumo un sigaro dopo l’altro, ecco perché sono in forma al duecento per cento». Churchill fumava sigari cubani, il primo toscano gli fu offerto dal regista italiano Mario Soldati. Gheddafi a un vertice arabo, avendo in antipatia re Fahd dell’Arabia Saudita, si presentò nell’aula del summit con un grosso sigaro, si sedette dietro al sovrano, accese il gigantesco Avana e indirizzò il fumo sul capo del re, che soffriva di cuore. Giovanni Spadolini si affidava al toscano per «acquistare autorevolezza». Marco Pannella ha detto di fumare 60 toscanelli alla grappa in un solo giorno. In Italia fra gli anni Sessanta e Settanta fumare il sigaro era considerato disdicevole per gli intellettuali. Fumatore accanito di toscani, Mario Soldati dovette ridurre il consumo per motivi di salute. Si fece allora costruire una macchinetta che fumava i sigari per riempire la casa del loro aroma. Quando il sigaro che Al Capone aveva in bocca si spegneva, automaticamente qualcuno balzava al suo fianco e faceva scattare l’accendino. Avversione di Groucho Marx per i sigari italiani. Una volta raccontò di averne comprato uno a Roma in via Sistina: «Lo avevo appena acceso che dalla mia gola uscì, insieme a una tosse terribile, una parolaccia terribile. E, attraverso il fumo di quel sigaro, vedo due preti che mi guardano e così impallidisco chiedendomi cosa succederà a Groucho Marx, sorpreso a dire parolacce in una città santa come Roma. Così faccio per allungare il passo ma i preti mi agguantano e in perfetto inglese mi dicono: “Avete detto la parola giusta, signore. Ecco un buon sigaro”. E mi danno un sigaro americano. Mi avevano visto alla televisione». «Scegli me o il sigaro» disse a Groucho Marx la moglie. Lui rispose: «Non preoccuparti, cara. Resteremo sempre buoni amici». Garibaldi è l’unico uomo al mondo ad aver fumato il sigaro nel salotto della duchessa di Sutherland (anno 1864). Chiese anche delle sputacchiere e gli furono subito offerte. Pietro Mascagni pesava il sigaro, poi pesava la cenere e il mozzicone rimasto. La differenza era il peso del fumo. Spesso scommetteva sull’esattezza della valutazione. Al commediografo Giovacchino Forzano, amico suo, vinse mille lire. Questi commentò: «Soldi andati in fumo». «I sigari sono uno dei miei pochi vizi, e penso che gli uomini trovino qualcosa di stuzzicante nel vedere una donna che fuma un grosso sigaro» (Salma Hayek). Nel Manuale del fumatore (1866) del coltivatore e annusatore di tabacco Giacomo Sormanni si dice che «le signore col sigaro in bocca fanno una cattiva impressione». Alla fine dell’Ottocento, a Napoli, lavoravano i “trova-sigari”, giovani monelli che giravano di notte per recuperare i mozziconi gettati a terra dai ricchi durante il giorno e poi rivenderli. Nella Roma umbertina, al mercato delle falci e dei rastrelli del Teatro Marcello bivaccavano i venditori di «mózze», i resti dei sigari fumati dai signori che passeggiavano per il Corso e dai giocatori di morra. Quel vecchio ciabattino in Piazza Montanara che per arrotondare rivendeva i mozziconi di sigari. Quando il prezzo dei tabacchi aumentò, scrisse sulla porta della bottega: «Commercio di articoli di lusso». Alla fine dell’Ottocento, gli immigrati italiani impiantarono negli Stati Uniti alcune piccole fabbriche di toscani. Nel 1959 uscì in America il film Anatomia di un omicidio, di Otto Preminger, con James Stewart che fuma il toscano. «Subito dopo gli americani cominciarono a scrivere ai giornali chiedendo cosa mai fosse quello strano sigaro, informe, nero, e simile a un ramo secco che James Stewart teneva sempre in bocca. Solo gli italoamericani lo avevano riconosciuto» (Arrigo Petacco). «Ero un attore qualunque, poi ho incontrato Sergio Leone che mi ha messo un sigaro in bocca. E la mia vita è cambiata per sempre» (Clint Eastwood). Ettore Petrolini, quando il copione glielo consentiva, si accendeva il toscano in scena. «Una giornata senza sigaro sarebbe per me il colmo della noia, sarebbe un giorno assolutamente vuoto e insipido» (Thomas Mann). Tipi di sigaro avana. Il cigarillo, lungo 102 millimetri, diametro di 10 millimetri circa, venduto in scatole di metallo. Il panatela, ideale per gli aperitivi, ha dimensioni contenute, anche se viene prodotto in diverse versioni: long, slim, short e small. Il corona di lunghezza tra 127 a 197 millimetri, e diametro da 16 a 20 millimetri. Anche il robusto ha un diametro di 20 millimetri, la lunghezza è in genere di 127 millimetri. Il più grande è il giant: 223 millimetri di lunghezza per oltre 20 di diametro. Il sigaro avana più piccolo mai prodotto è un corona Bolivar di 4 centimetri. Il più grande in assoluto è lungo un metro e 70, prodotto per un sultano e conservato nel Museo del Tabacco di Bünde, in Germania. Lo scrittore Carlo Levi comprava i sigari in Parlamento, convinto che lì fossero più buoni; li prendeva fra pollice e indice, portandoli all’orecchio per ascoltarne il crocchio e valutarne il grado di umidità, non li tagliava mai con le mani per evitare di sfrangiarli. Personaggi famosi ritratti col toscano tra le labbra: Garibaldi dipinto da Girolamo Induno, Pietro Germi in una caricatura di Federico Fellini, Ungaretti in un disegno di Scipione, su una tovaglia di carta della trattoria romana “da Cesaretto”. «Allora ti avventuri nella potente foresta dei sigari. Sono autentiche sequoie in miniatura. Abbi cura di incendiare la pelletica d’intorno, se no non brucia. Il toscano è un vulcanetto tascabile, di quelli che eruttano fuoco alla minima scossa. Il magma lavico si sublima in spire da consiglio di guerra aperto a tutti i guerrieri, non di una sola tribù. Le spire azzurre e calde invadono la bocca e aggrediscono le mucose come un fiato demoniaco. Anche il sigaro va conquistato. È una goduria greve e forte del tutto priva di frivole moine» (Gianni Brera). «Un mezzo toscano e una Croce di cavaliere non si negano a nessuno» (Vittorio Emanuele II).